Pietro Metastasio

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Pietro Metastasio

Pietro Metastasio, pseudonimo di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi (1698 – 1782), poeta, librettista e drammaturgo italiano.

Citazioni di Pietro Metastasio[modifica]

  • Alme incaute, che torbide ancora | Non provaste l'umane vicende, | Ben lo veggo, vi spiace, v'offende | Il consiglio d'un labbro fedel. | Confondete con l'utile il danno; | Chi vi regge credete tiranno; | Chi vi giova chiamate crudel. (da Achille in Sciro, I, 7)
  • Assai più giova, | Che i fervidi consigli, | Una lenta prudenza ai gran perigli. (da Antigono, III, 3)
  • Ché raddoppia i suoi tormenti | chi con occhio mal sicuro, | fra la nebbia del futuro | va gli eventi a prevenir. (da L'estate)
  • Chi può vantarsi | Senza difetti? Esaminando i sui | Ciascuno impari a perdonar gli altrui. (da Zenobia, I, 3)
  • Chi vede il periglio | Né cerca salvarsi, | Ragion di lagnarsi | Del fato non ha. (da Deemofonte, III, 1)
  • Chi vive amante sai che delira; | Spesso si lagna, sempre sospira, | Né d'altro parla che di morir. (Alessandro, a. I, sc. 4)
  • Chi vuol goder l'aprile | nella stagion severa, | rammenti in primavera | che il verno tornerà. Per chi fedel seconda | così prudente stile, | ogni stagione abbonda | de' doni che non ha. (da L'inverno ovvero la Provvida pastorella)
  • Come dell'oro il fuoco | Scopre le masse impure. | Scoprono le sventure | De' falsi amici il cor. (Olimpiade, a. III, sc. 3)
  • [La fede] Con me nel carcer nero | ragiona il prigioniero; | si scorda gli affanni e pene, | e al suon di sue catene | cantando va talor. (da La fede)
  • [Orazio] D'un sì vivace | Splendido colorir, d'un sì fecondo, | Sublime immaginar, d'una sì ardita | Felicità sicura | Altro mortal non arricchì natura. (da Risposta ad Orazio)
  • Di crudeltà, non di fermezza ha vanto. | Chi può durar della sua donna al pianto. (da Epitalamio)
  • Dovunque il guardo giro, | immenso Dio, ti vedo: | nell'opre tue t'ammiro, | ti riconosco in me. (da Dovunque il guardo giro...)
  • E la necessità gran cose insegna. | Per lei fra l'armi dorme il guerriero, | Per lei fra l'onde canta il nocchiero, | Per lei la morte terror non ha. | Fin le più timide bestie fugaci | Valor dimostrano, si fanno audaci, | Quand'è il combattere necessità. (da Demofoonte, I, 3)
  • E perigliosa, e vana, | Se da lor [dagli Dei] non comincia ogni opra umana. (da Issipile, III, 9)
  • Entra l'uomo allor che nasce, | in un mar di tante pene, | che s'avvezza dalle fasce | ogni affanno a sostener. (da Isacco, II)
  • È pena troppo barbara | sentirsi, oh Dio, morir, | e non poter mai dir: | morir mi sento! (da È pena troppo barbara...)
  • Il merto di ubbidir perde chi chiede | La ragion del comando. (da Catone in Utica, atto I, scena II)
  • Il tempo è infedele a chi ne abusa. (da Demofoonte, atto II, scena 4)
  • L'arido legno | Facilmente s'accende, | E più che i verdi rami, avvampa, e splende. (da Asilo d'amore)
  • L'occasion si attenda, e se non giunge | nascer la si faccia. (da L'Achille in Sciro)
  • La gioia verace | Per farsi palese | D'un labbro loquace | Bisogno non ha. (da Giuseppe Riconosciuto, parte II, ediz. di Parigi, 1780, to. VII, p. 297)
  • La meraviglia | Dell'ignoranza è figlia, | E madre del saper. (da Temistocle, I, 1)
  • Nel cammin di nostra vita | Senza i rai del Ciel cortese, | Si smarrisce ogni alma ardita, | Trema il cor, vacilla il piè. | A compir le belle imprese | L'arte giova, il senno ha parte; | Ma vaneggia il senno, e l'arte, | Quando amico il Ciel non è. (da L'eroe cinese, I, 7)
  • Nel giorno natalizio del nostro augustissimo padrone [l'imperatore Francesco I di Lorena], andò in iscena in questo teatro [imperiale di Vienna] la mia Didone, ornata di una musica, che ha giustamente sorpresa, ed incantata, e la città, e la corte. È piena di grazia, di fondo, di novità, di armonia, e soprattutto d'espressione. Tutto parla sino a' violini e contrabbassi. Io non ho finora in questo genere inteso cosa che m'abbia più persuaso. L'autore è un napolitano chiamato Nicolò Jommelli forse noto a Vostra Eccellenza [...].[1]
  • Non so se la speranza | Va con l'inganno unita: | so che mantien in vita | qualche infelice almen. (da Zenobia, atto II, scena II)
  • Non vada un picciol legno | a contrastar col vento, | a provocar lo sdegno | d'un procelloso mar. (da Pel giorno natalizio di Maria Teresa Imperatrice Regina)
  • Piaga d'acuto acciaro | sana l'acciaro istesso | ed un veleno è spesso | riparo all'altro ancor. (da Semiramide, 390)
  • Questa sera si rappresenterà in questo teatro [imperiale di Vienna] per la prima volta l'Achille in sciro. La musica di Jommelli alle prove ha ecceduto di molto la grande espettazione che si aveva di lui.[2]
  • Se a ciascun l'interno affanno | Si leggesse in fronte scritto | Quanti mai, che invidia fanno | Ci farebbero pietà! (da Giuseppe Riconosciuto)
  • Se Dio veder tu vuoi, | guardalo in ogni oggetto; | cercalo nel tuo petto, lo troverai con te. (da Se Dio veder tu vuoi...)
  • Sembra gentile | Nel verno un fiore, | Che in sen d'aprile | Si disprezzò. | Fra l'ombra è bella | L'istessa stella | Che in faccia al Sole | Non si mirò. (da Asilo d'Amore, 1780, to. III, pag. 359)
  • Sempre il Re dell'alte sfere | Non favella in chiari accenti, | Come allor, che in mezzo a' venti | E tra i folgori parlò. | Cifre son del suo volere | Quanto il mondo in sé comprende; | Parlan l'opre; e poi s'intende | Ciò che in esse egli celò. (da Per la Festività del S. Natale, parte I, nell'ediz. di Parigi 1780, to. VII, p. 369)
  • Si spiega assai chi s'arrossisce e tace. (da L'Amor prigioniero, ediz. di Parigi, 1780-82, to. II, pag. 423)
  • Si stanca il cielo | D'assister chi l'insulta. (da Olimpiade, III, 1)
  • Sogno, ma te non miro | sempre ne' sogni miei: | mi desto, e tu non sei | il primo mio pensier. (da La libertà)
  • Sollievo è pur nelle sventure estreme | gemer, lagnarsi e compatirsi insieme. (da Ruggiero, atto I, scena V)
  • Sorte non manca, ove virtù s'annida; | E un bell'ardire alle grand'opre è guida. (da Epitalamio per nozze Pignatelli-Pinelli, ott. 93)
  • Su le floride sponde | del placido Sebeto | che taciturno e cheto, | quanto ricco d'onor, povero d'onde, | a Partenope bella il fianco bagna, | Partenope felice, E di Cigni e d'Eroi madre e nutrice; | stanca di tante prede | di Citerea la pargoletta prole | fermando un giorno il piede, | ripiegando le penne | a riposar si venne. (da Epitalamio II, in Opere, Sezione Letterario-Artistica del Lloyd Austriaco, Trieste, 1857, p. 752)
  • Tardo a punir discendi, | O perché il reo s'emendi, | O perché il giusto acquisti | Merito nel soffrir. (da Sant'Elena al Calvario, parte prima, ediz. di Parigi, 1780, to. VI, p. 176)
  • Tutte l'onde son funeste | a chi manca ardire e speme | e si vincon le tempeste | col saperle tollerar. (da L'eroe cinese, atto II, scena IV)
  • Un bel tacer talvolta | Ogni dotto parlar vince d'assai. (da La strada della gloria, sogno, ediz. di Parigi, 1780-82, to. VIII, pag. 321)
  • Voce dal sen sfuggita | poi richiamar non vale: | non si trattien lo strale, | quando dall'arco uscì. (da Ipermestra)
  • [La vendetta] [...] usata | col più forte è follia, | con l'eguale è periglio, | col minore è viltà. (da Giuseppe riconosciuto, parte II, Antonio Fulgoni, 1753, p. 16)

Adriano in Siria[modifica]

Incipit[modifica]

Gran piazza d'Antiochia magnificamente adorna di trofei militari, composti d'insegne, armi ed altre spoglie de' barbari superati. Trono imperiale da un lato. Ponte sul fiume Oronte, che divide la città suddetta.
Di qua dal fiume ADRIANO, sollevato sopra gli scudi da' soldati romani, AQUILIO, guardie e popolo. Di là dal fiume FARNASPE ed OSROA con séguito di Parti, che conducono varie fiere ed altri doni da presentare ad Adriano

Coro di soldati romani Vivi a noi, vivi all'impero,
Grande Augusto, e la tua fronte
Su l'Oronte prigioniero
S'accostumi al sacro allòr.
Della patria e delle squadre
Ecco il duce ed ecco il padre,
In cui fida il mondo intero,
In cui spera il nostro amor.
Palme il Gange a lui prepari,
E d'Augusto il nome impari
Dell'incognito emisfero
Il remoto abitator.

Citazioni[modifica]

  • Agl'infelici | Difficile è il morir. (I, 14)
  • Madre comune | d'ogni popolo è Roma e nel suo grembo | accoglie ognun che brama | farsi parte di lei. Gli amici onora; | perdona a' vinti; e con virtù sublime | gli oppressi esalta ed i superbi opprime. (45)
  • Non è ver che sia la morte | Il peggior di tutti i mali; | È un sollievo de' mortali | Che son stanchi di soffrir. (III, 6)
  • Saggio guerriero antico | mai non ferisce in fretta: | esamina il nemico, | il suo vantaggio aspetta, | e gli impeti dell'ira | cauto frenando va. | Muove la destra e il piede, | finge, s'avanza e cede, | fin che il momento arriva | che vincitor lo fa. (atto II)

Artaserse[modifica]

Incipit[modifica]

Giardino interno nel palazzo del re di Persia, corrispondente a vari appartamenti. Vista della reggia. Note con luna
MANDANE ed ARBACE

Arb. Addio.
Man. Sentimi, Arbace.
Arb. Ah che l'aurora,
Adorata Mandane, è già vicina;
E, se mai noto a Serse
Fosse ch'io venni in questa reggia ad onta
Del barbaro suo cenno, in mia difesa
A me non basterebbe
Un trasporto d'amor che mi consiglia;
Non basterebbe a te d'essergli figlia.

Citazioni[modifica]

  • Sogna il guerrier le schiere, | Le selve il cacciator; | E sogna il pescator | Le reti e l'amo. (I, 6)
  • Si piange di piacer come d'affanno. (Mandane: II, 11)
  • Non è ver che sia contento | Il veder nel suo tormento| Più d'un ciglio lagrimar: | Chè l'esempio del dolore | È uno stimolo maggiore | Che richiama a sospirar. (III, 6)

Attilio Regolo[modifica]

Incipit[modifica]

Licinio. Sei tu, mia bella Attilia? Oh dei! confusa
fra la plebe e i littori
di Regolo la figlia
qui trovar non credei.
Attilia. Su queste soglie
ch'esca il console attendo. Io voglio almeno
farlo arrossir. Più di riguardi ormai
non è tempo, o Licinio. In lacci avvolto
geme in Africa il padre; un lustro è scorso:
nessun s'affanna a liberarlo; io sola
piango in Roma e rammento i casi sui.
Se taccio anch'io, chi parlerà per lui?

Citazioni[modifica]

  • Romani, addio. Siano i congedi estremi | Degni di noi. Lode agli Dei, vi lascio, | E vi lascio romani. Ah, conservate | Illibato il gran nome; e voi sarete | Gli arbitri della terra, e il mondo intero | Roman diventerà. Numi custodi | Di quest'almo terren, Dee protettrici | Della stirpe d'Enea, confido a voi | Questo popol d'eroi: sian vostra cura | Questo suol, questi tetti e queste mura, | Fate che sempre in esse | La costanza, la fè, la gloria alberghi, | La giustizia, il valore. E, se giammai | Minaccia al Campidoglio | Alcun astro maligno influssi rei, | Ecco Regolo, o Dei. Regolo solo | Sia la vittima vostra, e si consumi | Tutta l'ira del Ciel sul capo mio: | Ma Roma illesa... Ah, qui si piange! Addio! (da Addio di Regolo ai romani, atto III)

Demetrio[modifica]

Incipit[modifica]

Gabinetto illuminato, con sedia e tavolino da un lato con sopra scettro e corona.
CLEONICE, che siede appoggiata al tavolino, ed OLINTO

Cleon Basta, Olinto, non più. Fra pochi istanti
Al destinato loco
Il popolo inquieto
Comparir mi vedrà. Chiede ch'io scelga
Lo sposo, il re? Si sceglierà la sposo,
Il re si sceglierà. Solo un momento
Chiedo a pensar. Che intolleranza è questa,
Importuna, indiscreta? I miei vassalli
Sì poco han di rispetto? A farmi serva
M'innalzaste sul trono, o v'arrossite
Di soggiacere a un femminile impero?

Citazioni[modifica]

  • Tu non mi fai risolvere, | Speranza lusinghiera; | Fosti la prima a nascere, | Sei l'ultima a morir. | No, dell'altrui tormento | No, che non sei ristoro; | Ma servi d'alimento | Al credulo desir. (I, 15)
  • È la fede[3] degli amanti | come l'Araba Fenice | che vi sia ciascun lo dice | ove sia nessun lo sa. (atto II, scena III)
  • Declina il mondo, e peggiorando invecchia. (II, 8)

Didone abbandonata[modifica]

Incipit[modifica]

Luogo magnifico destinato per le pubbliche udienze, con trono da un lato. Veduta in prospetto della città di Cartagine, che sta edificandosi.

Enea. No, principessa, amico,
sdegno non è, non è timor che move
le frigie vele e mi trasporta altrove.
So che m'ama Didone;
pur troppo il so; né di sua fé pavento.
L'adoro, e mi rammento
quanto fece per me: non sono ingrato.
Ma ch'io di nuovo esponga
all'arbitrio dell'onde i giorni miei
mi prescrive il destin, voglion gli dei;
e son sì sventurato,
che sembra colpa mia quella del fato.

Citazioni[modifica]

  • Variano i saggi | a seconda de' casi i lor pensieri. (Didone: atto I, scena V)
  • Siedi e favella. (Didone: atto I, scena V)
  • Lascia pria ch'io favelli e poi rispondi. (Iarba: atto I, scena V)
  • Il mio core è maggior di mia fortuna. (Osmida: atto I, scena VI)
  • Fuggir con frode il danno | può dubitar se lice | quell'anima infelice | che nacque in servitù. (Iarba: atto I, scena VII)
  • Dove forza non val, giunga l'inganno. (Iarba: atto I, scena XIII)
  • Siam traditi, o regina. (Osmida: atto I, scena XVI)
  • Se resto sul lido, | se sciolgo le vele, | infido, crudele | mi sento chiamar: | e intanto confuso | nel dubbio funesto, | non parto, non resto, | ma provo il martire | che avrei nel partire, che avrei nel restar. (Enea: atto I, scena XVIII)
  • Passò quel tempo, Enea | che Dido a te pensò. Spenta è la face, | è sciolta la catena | e del tuo nome or mi rammento appena. (Didone: atto II, scena IV)
  • Tormento il più crudele | d'ogni crudel tormento | è il barbaro momento | che in due divide un cor. (Enea: atto II, scena IX)
  • È pietà con Didone esser crudele. (Didone: atto II, scena XI)
  • Ma che feci empi numi! Io non macchiai | di vittime profane i vostri altari: | né mai di fiamma impura | feci l'are fumar per vostro scherno. | Dunque perché congiura tutto il ciel contro me, tutto l'inferno? (Didone: atto III, scena XIX)

Ezio[modifica]

Incipit[modifica]

Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte, con archi trionfali ed altri apparati festivi, apprestati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d'Ezio, vincitore d'Attila.
VALENTINIANO, MASSIMO, VARO, con pretoriani e popolo.

Mass. Signor, mai con più fasto
La prole di Quirino
Non celebrò d'ogni secondo lustro
L'ultimo dì. Di tante faci il lume
L'applauso popolar turba alla notte
L'ombre e i silenzi; e Roma
Al secolo vetusto
Più non invidia il suo felice Augusto.

Citazioni[modifica]

  • Sono i monarchi | Arbitri della terra; | Di loro è il cielo. (I, 3)
  • Darsi in braccio ancor conviene | qualche volta alla fortuna, | che sovente in ciò che avviene | la fortuna ha parte ancor. (I, V)
  • Nega agli afflitti aita, | chi dubbiosa la porge. (II, 7)
  • Qualche volta è virtù tacere il vero. (II, VII)
  • Il viver si misura | Dall'opre e non dai giorni. (III, I)

Siroe[modifica]

Incipit[modifica]

Gran tempio dedicato al Sole, con aria e simulacro del medesimo.
COSROE, SIROE e MEDARSE

Cos. Figli, io non son del regno
Men padre che di voi. Se a voi degg'io
Il mio tenero affetto, al regno io deggio
Un successore, in cui
Della real mia sede
Riconosca la Persia un degno erede.
Oggi un di voi sia scelto: e quello io voglio
Che meco il soglio ascenda,
E meco il freno a regolarne apprenda.

Citazioni[modifica]

  • Non è sempre d'accordo il labbro e il core. (I, 6)
  • Non si commetta al mar chi teme il vento. (I, 17)
  • Chi delitto non ha, rossor non sente. (II, 9)

Temistocle[modifica]

Incipit[modifica]

Deliziosa nel palazzo di Serse.
TEMISTOCLE e NEOCLE

Temis. Che fai?
Neoc. Lascia ch'io vada
Quel superbo a punir. Vedesti, o padre,
Come ascoltò le tue richieste? E quanti
Insulti mai dobbiam soffrir?
Temis. Raffrena
Gli ardori intempestivi. Ancor supponi
D'essere in Grecia, e di vedermi intorno
La turba adulatrice,
Che s'affolla a ciascun quando è felice?

Citazioni[modifica]

  • Debbono i saggi | Adattarsi alla sorte. (I, 1)
  • Han picciol vanto | Le gemme là, dove n'abbonda il mare: | Son tesori fra noi, perché son rare. (I, 4)
  • (Ma) Fortuna ed Ardir van spesso insieme. (I, 14)
  • Il silenzio è ancor facondo, e talor si spiega assai chi risponde col tacer. (II, III, Serse)
  • È istinto di natura | L'amor del patrio nido. Amano anch'esse | Le spelonche natìe le fiere istesse. (II, 7)

Incipit di alcune opere[modifica]

Opere, 1737

Achille in Sciro[modifica]

Aspetto esteriore di magnifico tempio dedicato a Bacco, donde si scende per due spaziose scale. È il tempio circondato da portici, che, prolungandosi da entrambi i lati, formano una gran piazza. Fra le distanze delle colonne de' portici scuopresi da un lato il bosco sacro alla deità, dall'altro la marina di Sciro. La piazza è ripiena di baccanti, che, celebrando le feste del loro nume, al suono di vari stromenti cantano il seguente coro
Preceduti e seguìti da numeroso corteggio di nobili donzelle, scender si vedono dal tempio ed avanzarsi a poco a poco DEIDAMIA, ed ACHILLE in abito femminile.

Coro Ah! di tue lodi al suono,
Padre Lieo, discendi
Ah! le nostr'alme accendi
Del sacro tuo furor.
Parte del Coro O fonte de' diletti,
O dolce oblio de' mali,
Per te d'esser mortali
Noi ci scordiam talor.

Alessandro nell'Indie[modifica]

Campo di battaglia sulle rive dell'Idaspe. Tende, carri rovesciati, soldati dispersi, armi, insegne ed altri avanzi dell'esercito di Poro disfatto da Alessandro.
Terminata la sinfonia, s'ode strepito d'armi e di stromenti militari. Nell'alzar della tenda veggonsi soldati che fuggono. PORO con ispada nuda, indi GANDARTE

Poro Fermatevi, codardi! Ah! con la fuga
Mal si compra una vita. A chi ragiono?
Non ha legge il timor. La mia sventura
I più forti avvilisce. È dunque in cielo
Sì temuto Alessandro
Che a suo favor può fare ingiusti i numi?
Ah! si mora, e si scemi
Della spoglia più grande
Il trionfo a costui... Ma la mia sposa
Lascio in preda al rival? No, si contrasti (ripone la spada nel fodero)
L'acquisto di quel core
Sino all'ultimo dì.

Antigono[modifica]

Parte solitaria de' giardini interni degli appartamenti reali.
BERENICE, ISMENE

Ism. No; tutto, o Berenice,
Tu non apri il tuo cor: da più profonde
Recondite sorgenti
Derivano i tuoi pianti.
Beren. E ti par poco
Quel che sai de' miei casi? Al letto, al trono
Del padre tuo vengo d'Egitto: appena
Questa reggia m'accoglie, ecco geloso
Per me del figlio il genitore;

Arie[modifica]

Non so dir se sono amante;
ma so ben che al tuo sembiante
tutto ardore pena il core,
e gli è caro il suo penar.
Sul tuo volto, s'io ti miro,
fugge l'alma in un sospiro,
e poi riede nel mio petto
per tornare a sospirar.

Catone in Utica[modifica]

Sala d'armi
CATONE, MARZIA, ARBACE

Mar. Perché sì mesto, o padre? Oppressa è Roma,
Se giunge a vacillar la tua costanza.
Parla: al cor d'una figlia
La sventura maggiore
Di tutte le sventure è il tuo dolore.
Arb. Signor, che pensi? In quel silenzio appena
Riconosco Catone. Ov'è lo sdegno,
Figlio di tua virtù? dov'è il coraggio?
Dove l'anima intrepida e feroce?
Ah, se del tuo gran core
L'ardir primiero è in qualche parte estinto,
Non v'è più libertà, Cesare ha vinto.

Ciro riconosciuto[modifica]

Campagna su' confini della Media, sparsa di pochi alberi, ma tutta ingombrata di numerose tende per comodo d'Astiage e della sua corte. Da un lato gran padiglione aperto, dall'altro steccati per le guardie reali.
MANDANE seduta e ARPALICE

Mand. Ma di': non è quel bosco (con impazienza)
Della Media il confine?
Arpal. È quello.
Mand. Il loco
Questo non è, dove alla dea triforme
Ogni anno Astiage ad immolar ritorna
Le vittime votive?
Arpal. Appunto.

Demofoonte[modifica]

Orti pensili, corrispondenti a vari appartamenti della reggia di Demofoonte.
DIRCEA e MATUSIO

Dir. Credimi, o padre: il tuo soverchio affetto
Un mal dubbioso ancora
Rende sicuro. A domandar che solo
Il mio nome non vegga
L'urna fatale, altra ragion non hai
Che il regio esempio.

Il re pastore[modifica]

Vasta ed amena campagna irrigata dal fiume Bostreno, sparsa di greggi e pastori. Largo, ma rustico ponte sul fiume. Innanzi, tuguri pastorali. Veduta della città di Sidone in lontano.
AMINTA, assiso sopra un sasso, cantando al suono delle avene pastorali; indi ELISA

Amin. Intendo, amico rio,
Quel basso mormorio;
Tu chiedi in tua favella:
'Il nostro ben dov'è?'
Intendo, amico rio... (vedendo Elisa, getta le avene e corre ad incontrarla)
Bella Elisa, idol mio,
Dove?
Eli. A te, caro Aminta. (lieta e frettolosa)

Il sogno di Scipione[modifica]

L'azione si figura in Africa nella reggia di Massinissa
SCIPIONE dormendo, la COSTANZA e la FORTUNA

For. Vieni e siegui i miei passi
O gran figlio d'Emilio.
Cos. I passi miei
Vieni e siegui, o Scipion.
Sci. Chi è mai l'audace
Che turba il mio riposo?
For. Io son.
Cos. Son io;
E sdegnar non ti dei.

Il trionfo di Clelia[modifica]

Camere interne destinate a Clelia in un real palazzo suburbano, situato fra le sponde del Tevere e le radici del Gianicolo, ed occupato da Porsenna in occasione dell'assedio di Roma.
CLELIA sedendo pensosa appoggiata ad un tavolino, la quale si turba nel veder TARQUINIO venire a lei.

Clel. Come! Oh ardir temerario! (esce Tarquinio, e Clelia si alza) E chi ne' miei
Reconditi soggiorni a te permette
D'inoltrarti, o Tarquinio?
Tarq. Un breve istante... (con sommessione affettata)
Clel. Ogn'istante è un oltraggio.
Parti.

Ipermestra[modifica]

Fuga di camere testivamente ornate per le reali nozze d'Ipermestra
IPERMESTRA, ELPINICE e cavalieri.

Elp. I teneri tuoi voti al fin seconda
Propizio il padre, o principessa; al fine
All'amato Linceo
Un illustre imeneo
Oggi ti stringerà. Vedi il contento
Che imprime in ogni fronte
La tua felicità. Quanti da questa
Eccelsa coppia eletta,
Quanti dì fortunati il mondo aspetta!

Issipile[modifica]

Atrio del tempio di Bacco, festivamente adorno di festoni di pampini, pendenti dagli archi e ravvolti alle colonne di esso, fra le quali vari simulacri di satiri, sileni e bassaridi.
ISSIPILE e RODOPE, coronate di pampini ed armate di tirso. Schiera di baccanti in lontano.

Iss. Ahi per pietà del mio
Giustissimo dolor, Rodope amica,
Corri, vola, t'affretta,
Salvami il padre. A queste sponde infami
Digli che non s'appressi. A lui palesa
Le congiure, i tumulti,
Le furie femminili.

L'endimione[modifica]

DIANA e NICE.

Dia. Nice, Nice, che fai? Non odi come
Garriscon tra le frondi
De' floridi arboscelli
I mattutini augelli,
Che al rosseggiar del Gange
Escono a consolar l'Alba che piange?
E tu mentre fiammeggia
Su l'Indico orizzonte
Co' primi rai la rinascente aurora,
Placida dormi, e non ti desti ancora,
E poi dirai: son io
Della casta Diana
La fortunata Nice
Compagna cacciatrice?
Lascia, lascia le piume,
Neghittosa che sei; sorgi e raguna
Per la futura caccia
Dai lor soggiorni fuori
Silvia, Aglauro, Nerina, Irene e Clori.

L'eroe cinese[modifica]

Appartamenti nel palazzo imperiale destinati alle tartare prigioniere, distinti di strane pitture, di vasi trasparenti, di ricchi panni, di vivaci tappeti e di tutto ciò che serve al lusso ed alla delizia cinese. Tavolino e sedia da un lato.
LISINGA ed ULANIA; nobili tartari, de' quali uno inginocchiato innanzi a LISINGA in atto di presentarle una lettera.

Lis. Del real genitore (prende la lettera)
I caratteri adoro:
I cenni eseguirò. Quando dobbiate
A lui tornar, farò sapervi. Andate.
(partono i Tartari dopo gli atti di rispetto di lor nazione. Lisinga depone la lettera sul tavolino)
Oh Dio!

L'impresario delle Canarie[modifica]

INTERMEZZI PER LA DIDONE
INTERMEZZO PRIMO
Dopo l'atto primo.
DORINA, poi NIBBIO

Dor Via sbrigatevi in fretta,
Portate la spinetta, e da sedere.
(escono due donne, che portano la spinetta con sopra diverse carte di musica, e due sedie)
Che pazienza ci vuole
Con queste cameriere!
Sanno pur che a momenti
Aspetto un impresario,
E lasciano ogni cosa in confusione.
State attente al balcone
Per farmi l'ambasciata,
Ché intanto io rivedrò qualche cantata.
(partono le donne)

L'isola disabitata[modifica]

Parte amenissima di picciola e disabitata isoletta a vista del mare, ornata distintamente dalla natura di strane piante, di capricciose grotte e di fioriti cespugli. Gran sasso molto innanzi dal destro lato, sul quale si legge impressa un'iscrizione non finita in caratteri europei.
Costanza, vestita a capriccio di pelli, di fronde e di fiori, con elsa e parte di spada logora alla mano, in atto di terminare l'imperfetta iscrizione.

Costanza Qual contrasto non vince
L'indefesso sudor! Duro è quel sasso,
L'istromento è mal atto,
Inesperta la mano; e pur dell'opra
Eccomi al fin vicina. Ah sol concedi
Ch'io la vegga compita,
E da sì acerba vita
Poi mi libera, o Ciel. Se mai la sorte
Ne' dì futuri alcun trasporta a questo
Incognito terreno,
Dirà quel marmo almeno
Il mio caso funesto e memorando.

L'Olimpiade[modifica]

Fondo selvoso di cupa ed angusta valle, adombrata dall'alto da grandi alberi, che giungono ad intrecciare i rami dall'uno all'altro colle, fra' quali è chiusa.

Lic. Ho risoluto, Aminta;
più consiglio non vuo'.
Ami. Licida, ascolta.
Deh modera una volta
questo tuo violento
spirito intollerante.
Lic. E in chi poss'io
fuor che in me più sperar? Megacle istesso,
Megacle m'abbandona
nel bisogno maggiore. Or va, riposa
su la fé d'un amico.

La clemenza di Tito[modifica]

Logge a vista del Tevere negli appartamenti di Vitellia.
VITELLIA e SESTO

Vit. Ma che! sempre l'istesso,
Sesto, a dir mi verrai? So che sedotto
Fu Lentulo da te; che i suoi seguaci
Son pronti già; che il Campidoglio acceso
Darà moto a un tumulto, e sarà il segno
Onde possiate uniti
Tito assalir; che i congiurati avranno
Vermiglio nastro al destro braccio appeso,
Per conoscersi insieme. Io tutto questo
Già mille volte udii: la mia vendetta
Mai non veggo però. S'aspetta forse
Che Tito a Berenice in faccia mia
Offra, d'amore insano,
L'usurpato mio soglio e la sua mano?
Parla! di'! che s'attende?

Nitteti[modifica]

Parte ombrosa e raccolta degl'interni giardini della reggia di Canopo alle sponde del Nilo, corrispondenti a diversi appartamenti. Sole nascente su l'orizzonte.
AMENOFI impaziente, poi SAMMETE in abito pastorale che approda sopra picciolo battello.

Amen. E Sammete non torna!
Oimè! già spunta il sol. Sa pur che il padre
Oggi al soglio d'Egitto
Sollevato sarà, sa che a momenti
In Canopo s'attende. Ah, se all'arrivo
D'Amasi ei qui non è, quali per lui,
Quali scuse addurrò? Tanta imprudenza
Io non so perdonargli. Ah, lo saprei,
Se anche agli affetti miei
Gli astri, come per lui, fossero amici!

Romolo ed Ersilia[modifica]

Gran piazza di Roma, circondata di pubbliche e private fabbriche in parte non ancor terminate, ed in parte adombrate ancora di qualche albero frapposto. Campidoglio in faccia, selvaggio pur anche ed incolto, con ara ardente innanzi alla celebre annosa quercia consacrata a Giove su la cima del medesimo, donde per doppia spaziosa strada si discende sul piano. L'ara, la quercia, il monte, gli alberi e gli edifici tutti della gran piazza suddetta sono vagamente guarniti di festoni di fiori capricciosamente disposti per solennizzar le nozze de' giovani romani e delle donzelle sabine.
Il basso della scena è tutto ingombrato di guerrieri, di littori e di popolo spettatore; e mentre allo strepito de' festivi stromenti, che accompagnano il seguente coro, vanno scendendo gli sposi per le varie strade del colle, ed intrecciando poi allegra danza sul piano, ROMOLO con ERSILIA per una via, OSTILIO con VALERIA per l'altra, vengono seguitando lentamente la pompa; e non rimane su l'alto che il numeroso stuolo de'sacerdoti intorno all'ara di Giove.

Coro Sul Tarpeo propizie e liete
Dall'Olimpo oggi scendete,
D'imenei così felici
Protettrici deità.

Ruggiero[modifica]

Logge terrene negli appartamenti destinati a Clotilde.
BRADAMANTE in abito guerriero, ma senza scudo, e CLOTILDE

Brad. Sì, Clotilde, ho deciso; e il mio disegno
Fido a te sola: all'oscurar del giorno
Voglio quindi partir.
Clot. Che dici!
Brad. Ah! scorse
Son già tre lune, ed io sospiro in vano
Del mio Ruggier novelle. Il fido Ottone,
Che le recava a me, nulla di lui,
Nulla più sa. Non è Ruggier capace
(Io conosco Ruggier) di questo ingrato,
Barbaro oblio. Chi sa dov'è? fra quali
Angustie, oh Dio, languisce?

Semiramide[modifica]

Gran portico del palazzo reale corrispondente alle sponde dell'Eufrate. Trono da un lato, alla sinistra del quale un sedile più basso per Tamiri. In faccia al suddetto trono tre altri sedili. Ara nel mezzo con simulacro di Belo, deità de' Caldei. Gran, ponte praticabile ornato di statue. Vista di tende e soldati su l'altra sponda.
SEMIRAMIDE creduta Nino, con guardie; poi SIBARI

Semir. Olà, sappia Tamiri
Che i principi son pronti,
Che fuman l'are, che al solenne rito
Di già l'ora s'appressa,
Che il re l'attende. (ricevuto l'ordine, parte una guardia: nel mentre che parla Semiramide, esce Sibari, guardandola con meraviglia)

Zenobia[modifica]

Fondo sassoso di cupa ed oscura valle, orrida per le scoscese rupi che la circondano e per le foltissime piante che la sovrastano.
RADAMISTO dormendo sopra un sasso, e ZOPIRO che attentamente l'osserva.

Zop. No, non m'inganno, è Radamisto. Oh, come
Secondano le stelle
Le mie ricerche! Io ne vo in traccia; e il caso,
Solo, immerso nel sonno, in parte ignota,
L'espone a' colpi miei. Non si trascuri
Della sorte il favor: mora! L'impone
L'istesso padre suo. Rival nel trono
Ei l'odia, io nell'amor. Servo in un punto
Al mio sdegno e al mio re. (in atto di snudar la spada)

Citazioni su Pietro Metastasio[modifica]

  • E se, dicendo che anche oggi Metastasio si legge con avidità da un capo all'altro, intendiamo dire che la sua abilità nel fabbricar letteratura commerciale fu anche più grande di quella di un Sue[4] o di un Alessandro Dumas padre, così grande e sicura nel distinguere ciò che piace alle intelligenze tarde e alle anime disoccupate che anche dopo un secolo e mezzo i suoi «prodotti» rilucono nuovi lampanti nel bazar della letteratura amena, allora certo la lode è meritata. E si può asserire senza errore che chi ha bisogno di una lettura volgare, di un ignavo passatempo – e non v'è alcuno che a momenti non ne abbia bisogno, quasi per distensione e rilassamento delle sue forze – troverà in Metastasio il fatto suo. (Giuseppe Antonio Borgese)
  • Egli, fra tutti gli scrittori italiani, non solo ebbe in vita tanta gloria quanta forse neppure il Marino[5], e favori di donne e di sovrani e giovinezza avventurosa seguita da vecchiaia placida e lauti agi, nei quali precorse alle grandezze di certi scrittori del secolo XIX così da spolpare tutto un buon patrimonio e poi farsene un altro e lasciare un'eredità di centotrentamila fiorini; ma anche dai posteri ebbe affettuosa simpatia e condono di quella troppa gloria ch'ebbe ai suoi tempi e che la critica per solito considera come un anticipo da sottrarre al credito dei poeti. La terza Roma[6] gli alzò, prima che a Dante, una statua: la quale, collocata nel cuore della città, fu poi trasferita altrove[7] per far posto alle tranvie: destino lievemente canzonatorio, ma non tragico, su per giù come quello che incombe agli eroi dei suoi melodrammi. (Giuseppe Antonio Borgese)
  • Il Metastasio non ci dette una grande tragedia, perché non era un grand'uomo; era un brav'uomo. Le tesi morali che ispirano tutta l'opera sua non furono frutto d'ipocrisia; anzi testimoniano un'aspirazione schietta. Ma ch'esse attingessero, nell'espressione del loro poeta, un valore anche lontanamente paragonabile a quello raggiunto dai tragici veri, è questione da non porsi nemmeno. (Silvio D'Amico)
  • Il Metastasio scriveva melodrammi e non tragedie; se avesse dovuto, come l'Alfieri, scriver tragedie, non avrebbe obbligato così spesso i suoi classici eroi a sdilinquirsi in molli canzonette anacreontiche. (Angelo De Gubernatis)
  • La storia del Melodramma metastasiano è, in fondo, la storia del supremo sforzo d'uno spirito mediocre, per arrivare a quei cieli della Tragedia che gli sono irrevocabilmente negati. (Silvio D'Amico)
  • Parlare oggi – all'alba del XX secolo – di Pietro Metastasio potrebbe sembrare un anacronismo di pessimo gusto.
    Chi se ne rammenta più?
    Se ci fu scrittore che abbia avuto grandissima, strepitosa fortuna in vita, che sia rapidissimamente salito alla fama, e che non meno rapidamente sia disceso nell'oscurità, questi fu Pietro Metastasio. (Cesare Levi)
  • Metastasio, che avrebbe voluti sordi gli orecchi degli uomini a tuttociò che non fosse i suoi versi, odiava ad ultimo sangue i maestri di musica, e quelli più che più nella stromentazione sfoggiavano: quindi in primis et ante omnes Galuppi, che a straordinaria attività spingeva l'orchestra. (Francesco Caffi)
  • Metastasio e Romani erano in troppo differenti condizioni per correre la medesima via: il primo proseguiva il melodramma così come avevalo avuto da Apostolo Zeno: il secondo lo toglieva alle bassezze, allo squallore, al bordello, ed uno più splendido ne componeva. (Francesco Regli)

Note[modifica]

  1. Scrivendo alla principessa di Belmonte, 13 dicembre 1749; citato in Pietro Alfieri, Notizie biografiche di Nicolò Jommelli, Tipografia delle belle arti, Roma, 1845, p. 14.
  2. Scrivendo alla principessa di Belmonte, 30 Agosto 1749; citato in Pietro Alfieri, Notizie biografiche di Nicolò Jommelli, Tipografia delle belle arti, Roma, 1845, p. 13.
  3. Qui fede ha il significato di fedeltà.
  4. Eugène Sue.
  5. Giovan Battista Marino.
  6. Roma capitale dopo l'annessione al Regno d'Italia.
  7. Da piazza San Silvestro a piazza della Chiesa Nuova.

Bibliografia[modifica]

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Collegamenti esterni[modifica]