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11:12, 29 ott 2019: XGamer 05x (discussione | contributi) ha attivato il filtro 1 con l'azione "edit" su Ugo Foscolo. Azioni intraprese: Avvisa; Descrizione del filtro: Caratteri ripetuti (esamina)

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==Citazioni di Ugo Foscolo==
==Citazioni di Ugo Foscolo==
*A chi non ha [[patria]] non istà bene l'essere [[prete|sacerdote]], né [[padre]].<ref>Dalla ''Notizia intorno a Didimo Chierico'', XII.</ref>
Porco diooooooo *A chi non ha [[patria]] non istà bene l'essere [[prete|sacerdote]], né [[padre]].<ref>Dalla ''Notizia intorno a Didimo Chierico'', XII.</ref>
*A rifar l'[[Italia]] bisogna disfare le sètte.<ref>Da ''Della servitù dell'Italia'', discorso primo: "Considerazioni generali intorno alle parti, alle fazioni, e alle sètte in Italia", in ''Prose politiche'', Le Monnier, p. 186.</ref>
*A rifar l'[[Italia]] bisogna disfare le sètte.<ref>Da ''Della servitù dell'Italia'', discorso primo: "Considerazioni generali intorno alle parti, alle fazioni, e alle sètte in Italia", in ''Prose politiche'', Le Monnier, p. 186.</ref>
*... ''Altissimo | Signor del sommo canto''.<ref>Da ''A [[Dante]]'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, Milano, 1921, p. 412.</ref>
*... ''Altissimo | Signor del sommo canto''.<ref>Da ''A [[Dante]]'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, Milano, 1921, p. 412.</ref>

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'{{PDA}} [[Immagine:Foscolo.jpg|thumb|Ugo Foscolo]] '''Niccolò Ugo Foscolo''' (1778 – 1827), poeta e scrittore Irlandese. ==Citazioni di Ugo Foscolo== *A chi non ha [[patria]] non istà bene l'essere [[prete|sacerdote]], né [[padre]].<ref>Dalla ''Notizia intorno a Didimo Chierico'', XII.</ref> *A rifar l'[[Italia]] bisogna disfare le sètte.<ref>Da ''Della servitù dell'Italia'', discorso primo: "Considerazioni generali intorno alle parti, alle fazioni, e alle sètte in Italia", in ''Prose politiche'', Le Monnier, p. 186.</ref> *... ''Altissimo | Signor del sommo canto''.<ref>Da ''A [[Dante]]'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, Milano, 1921, p. 412.</ref> *Che [[Dante Alighieri|Dante]] non amasse l'[[Italia]], chi vorrà dirlo? Anch'ei fu costretto, come qualunque altro l'ha mai veracemente amata, o mai l'amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che ne senta vergogna.<ref>Da ''Discorso sul testo del poema di Dante''. Erroneamente attribuita a [[Carlo Cattaneo]] (si veda [[Giuseppe Prezzolini]] nel ''Codice della vita italiana''), che cita Foscolo in un brano degli ''Scritti filosofici, letterari e vari''.</ref> *[[Federico II di Svevia|Federigo II]] aspirava a [[Unità d'Italia|riunire l'Italia]] sotto un solo principe, una sola forma di governo e una sola lingua; e tramandarla a' suoi successori potentissima fra le monarchie d'[[Europa]] [...].<ref>Da [[s:Sulla lingua italiana. Discorsi sei/Discorso secondo|''Discorso secondo'']], in [[s:Sulla lingua italiana. Discorsi sei|''Sulla lingua italiana. Discorsi sei'']].</ref> *I lazzaroni soltanto non avevano mai sentito parlare di diritti popolari, eccetto contro la santa inquisizione, che neppure Filippo II era riuscito a introdurre in [[Napoli]]. Il clima toglie ad essi di provare molti bisogni, e dà i mezzi di soddisfarli con poca fatica. L'ozio li mantiene nella superstizione e nel vizio, inducendoli a gettarsi disperatamente nelle insurrezioni ed a ritrarsene con altrettanta rapidità per amor d'inazione. Essi erano felicissimi sotto un governo assoluto, che dovunque è più incline a punire le pubbliche virtù dei sudditi più eminenti che i delitti dei più umili.<ref>Da ''La rivoluzione di Napoli negli anni 1798, 1799''.</ref> *Il [[dolore]] in chi manca di pane è più rassegnato.<ref>Da ''Il gazzettino del bel mondo''.</ref> *Il generale [[Guglielmo Pepe|Pepe]] ha portato qui un gran numero di documenti importanti; e quel che più conta ci ha portato sé stesso, e dalla sua conversazione può aversi la chiave della rivoluzione napoletana.<ref>Da una lettera a [[John Murray]] (1778–1843), ottobre 1821, citato in [[Elena Croce]], ''La patria napoletana'', Mondadori.</ref> *L'[[odio]] è la catena più grave insieme e più abietta, con la quale l'uomo possa legarsi all'uomo.<ref>Da ''Il gazzettino del bel mondo''.</ref> *''Lavoro eterno! — | Paga il [[Governo]]''.<ref>Epigramma per Luigi Lamberti, citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 195.</ref> *Lettori miei, era opinione del reverendo Lorenzo Sterne, parroco in Inghilterra'', che un sorriso possa aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, ''ma pare che egli inoltre sapesse che ogni lacrima insegna a' mortali una verità. Poiché assumendo il nome di Yorick, antico buffone tragico, volle con parecchi scritti, e singolarmente in questo libricciuolo, insegnarci a conoscere gli altri in noi stessi, e a sospirare ad un tempo e a sorridere meno orgogliosamente su le debolezze del prossimo. Però io lo aveva, or son più anni, tradotto per me: ed oggi io credo d'essere una volta profittato delle sue lezioni, l'ho ritradotto, quanto meno letteralmente e quanto meno arbitrariamente ho saputo, per voi.<br>Ma e voi, lettori, avvertite che l'autore era d'animo libero, e spirito bizzarro, ed argutissimo ingegno, segnatamente contro la vanità dei potenti, l'ipocrisia degli ecclesiastici e la servilità magistrale degli uomini letterati; pendeva anche all'amore e alla voluttà; ma voleva ad ogni parere, ed era forse, uomo dabbene e compassionevole seguace sincero dell'Evangelo, ch'egli interpretava a' fedeli. Quindi ci deride acremente, e insieme sorride con indulgente servilità; e gli occhi suoi scintillano di desiderio, par che si chinino vergognosi; e nel brio della gioia, sospira; e, mentre le sue immaginazioni prorompono tutte ad un tempo discordi e inquietissime, accendendo più che non dicono, ed usurpando frasi, voci ed ortografia, egli sa nondimeno ordinarle con l'apparente semplicità di certo stile apostolico e riposato.<ref>Dalla prefazione di Didimo Chierico a Laurence Sterne, ''Viaggio sentimentale''.</ref> *Lo [[stile]] assoluto e sicuro del libro dei Delitti e delle Pene e l'elegante trattato del [[Ferdinando Galiani|Galiani]] sulle Monete vivranno nobile ed eterno retaggio tra noi.<ref>''Dell'origine e dell'ufficio della letteratura'', citato in [[Giuseppe Maffei]], ''Storia della Letteratura Italiana'', Vol. III, p. 50.</ref> *Non son chi fui.<ref>Da "Di se stesso", ''Sonetti'', citato in [[Fruttero & Lucentini]], ''Íncipit'', Mondadori, 1993.</ref> *O Italiani, io vi esorto alle storie.<ref>Da ''Dell'origine e dell'ufficio della letteratura'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 558.</ref> *[...] per far che i secoli tacciano di quel Trattato<ref>Il [[Trattato di Campoformio]].</ref> che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome.<ref>Dalla prefazione di ''A Bonaparte liberatore''; in ''Opere complete di Ugo Foscolo'', 1860, Volume 2, [https://books.google.it/books?id=bGFHAAAAYAAJ&pg=PA50 p. 50]</ref> *{{NDR|In [[Inghilterra]]}} Qui la [[povertà]] è [[vergogna]] che nessun merito lava.<ref>Da ''Lettere d'amore''.</ref> *''Questi è [[Vincenzo Monti|Monti]] poeta e cavaliero, | Gran traduttor dei traduttor d'Omero''.<ref>Da ''Epigramma IX. Contro Vincenzo Monti'', in ''Tragedie e poesie minori'', a cura di Guido Bezzola, F. Le Monnier, Firenze, 1961, p. 446). Per una redazione leggermente diversa dell'epigramma si veda Vincenzo Monti, lettera ''All'abate Urbano Lampredi'', Milano, 27 marzo 1827, in ''Opere inedite e rare'', vol. 5, Lampato, Milano, 1834, p. 275: ''Questi è Vincenzo Monti Cavaliero | Gran traduttor dei traduttor' d'Omero''. Il distico sarcastico allude al fatto che Vincenzo Monti tradusse in italiano l'''Iliade'' avvalendosi di una traduzione latina o di altra italiana in prosa.</ref> *{{NDR|riferimento a ''La ballata dell'esilio'' di [[Guido Cavalcanti]]}} Senza dolersi mai della vita che l'abbandona, fa solamente sentire la consunzione di tutte le forze vitali; e non altra sollecitudine se non se che l'anima venga pietosamente raccolta dalla sua donna. Quei tanti ritornelli di parole e di idee ripetute danno qui non so che grazia mista al patetico, che si sente ma non si descrive. Evvi anche lo artificio del chiaroscuro nei versi brevi che scorrono rapidi, dopo di essere stati preceduti dall'armonia lenta e grave degli endecasillabi.<ref>Citato in [[Luigi Russo]], ''La dolce stagione''.</ref> *Si può bensì anche in mezzo alle ingiustizie sentirsi giusto, forte e libero; e la dignità dell'uomo si vendica più nel sopportare nobilmente, che nel lamentarsi e gridare invano.<ref>Da ''Opere edite e postume. Epistolario''.</ref> *Te dunque, o [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], nomerò con inaudito titolo <small>LIBERATORE DI POPOLI E FONDATORE DI REPUBBLICA</small>. Così tu alto, solo, immortale, dominerai l'eternità, pari agli altri grandi nelle gesta e ne' meriti, ma a niuno comparabile nella intrapresa di fondare nazioni.<ref>Da ''Orazione a Bonaparte per il congresso di Lione'', 1802. Citato in [[Luciano Canfora]], ''Esportare la libertà'', capitolo II, p. 25.</ref> *Una parte degli uomini opera senza pensare, l'altra pensa senza operare.<ref>Da ''Sull'origine e i limiti della giustizia''.</ref> ==''Dei sepolcri''== ===[[Incipit]]=== <poem> All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della [[morte]] men duro? </poem> ===Citazioni=== *''A egregie cose il forte animo accendono | L'urne de' forti, o [[Ippolito Pindemonte|Pindemonte]].''<ref name=esempi>Alcuni esempi di formule di passaggio da un argomento all'altro, citati in Mario Fubini, ''Ugo Foscolo'', La Nuova Italia, Firenze, 1963<sup>3</sup> (1928), pp. 184-6, secondo il quale «preparando o concludendo ampi periodi poetici, non ne contengono la nota più intensa e sembrano piuttosto epigrafi nobilmente decorative che grande poesia».</ref> *''A' generosi | Giusta di gloria dispensiera è morte.''<ref name=esempi /> *''Anche la [[Speranza|Speme]], | ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve | Tutte cose l'obblio nella sua notte''. (16-18) *''Celeste è questa | corrispondenza di amorosi sensi, | celeste dote è negli umani''. (29) *''Sol chi non lascia eredità d'affetti | Poca gioia ha dell'urna.'' (41-42)<ref name=esempi /><ref>Citato in [[Elio e le Storie Tese]], ''Urna''.</ref> *''E tu gli ornavi del tuo riso i canti | che il lombardo pungean [[Sardanapalo]] | cui solo è dolce il muggito de' [[bue|buoi]], | che dagli antri abdüani e dal Ticino | lo fan d'ozi beato e di vivande''.<ref>Parlando a Talia dei versi che ispirava a [[Giuseppe Parini]], critico verso i nobili nullafacenti.</ref> (57) *''E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna, | l'[[upupa|ùpupa]], e svolazzar su per le croci | sparse per la funerea campagna, | e l'immonda accusar col luttuoso | singulto i rai di che son pie le stelle | alle obblîate sepolture.'' (81-86) *''Ahi! sugli estinti | Non sorge fiore, ove non sia d'umane | Lodi onorato e d'amoroso pianto''. (88-90) *''Gli occhi dell'uom cercan morendo | Il [[Sole]]: e tutti l'ultimo sospiro | Mandano i petti alla fuggente luce''. (121-123) *''Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, | decoro e mente al bello italo regno, | nelle [[adulazione|adulate]] reggie ha sepoltura | già vivo, e i stemmi unica laude.''<ref>Criticando la sottomissione della classe dirigente italiana a Napoleone.</ref> (142) *''Quel grande | che temprando lo scettro a' regnatori | gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela | di che lagrime grondi e di che sangue''<ref>Riferendosi a [[Niccolò Machiavelli]].</ref> (155-157) *''E tu prima, [[Firenze]], udivi il carme | che allegrò l'ira al [[Dante Alighieri|Ghibellin fuggiasco]], | e tu i cari parenti e l'idïoma | dèsti a quel dolce di [[Francesco Petrarca|Calliope labbro]] | che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma | d'un velo candidissimo adornando, | rendea nel grembo a Venere Celeste.'' (173-179) *''E a questi marmi | venne spesso [[Vittorio Alfieri|Vittorio]] ad ispirarsi, | irato a' patrii Numi; errava muto | ove Arno è più deserto, i campi e il cielo | desîoso mirando; e poi che nullo | vivente aspetto gli molcea la cura, | qui posava l'austero; e avea sul volto | il pallor della morte e la speranza. | Con questi grandi abita eterno: e l'ossa | fremono amor di patria.'' (pp. 188-197) *''E me che i tempi ed il desio d'onore | fan per diversa gente ir fuggitivo, | me ad evocar gli eroi chiamin le Muse | del mortale pensiero animatrici. Siedon custodi de'sepolcri, e quando | il tempo con sue fredde ale vi spazza | fin le rovine, le Pimplèe fan lieti | di lor canto i deserti, e l'armonia | vince di mille secoli il silenzio.'' (226-234) *''E tu onore di pianti, Ettore, avrai, | ove fia santo e lagrimato il sangue | per la patria versato, e finché il Sole | risplenderà su le sciagure umane.'' (291-295) ==''Epistolario''== *Il disprezzare non è da tutti. (''Alla Donna gentile'', 28 gennaio 1816) *L'[[arte]] non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità. *La [[noia|noja]] proviene o da debolissima [[Coscienza|coscienza]] dell'esistenza nostra, per cui non ci sentiamo capaci di agire, o da coscienza eccessiva, per cui vediamo di non poter agire quanto vorremmo. (''A Giambattista Bovio'', Milano, 29 settembre 1808) *Le sciocche e laide abitudini sono le corruzioni della nostra natura. *Quando per giovar debolmente ad altri si corre rischio di nuocere gravemente a se stessi, l'intricarsene è pazzia da bastone. *Questo so bene: né per ripulse, né per favori, né per biasimi, né per lodi, mi rimuoverò mai dal mio proponimento. ==''Le Grazie''== ===[[Incipit]]=== {{centrato|Carme<br /> ad [[Antonio Canova|ANTONIO CANOVA]]}} <poem> Alle Grazie immortali le tre di Citerea figlie gemelle è sacro il tempio, e son d'Amor sorelle; nate il dì che a' mortali beltà ingegno virtù concesse Giove, onde perpetue sempre e sempre nuove le tre doti celesti e più lodate e più modeste ognora le Dee serbino al mondo. Entra ed adora. </poem> ===''Inno primo, Venere''=== *''Cantando, o Grazie, degli eterei pregi | di che il cielo v'adorna, e della gioia | che vereconde voi date alla terra, | belle vergini! a voi chieggo l'arcana | armonïosa melodia pittrice | della vostra beltà; sì che all'Italia | afflitta di regali ire straniere | voli improvviso a rallegrarla il carme.'' (vv. 1-8) *''Sdegno il verso che suona e che non crea''. (v. 25) ===''Inno secondo, Vesta''=== *''Tre vaghissime donne a cui le trecce | infiora di felici itale rose | giovinezza, e per cui splende più bello | sul lor sembiante il giorno, all'ara vostra | sacerdotesse, o care Grazie, io guido.'' (vv. 1-5) *''Ma se danza, | vedila! tutta l'armonia del suono scorre dal suo bel corpo, e dal sorriso | della sua bocca; e un moto, un atto, un vezzo | manda agli sguardi venustà improvvisa.'' (vv. 590-594) ===''Inno terzo, Pallade''=== *''Pari al numero lor volino gl'inni | alle vergini sante, armonïosi | del peregrino suono uno e diverso | di tre favelle. Intento odi, Canova; | ch'io mi veggio d'intorno errar l'incenso, | qual si spandea sull'are a' versi arcani | d'Anfïone: presente ecco il nitrito | de' corsieri dircèi; benché Ippocrene | li dissetasse, e li pascea dell'aure | Eolo, e prenunzia un'aquila volava, | e de' suoi freni li adornava il Sole, | pur que' vaganti Pindaro contenne | presso il Cefiso, ed adorò le Grazie.'' (vv. 1-13) *''Tornino i grandi | Occhi fatali al lor natio sorriso''. (vv. 276-277) ===Citazioni su ''Le Grazie''=== *La poesia si lavora e si libra su se stessa. L'intensità espressiva tocca i vertici. Per un processo di purificazione piena, l'autobiografia si fa oggetto. La tendenza è nuova, e sormonta di tanto il proprio tempo da rimanere un po' incerta nel Foscolo stesso. La lirica pura, quale i moderni più avvertono e alla quale più tendono con concentrati richiami, dopo le estreme esperienze romantiche fino al surrealismo, questa lirica supremamente oggettiva, è colta dal Foscolo prima d'ogni altro, è raggiunta con acutezza profetica: e ciò che nella cosiddetta poesia della decadenza era sincero moto poetico e non mistura o filtro è già attuato nelle ''Grazie'' in forma classica; ed è pur vero che di questa acerba bellezza, partendo dalle ''Grazie'', si troveranno i primi moti anche nella precedente poesia foscoliana: per questa parte non v'è poesia di domani, neppure quella del [[Giacomo Leopardi|Leopardi]], che la raggiunga. E anzi, soltanto oggi, stimolati dalle esperienze analogiste, possiamo intendere il miglior segreto di quella poesia, e riconoscere nel Foscolo la più scaltra coscienza lirica dell'ottocento italiano. ([[Francesco Flora]]) ==''Le odi''== ===[[Incipit]]=== {{centrato|A Gio. Batista Niccolini<br /> {{maiuscoletto|fiorentino}}}} <br /> A te, giovinetto di belle speranze io dedico questi versi: non perché ti siano di esempio, chè né io professo poesia, né li stampo cercando onore, ma per rifiutare così tutti gli altri da me per vanità giovanile già divolgati. Ti saranno bensì monumento della nostra amicizia, e sprone ad onta delle tue disavventure, alle lettere veggendo che tu sei caro [p. 18]a chi le coltivò, forse con debole ingegno, ma con generoso animo. E la sola amicizia può vendicare gli oltraggi della fortuna, e guidare senza adulazioni gl'ingegni sorgenti alla gloria. <br /> :Milano, 2 aprile 1803 {{destra|{{maiuscoletto|ugo foscolo.}}}} ===Citazioni=== *''E in te beltà rivive, | l'aurea beltate ond'ebbero | ristoro unico a' mali | le nate a vaneggiar menti mortali.'' (''[[s:Odi (Foscolo)/All'amica risanata|All'amica risanata]]'', vv. 9-12) *''Fiorir sul caro viso | veggo la rosa; tornano | i grandi occhi al sorriso | insidïando''. (''[[s:Odi (Foscolo)/All'amica risanata|All'amica risanata]]'', vv. 13-16) ==''Sonetti''== *''Forse perché della fatal quïete | tu sei l'immago a me sì cara vieni | o [[Sera]]!'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Alla sera|Alla sera]]'', vv. 1-3) *''E mentre io guardo la tua pace, dorme | quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Alla sera|Alla sera]]'', vv. 13-14) *''Amor fra l'ombre inferne | seguirammi immortale, onnipotente.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Meritamente|Meritamente]]'', vv. 13-14) *''Né più mai toccherò le sacre sponde | ove il mio corpo fanciulletto giacque, | [[Zante|Zacinto]] mia, che te specchi nell'onde | del greco mar da cui vergine nacque | Venere'' [...]. (''[[s:Sonetti (Foscolo)/A Zacinto|A Zacinto]]'', vv. 1-5) *[...] ''bello di fama e di sventura | baciò la sua petrosa Itaca [[Ulisse]]''. (''[[s:Sonetti (Foscolo)/A Zacinto|A Zacinto]]'', vv. 10-11) *''Tu non altro che il canto avrai del figlio, | o materna mia terra, a noi prescrisse | il fato illacrimata sepoltura.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/A Zacinto|A Zacinto]]'', vv. 12-14) *''Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo | di gente in gente, me vedrai seduto | su la tua pietra, o fratel mio, gemendo | il fior de' tuoi gentili anni caduto. '' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/In morte del fratello Giovanni|In morte del fratello Giovanni]]'', vv. 1-4) *''Breve è la vita, e lunga è l'arte.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Che stai?|Che stai?]]'', v. 12) ==''Ultime lettere di Jacopo Ortis''== ===[[Incipit]]=== ''Da' colli Euganei, 11 ottobre 1797.''<br>Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so; ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo: quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri.<ref>In realtà le "''Lettere''" iniziano con una breve nota di Lorenzo Alderani, l'immaginario raccoglitore postumo delle lettere di Jacopo: "Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio e conforto".</ref> ===Citazioni=== *Che è mai l'uomo? Il coraggio fu sempre dominatore dell'universo perché tutto è debolezza e paura. *Gli amori della [[popolo|moltitudine]] sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. (4 dicembre; Parini a Ortis) *Il [[coraggio]] non deve dare diritto per opprimere il debole. *La fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte, e l'altro quarto, ai loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa [[gloria]], pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? (4 dicembre; Parini a Ortis) *La [[Natura]] siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi. (20 febbraio) *Noi chiamiamo pomposamente [[virtù]] tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda e alla [[paura]] di chi serve. *Sciagurati coloro che, per non essere scellerati, hanno bisogno della religione. *Se gli uomini si conducessero sempre al fianco la [[morte]], non servirebbero sì vilmente. *La [[Ragione]]? – è come il vento; ammorza le faci, ed anima gl'incendj. (Milano, 6 Febbraio 1799) *Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo guasto meritano forse di essere acquistati col sacrificio dell'anima? Forse più che l'amore della virtù, il timore della bassezza m'ha rattenuto alle volte da quelle colpe, che sono rispettate ne' potenti, tollerate ne' più ma che, per non lasciare senza vittime il simulacro della giustizia, sono punite nei miseri. (Padova) *{{NDR|[[Ultime parole dai libri|Ultime parole]]}} Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai – ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri. Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. – Ora tu accogli l'anima mia. (Venerdì, ore 1) ====Parte prima==== *Credo che il desiderio di sapere e ridire la storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor proprio che vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agli uomini ed alle cose che non sono più, e facendole, sto per dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione di spaziare fra i secoli e di possedere un altro universo. (23 ottobre; 2004, pp. 14-15) *Io non odio persona al mondo, ma vi sono cert'uomini ch'io ho bisogno di vedere soltanto da lontano. (1º novembre; [[:s:Ultime_lettere_di_Jacopo_Ortis/Parte_prima#pagename27|1801, p. 25]]) *Cos'è l'uomo se tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice? scellerato, e scellerato bassamente. (1º novembre; 2004, p. 19) *Non sono felice! mi disse Teresa; e con questa parola mi strappò il cuore. (20 novembre; 2004, p. 24) *Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre vissuti nel dolore. (20 novembre; 2004, p. 28) *Pare a te, mio Lorenzo, che se l'avversità ci riducesse a domandare del pane, vi sarebbe taluno memore delle sue promesse? o nessuno, o qualche astuto soltanto, che co' suoi beneficj vorrebbe comperare il nostro avvilimento. Amici da bonaccia, nelle burrasche ti annegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde se v'ha taluno nelle cui viscere fremano le generose passioni, o le deve strozzare, o rifuggirsi come le aquile e le fiere magnanime ne' monti inaccessibili e nelle foreste lungi dalla invidia e dalla vendetta degli uomini. Le sublimi anime passeggiano sopra le teste della moltitudine che oltraggiata dalla loro grandezza tenta d'incatenarle o di deriderle, e chiama pazzie le azioni ch'essa immersa nel fango non può, non che ammirare, conoscere. – Io non parlo di me; ma quand'io ripenso agli ostacoli che frappone la società al genio ed al cuore dell'uomo, e come ne' governi licenziosi o tirannici tutto è briga, interesse e calunnia – io m'inginocchio a ringraziar la Natura che dotandomi di questa indole nemica di ogni servitù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato a innalzarmi sopra la mia educazione. So che la prima, sola, vera scienza è questa dell'uomo la quale non si può studiare nella solitudine, e ne' libri: e so che ognuno dee prevalersi della propria fortuna, o dell'altrui per camminare con qualche sostegno su i precipizj della vita. (Padova; 2004, p. 39) *Sai tu perché fra la turba de' dotti gli uomini sommi son così rari? Quello istinto ispirato dall'alto che costituisce il {{maiuscoletto|genio}} non vive se non se nella indipendenza e nella solitudine, quando i tempi vietandogli d'operare, non gli lasciano che lo scrivere. Nella società si legge molto, non si medita, e si copia; parlando sempre, si svapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue, si balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi: dipendenti dagl'interessi, dai pregiudizj, e dai vizj degli uomini fra' quali si vive, e guidati da una catena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudine la nostra gloria, e la nostra felicità: si palpa la ricchezza e la possanza, e si paventa perfino di essere grandi perché la fama aizza i persecutori, e l'altezza di animo fa sospettare i governi; e i principi vogliono gli uomini tali da riescire né eroi, né incliti scellerati mai. (Padova, 23 dicembre; 2004, pp. 42-43) *Io non lo so; ma, per me, temo che la Natura abbia costituito la nostra specie quasi minimo anello passivo dell'incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro orgoglio che ci fa reputare l'universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar leggi al creato. (19 gennajo; 2004, p. 45) *La volontà forte e la nullità di potere in chi sente una passione politica lo fanno sciaguratissimo dentro di sè: e se non tace, lo fanno parere ridicolo al mondo; si fa la figura di paladino da romanzo e d'innamorato impotente della propria città. (17 marzo; 2004, p. 53) *La gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hanno fino ad or recitato nella mia commedia, non fanno più per me. Calerò il sipario; e lascierò che gli altri mortali s'affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori d'una vita che ad ogni minuto s'accorcia, e che pure que' meschini se la vorrebbero persuadere immortale. (17 marzo; 2004, p. 54) *[...] sente assai poco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla. (3 aprile; 2004, pp. 54-55) *Per questo l'uomo [[bontà e cattiveria|dabbene]] in mezzo a' [[bontà e cattiveria|malvagi]] rovina sempre; e noi siam soliti ad associarci al più forte, a calpestare chi giace, e a giudicar dall'evento. (17 aprile; 2004, p. 59) *{{NDR|A Teresa e Odoardo, in un dialogo riportato}} Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della loro felicità. Orgogliosi! guardano la miseria per insultarla: pretendono che tutto debba offerirsi in tributo alla ricchezza e al piacere. Ma l'infelice che serba la sua dignità è spettacolo di coraggio a' buoni, e di rimbrotto a' malvagi. (17 aprile; 2004, p. 60) *Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nella mia prima gioventù avrei sparso fiori su le teste di tutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido e ombroso verso la più parte degli uomini se non la loro ipocrita crudeltà? Perdonerei tutti i torti che mi hanno fatto. Ma quando mi passa dinanzi la venerabile povertà che mentre s'affatica mostra le sue vene succhiate dalla onnipotente opulenza; e quando io vedo tanti uomini infermi, imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il terribile flagello di certe leggi – ah no, io non mi posso riconciliare. Io grido allora vendetta con quella turba di tapini co' quali divido il pane e le lagrime: e ardisco ridomandare in lor nome la porzione che hanno ereditato dalla Natura, madre benefica ed imparziale – la Natura? ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?<br />Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non quanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angioli sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare la virtù, ed infondere negli animi perseguitati ed afflitti l'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scampo si aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il resto del mondo? (17 aprile; 2004, p. 61) *{{NDR|Ai morti}} Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce – umana sorte! men infelice degli altri chi men la teme. (13 maggio; 2004, pp. 74-75) *Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostri desideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che vestito diversamente ci annoja; e le nostre passioni non sono alla stretta del conto che gli effetti delle nostre illusioni. (25 maggio; 2004, p. 83) ====Parte seconda==== *Spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati da' nostri medesimi concittadini, i quali anziché compiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guardano come barbari tutti quegl'Italiani che non sono della loro provincia, e dalle cui membra non suonano le stesse catene – dimmi, Lorenzo, quale asilo ci resta? (Firenze, 25 settembre; 2004, p. 117) *{{NDR|A Lorenzo}} Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglj. In tutti i paesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochi che comandano; l'universalità che serve; e i molti che brigano. Noi non possiam comandare, né forse siam tanto scaltri; noi non siam ciechi, né vogliamo ubbidire; noi non ci degniamo di brigare. E il meglio è vivere come que' cani senza padrone a' quali non toccano né tozzi né percosse. (Milano, 4 dicembre; 2004, p. 120) *Gonfj del presente, spensierati dell'avvenire, poveri di fama, di coraggio e d'ingegno, si armano di adulatori e di satelliti, da' quali, quantunque spesso traditi e derisi, non sanno più svilupparsi: perpetua ruota di servitù, di licenza e di tirannia. Per essere padroni e ladri del popolo conviene prima lasciarsi opprimere, depredare, e conviene leccare la spada grondante del tuo sangue. Così potrei forse procacciarmi una carica, qualche migliajo di scudi ogni anno di più, rimorsi, ed infamia. Odilo un'altra volta: ''Non reciterò mai la parte del piccolo briccone''. (Milano, 4 dicembre; 2004, p. 121) *Addio, mi disse {{NDR|[[Giuseppe Parini|Parini]]}}, o giovine sfortunato. Tu porterai da per tutto e sempre con te le tue generose passioni alle quali non potrai soddisfare giammai. Tu sarai sempre infelice. Io non posso consolarti co' miei consiglj, perché neppure giovano alle sventure mie derivanti dal medesimo fonte. Il freddo dell'età ha intorpidite le mie membra; ma il cuore – veglia ancora. Il solo conforto ch'io possa darti è la mia pietà: e tu la porti tutta con te. (Ore 3; 2004, p. 130) *Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agonie della morte, e non hai la sua tranquillità: ma tu dèi tollerarle per gli altri. – Così la Filosofia domanda agli uomini un eroismo da cui la Natura rifugge. Chi odia la propria vita può egli amare il minimo bene che è incerto di recare alla Società e sacrificare a questa lusinga molti anni di pianto? e come potrà sperare per gli altri colui che non ha desiderj, né speranze per sè; e che abbandonato da tutto, abbandona se stesso? – Non sei misero tu solo. – Pur troppo! ma questa consolazione non è anzi argomento dell'invidia secreta che ogni uomo cova dell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscema la mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infermità? e chi anco volendo, il potrebbe? avrebbe forse più coraggio da comportarle; ma cos'è il coraggio voto di forza? Non è vile quell'uomo che è travolto dal corso irresistibile di una fiumana; bensì chi ha forze da salvarsi e non le adopra. Ora dov'è il sapiente che possa costituirsi giudice delle nostre intime forze? chi può dare norma agli effetti delle passioni nelle varie tempre degli uomini e delle incalcolabili circostanze onde decidere: Questi è un [[coraggio e viltà|vile]], perché soggiace; quegli che sopporta, è un [[coraggio e viltà|eroe]]? mentre l'amore della vita è così imperioso che più battaglia avrà fatto il primo per non cedere, che il secondo per sopportare.<br />Ma i debiti i quali tu hai verso la Società? – Debiti? forse perché mi ha tratto dal libero grembo della Natura, quand'io non aveva né la ragione, né l'arbitrio di acconsentirvi, né la forza di opporvimi, e mi educo fra' suoi bisogni e fra' suoi pregiudizj? [...] Ho io contratto questi debiti spontaneamente? e la mia vita dovrà pagare, come uno schiavo, i mali che la Società mi procaccia, solo perché gli intitola beneficj? e sieno beneficj: ne godo e li ricompenso fino che vivo; e se nel sepolcro non le sono io di vantaggio, qual bene ritraggo io da lei nel sepolcro? O amico mio! ciascun individuo è nemico nato della Società, perché la Società è necessaria nemica degli individui. Poni che tutti i mortali avessero interesse di abbandonare la vita, credi tu che la sosterrebbero per me solo? e s'io commetto un'azione dannosa a' più, io sono punito; mentre non mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni, quantunque ridondino in sommo mio danno. Possono ben essi pretendere ch'io sia figliuolo della grande famiglia; ma io rinunziando e a' beni e a' doveri comuni posso dire: Io sono un mondo in me stesso: e intendo d'emanciparmi perché mi manca la felicità che mi avete promesso. Che s'io dividendomi non trovo la mia porzione di libertà; se gli uomini me l'hanno invasa perché sono più forti; se mi puniscono perché la ridomando – non gli sciolgo io dalle loro bugiarde promesse e dalle mie impotenti querele cercando scampo sotterra? Ah! que' filosofi che hanno evangelizzato le umane virtù, la probità naturale, la reciproca benevolenza – sono inavvedutamente apostoli degli astuti, ed adescano quelle poche anime ingenue e bollenti le quali amando schiettamente gli uomini per l'ardore di essere riamate, saranno sempre vittime tardi pentite della loro leale credulità. –<br />Eppur quante volte tutti questi argomenti della ragione hanno trovata chiusa la porta del mio cuore, perch'io tuttavia mi sperava di consecrare i miei tormenti all'altrui felicità! Ma! – per il nome d'Iddio, ascolta e rispondimi. A che vivo? di che pro ti son io, io fuggitivo fra queste cavernose montagne? di che onore a me stesso, alla mia patria, a' miei cari? V'ha egli diversità da queste solitudini alla tomba? La mia morte sarebbe per me la meta de' guai, e per voi tutti la fine delle vostre ansietà sul mio stato. Invece di tante ambasce continue, io vi darei un solo dolore – tremendo, ma ultimo: e sareste certi della eterna mia pace. I mali non ricomprano la vita. (Ventimiglia, 19 e 20 febbraro; 2004, pp. 137-139) *{{NDR|Da un frammento del 5 marzo}} Che se nella vita è il dolore, in che più sperare? nel nulla; o in un'altra vita diversa sempre da questa. – Ho dunque deliberato; non odio disperatamente me stesso; non odio i viventi. Cerco da molto tempo la pace; e la ragione mi addita sempre la tomba. Quante volte sommerso nella meditazione delle mie sventure io cominciava a disperare di me! L'idea della morte dileguava la mia tristezza, ed io sorrideva per la speranza di non vivere più. – Sono tranquillo, tranquillo imperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderj son morti: le speranze e i timori mi hanno lasciato libero l'intelletto. Non più mille fantasmi ora giocondi ora tristi confondono e traviano la mia immaginazione: non più vani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma. – Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace. (Ore 11 della sera; 2004, p. 147) *{{NDR|Da un frammento}} Che arroganza! credermi necessario! – gli anni miei sono nello incircoscritto spazio del tempo un attimo impercettibile. (Mezzanotte; 2004, p. 155) *{{NDR|Da un passo di [[Pascal]] liberamente tradotto}} Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo, né cosa io stesso mi sia. E s'io corro ad investigarlo, mi ritorno confuso d'una ignoranza sempre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l'anima mia; e questa stessa parte di me che pensa ciò ch'io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra se stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazj dell'universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell'eternità che a tutti quelli che precedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo. (20 marzo, a sera; 2004, p. 160) ===[[Explicit]]=== ''Appena io giunsi da Padova ove m'era convenuto indugiare più ch'io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de' contadini che s'affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s'appresentò il padre di Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per terra. Non so come ebbi tanta forza d'avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la ferita; era morto, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando stupidamente quel sangue: finché venne il parroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Teresa visse in tutti que' giorni fra il lutto de' suoi in un mortale silenzio. – La notte mi strascicai dietro al cadavere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de' pini.'' ==[[Incipit]] di alcune opere== ===''Ajace''=== {{centrato|''SCENA PRIMA''<br>AGAMENNONE, ARALDI}} <poem>'''Agamennone''' Ite: a Priamo intimate, che alla tregua Un dí rimane, e che al cader del sole Sciolto son io dal giuramento.</poem> ===''Dell'origine e dell'ufficio della letteratura. Orazione''=== Solenne principio agli studi sogliono essere le laudi degli studi; ma furono soggetto sì frequente all'eloquenza de' professori e al profitto degl'ingegni, che il ritesserle in quest'aula parrebbe consiglio ardito ed inopportuno. Né io, che per istituto devo oggi inaugurare tutti gli studi agli uomini dotti che li professano e ai giovani che gl'intraprendono, saprei dipartirmi dalle arti che chiamansi letterarie, le sole che la natura mi comandò di coltivare con lungo e generoso amore, ma dalle quali la fortuna e la giovenile imprudenza mi distoglieano di tanto, ch'io mi confesso più devoto che avventurato loro cultore. ===''Edippo''=== <poem>'''Antigone''' Eccoci Edippo – Appena or sorge l'alba, E già siam presso alla città – Sinch'alto Rifulga il sol, lena ripiglia – Molto Oltre l'usato in questa oscura notte Senza arretrarci mai le vie calcammo Anzi di trarci in questo loco – Antichi Marmi qui stan – Siedi. '''Edippo''' Deh dove, o figlia, Dove siam noi?</poem> ===''Frammenti di un romanzo autobiografico''=== Il mio cavallo andava di passo per la via dell'Apennino, e il mio cane mi seguitava.<br> "Addio, addio beato paese ove la fortuna mi avea fatto obbliare per alcun poco le miserie dei mortali!" Il mio cavallo intanto si fermava perch'io potessi rivolgermi, e salutar da lontano i colli di Bologna, e la mia solitudine, e te, o Luigi, che forse parlavi secretamente di me.<br> Il nominarmi era delitto. –<br> E te e te... deliziosa fanciulla che allora, chi sa? non ti accorgevi nemmeno più ch'io ti mancassi. ===''Notizia intorno a Didimo Chierico''=== Un nostro concittadino mi raccomandò, mentr'io militava fuori d'Italia, tre suoi manoscritti affinché se agli uomini dotti parevano meritevoli della stampa, io rimpatriando li pubblicassi. Esso andava pellegrinando per trovare un'università, ''dove'', diceva egli, ''s'imparasse a comporre libri utili per chi non è dotto, ed innocenti per chi non è per anche corrotto; da che tutte le scuole d'Italia gli parevano piene o di matematici, i quali standosi muti s'intendevano fra di loro; o di grammatici che ad alte grida insegnavano il bel parlare e non si lasciavano intendere ad anima nata; o di poeti che impazzavano a stordire chi non li udiva, e a dire il benvenuto a ogni nuovo padrone de' popoli, senza fare né piangere, né ridere il mondo; e però come fatui noiosi, furono più giustamente d'ogni altro esiliati da Socrate, il quale'', secondo Didimo, ''era dotato di spirito profetico, specialmente per le cose che accadono all'età nostra''. ===''Ricciarda''=== <poem>'''Guido''' Fuggi! – Il mio duol col tuo periglio accresci. '''Corrado''' Che dirò al signor mio, che lagrimando Jer m'imponea di non tornarmi al campo Senza di te? Sotto Salerno ei stesso M'accompagnava; ei mi fu solo ajuto. Al mio salir furtivo. Intorno al vallo Chiuso nell'elmo, e fra nemici e l'ombre Dubbioso errando, or ch'io ti parlo, aspetta Il figliuol suo – Me misero! m'avanza Poco omai della notte.</poem> ===''Saggi sopra il Petrarca''=== Benché il Petrarca siasi studiato di ricoprire d'un bel velo la figura di Amore, che greci e romani poeti ebbero vaghezza di rappresentar nudo; questo velo è sì trasparente, che lascia tuttavia scernere le stesse forme. La distinzione ideale tra i due Amori derivò primamente dalle differenti cerimonie con cui gli antichi prestavano culto alla ''Venere Celeste'', che presedeva a' casti amori delle zittelle e delle maritate, ed alla ''Venere Terrestre'', riconosciuta divinità tutelare delle galanterie delle donne più in voga a que' tempi. ===''Sulla lingua italiana''=== Nel dare principio alla serie de' discorsi intorno alla storia letteraria ed a' poeti d'Italia, giudico cosa necessaria, quantunque forse non dilettevole, di premettere l'opinione mia su l'origine della poesia fra gli uomini.<br> Tutti i ragionamenti su la poesia in generale, e quindi tutti i giudizj intorno alle qualità ed ai gradi di merito di ogni poeta di tutte le età, e gl'infiniti canoni e teorie degli antichi retori e de' moderni metafisici si sono sempre fondate su l'osservazione, «che l'uomo è animale essenzialmente imitatore, e l'origine della poesia manifestamente ed unicamente ritrovasi nella naturale tendenza che l'uomo ha di riprodurre ogni cosa per mezzo d'imitazioni.» Da questa osservazione, che realmente trovasi in [[Aristotele|Aristotile]], sgorgò la conseguenza che gli fu attribuita, e commentata in mille volumi, «che la poesia non è che imitazione della natura, e che i poeti eccellenti sono soltanto quelli da' quali la natura è fedelmente imitata.» == Citazioni su Ugo Foscolo == *A lui che abbiamo veduto pensare che la giustizia sia la sanzione della forza, la coscienza insegnava che la giustizia è nulla senza l'equità. A lui che pensava che la virtù è una forma di larvato egoismo, la coscienza imponeva di guardare alla virtù con altro occhio che di scettico: contraddizione magnanima, nella quale cadde anche il [[Giacomo Leopardi|Leopardi]]. ([[Eugenio Donadoni]]) *Ben era quel [[Giuseppe Parini|Parini]] che richiesto di gridare Viva la Repubblica e muoiono i tiranni rispose: – Viva la Repubblica e morte a nessuno! Ben era quel Foscolo che diede l'ultima pennellata al suo ritratto dicendo: – Morte sol mi darà pace e riposo. ([[Ippolito Nievo]]) *[[Giovanni Pascoli]] rimarrà per gli Italiani il grande lirico delle intime tombe familiari, come Ugo Foscolo è il grande cantore delle tombe che la Nazione conserva ai suoi figli immortali.<br>Per questi nostri due sommi vati si completa la Italiana Lirica dei Sepolcri! ([[Guglielmina Ronconi]]) *Il signor Foscolo ha scritto un buon carme, ma non mi negherai che sia il più faticoso della letteratura italiana. Mi sembra, quando leggo un suo endecasillabo, di dar la scalata a una montagna. ([[Leo Ferrero]]) *Il sorriso ironico di Didimo {{NDR|traduzione foscoliana del ''Viaggio sentimentale'' di [[Laurence Sterne]]}} giunge a proporre in una diversa prospettiva le antiche passioni del 'liber'uomo'. ([[Camillo Boito]]) *Nel Foscolo è visibilissima quell'aria di irrequieto dolore, quel desiderio di pace e di oblio, che fu sì comune agli uomini e agli scrittori della generazione romantica, e che trovò forse la sua espressione artistica più intiera nel Renato di [[René de Chateaubriand|Chateaubriand]]. Questo lettore di [[Plutarco]], questo che più volte si professa stoico, quando si scopre senza posa a sé e agli amici è un ammalato dei mali profondi delle età di transizione: non molto dissimile in ciò dal [[Francesco Petrarca|Petrarca]], di cui perciò comprese così bene gli spiriti. ([[Eugenio Donadoni]]) *''Questi è il rosso di pel, Foscolo detto | sì falso che falsò fino sé stesso | quando in Ugo cambiò ser Nicoletto. | Guarda la borsa se ti vien appresso''.<ref>Questa quartina fu scritta dal Monti in risposta al distico dedicatogli dal Foscolo. L'ultimo verso è un riferimento alla passione del Foscolo per il gioco, nel quale egli perdeva regolarmente forti somme.</ref> ([[Vincenzo Monti]]) *Ugo Foscolo, italiano per eccellenza, e d'ingegno singolare, balestrato dall'invidia dei contemporanei, addolorato dal vedere irreparabilmente caduto il regno italico, deludendo schernevolmente il bicipite augello, esulò, rifugiandosi nella costituzionale [[Inghilterra]]: colà il bisogno gli acuì potentemente l'ingegno, e scrisse con magistero sui nostri classici quasi in addolcimento delle proprie politiche amarezze. ([[Giansante Varrini]]) ==Note== <references/> == Bibliografia == *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Ajace]'', in "Ugo Foscolo, Opere", Einaudi-Gallimard, 1994. ISBN 884460017X *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Dell'origine e dell'ufficio della letteratura. Orazione]'', in "Lezioni, articoli di critica e di polemica" di Ugo Foscolo, Edizione nazionale, vol. VII, Le Monnier, Firenze, 1967. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Edippo]'', a cura di Mario Scotti, Rizzoli Editore, Milano, 1983. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Frammenti di un romanzo autobiografico]'', Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1914. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Le Grazie]'', Ugo Mursia editore, Milano, 1967. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Notizia intorno a Didimo Chierico]'', in "Opere" di Ugo Foscolo, Firenze, Le Monnier. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Ricciarda]'', in "Edizione Nazionale delle opere di Ugo Foscolo", vol II, a cura di Guido Bezzola, Firenze, Felice Le Monnier, 1961. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Saggi sopra il Petrarca pubblicati in inglese da Ugo Foscolo e tradotti in italiano da Cammillo Ugoni]'', a cura di Giovanni Papini, R. Carabba Editore, Lanciano, 1928. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Sulla lingua italiana. Discorsi sei]'', tratto da "Prose", Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1914. *Ugo Foscolo, ''Ultime lettere di Jacopo Ortis'' (1802), a cura di Giovanna Ioli, Einaudi, Torino, 2004. ISBN 8806177117 *F.S. Orlandini e E. Mayer, ''Opere edite e postume di Ugo Foscolo. Epistolario'', Firenze, Felice Le Monnier, 1854. *Laurence Sterne, ''Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia'' (''A sentimental journey through France and Italy''), traduzione di Didimo Chierico (Ugo Foscolo), a cura di Giulio Caprin, BMM, Arnoldo Mondadori Editore, 1952. ==Altri progetti== {{Interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|A Napoleone Bonaparte liberatore||(1797)}} {{Pedia|A Zacinto}} {{Pedia|Aiace (Foscolo)|''Ajace''}} {{Pedia|Dei sepolcri||(1806-1807)}} {{Pedia|Le Grazie (Foscolo)|''Le Grazie''}} {{Pedia|Ricciarda (Foscolo)|''Ricciarda''}} {{Pedia|Ultime lettere di Jacopo Ortis||(1801)}} {{DEFAULTSORT:Foscolo, Ugo}} [[Categoria:Memorialisti italiani]] [[Categoria:Personalità dell'ateismo]] [[Categoria:Poeti italiani]] [[Categoria:Scrittori italiani]]'
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'{{PDA}} [[Immagine:Foscolo.jpg|thumb|Ugo Foscolo]] '''Niccolò Ugo Foscolo''' (1778 – 1827), poeta e scrittore Irlandese. ==Citazioni di Ugo Foscolo== Porco diooooooo *A chi non ha [[patria]] non istà bene l'essere [[prete|sacerdote]], né [[padre]].<ref>Dalla ''Notizia intorno a Didimo Chierico'', XII.</ref> *A rifar l'[[Italia]] bisogna disfare le sètte.<ref>Da ''Della servitù dell'Italia'', discorso primo: "Considerazioni generali intorno alle parti, alle fazioni, e alle sètte in Italia", in ''Prose politiche'', Le Monnier, p. 186.</ref> *... ''Altissimo | Signor del sommo canto''.<ref>Da ''A [[Dante]]'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, Milano, 1921, p. 412.</ref> *Che [[Dante Alighieri|Dante]] non amasse l'[[Italia]], chi vorrà dirlo? Anch'ei fu costretto, come qualunque altro l'ha mai veracemente amata, o mai l'amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che ne senta vergogna.<ref>Da ''Discorso sul testo del poema di Dante''. Erroneamente attribuita a [[Carlo Cattaneo]] (si veda [[Giuseppe Prezzolini]] nel ''Codice della vita italiana''), che cita Foscolo in un brano degli ''Scritti filosofici, letterari e vari''.</ref> *[[Federico II di Svevia|Federigo II]] aspirava a [[Unità d'Italia|riunire l'Italia]] sotto un solo principe, una sola forma di governo e una sola lingua; e tramandarla a' suoi successori potentissima fra le monarchie d'[[Europa]] [...].<ref>Da [[s:Sulla lingua italiana. Discorsi sei/Discorso secondo|''Discorso secondo'']], in [[s:Sulla lingua italiana. Discorsi sei|''Sulla lingua italiana. Discorsi sei'']].</ref> *I lazzaroni soltanto non avevano mai sentito parlare di diritti popolari, eccetto contro la santa inquisizione, che neppure Filippo II era riuscito a introdurre in [[Napoli]]. Il clima toglie ad essi di provare molti bisogni, e dà i mezzi di soddisfarli con poca fatica. L'ozio li mantiene nella superstizione e nel vizio, inducendoli a gettarsi disperatamente nelle insurrezioni ed a ritrarsene con altrettanta rapidità per amor d'inazione. Essi erano felicissimi sotto un governo assoluto, che dovunque è più incline a punire le pubbliche virtù dei sudditi più eminenti che i delitti dei più umili.<ref>Da ''La rivoluzione di Napoli negli anni 1798, 1799''.</ref> *Il [[dolore]] in chi manca di pane è più rassegnato.<ref>Da ''Il gazzettino del bel mondo''.</ref> *Il generale [[Guglielmo Pepe|Pepe]] ha portato qui un gran numero di documenti importanti; e quel che più conta ci ha portato sé stesso, e dalla sua conversazione può aversi la chiave della rivoluzione napoletana.<ref>Da una lettera a [[John Murray]] (1778–1843), ottobre 1821, citato in [[Elena Croce]], ''La patria napoletana'', Mondadori.</ref> *L'[[odio]] è la catena più grave insieme e più abietta, con la quale l'uomo possa legarsi all'uomo.<ref>Da ''Il gazzettino del bel mondo''.</ref> *''Lavoro eterno! — | Paga il [[Governo]]''.<ref>Epigramma per Luigi Lamberti, citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 195.</ref> *Lettori miei, era opinione del reverendo Lorenzo Sterne, parroco in Inghilterra'', che un sorriso possa aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, ''ma pare che egli inoltre sapesse che ogni lacrima insegna a' mortali una verità. Poiché assumendo il nome di Yorick, antico buffone tragico, volle con parecchi scritti, e singolarmente in questo libricciuolo, insegnarci a conoscere gli altri in noi stessi, e a sospirare ad un tempo e a sorridere meno orgogliosamente su le debolezze del prossimo. Però io lo aveva, or son più anni, tradotto per me: ed oggi io credo d'essere una volta profittato delle sue lezioni, l'ho ritradotto, quanto meno letteralmente e quanto meno arbitrariamente ho saputo, per voi.<br>Ma e voi, lettori, avvertite che l'autore era d'animo libero, e spirito bizzarro, ed argutissimo ingegno, segnatamente contro la vanità dei potenti, l'ipocrisia degli ecclesiastici e la servilità magistrale degli uomini letterati; pendeva anche all'amore e alla voluttà; ma voleva ad ogni parere, ed era forse, uomo dabbene e compassionevole seguace sincero dell'Evangelo, ch'egli interpretava a' fedeli. Quindi ci deride acremente, e insieme sorride con indulgente servilità; e gli occhi suoi scintillano di desiderio, par che si chinino vergognosi; e nel brio della gioia, sospira; e, mentre le sue immaginazioni prorompono tutte ad un tempo discordi e inquietissime, accendendo più che non dicono, ed usurpando frasi, voci ed ortografia, egli sa nondimeno ordinarle con l'apparente semplicità di certo stile apostolico e riposato.<ref>Dalla prefazione di Didimo Chierico a Laurence Sterne, ''Viaggio sentimentale''.</ref> *Lo [[stile]] assoluto e sicuro del libro dei Delitti e delle Pene e l'elegante trattato del [[Ferdinando Galiani|Galiani]] sulle Monete vivranno nobile ed eterno retaggio tra noi.<ref>''Dell'origine e dell'ufficio della letteratura'', citato in [[Giuseppe Maffei]], ''Storia della Letteratura Italiana'', Vol. III, p. 50.</ref> *Non son chi fui.<ref>Da "Di se stesso", ''Sonetti'', citato in [[Fruttero & Lucentini]], ''Íncipit'', Mondadori, 1993.</ref> *O Italiani, io vi esorto alle storie.<ref>Da ''Dell'origine e dell'ufficio della letteratura'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, 1921, p. 558.</ref> *[...] per far che i secoli tacciano di quel Trattato<ref>Il [[Trattato di Campoformio]].</ref> che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome.<ref>Dalla prefazione di ''A Bonaparte liberatore''; in ''Opere complete di Ugo Foscolo'', 1860, Volume 2, [https://books.google.it/books?id=bGFHAAAAYAAJ&pg=PA50 p. 50]</ref> *{{NDR|In [[Inghilterra]]}} Qui la [[povertà]] è [[vergogna]] che nessun merito lava.<ref>Da ''Lettere d'amore''.</ref> *''Questi è [[Vincenzo Monti|Monti]] poeta e cavaliero, | Gran traduttor dei traduttor d'Omero''.<ref>Da ''Epigramma IX. Contro Vincenzo Monti'', in ''Tragedie e poesie minori'', a cura di Guido Bezzola, F. Le Monnier, Firenze, 1961, p. 446). Per una redazione leggermente diversa dell'epigramma si veda Vincenzo Monti, lettera ''All'abate Urbano Lampredi'', Milano, 27 marzo 1827, in ''Opere inedite e rare'', vol. 5, Lampato, Milano, 1834, p. 275: ''Questi è Vincenzo Monti Cavaliero | Gran traduttor dei traduttor' d'Omero''. Il distico sarcastico allude al fatto che Vincenzo Monti tradusse in italiano l'''Iliade'' avvalendosi di una traduzione latina o di altra italiana in prosa.</ref> *{{NDR|riferimento a ''La ballata dell'esilio'' di [[Guido Cavalcanti]]}} Senza dolersi mai della vita che l'abbandona, fa solamente sentire la consunzione di tutte le forze vitali; e non altra sollecitudine se non se che l'anima venga pietosamente raccolta dalla sua donna. Quei tanti ritornelli di parole e di idee ripetute danno qui non so che grazia mista al patetico, che si sente ma non si descrive. Evvi anche lo artificio del chiaroscuro nei versi brevi che scorrono rapidi, dopo di essere stati preceduti dall'armonia lenta e grave degli endecasillabi.<ref>Citato in [[Luigi Russo]], ''La dolce stagione''.</ref> *Si può bensì anche in mezzo alle ingiustizie sentirsi giusto, forte e libero; e la dignità dell'uomo si vendica più nel sopportare nobilmente, che nel lamentarsi e gridare invano.<ref>Da ''Opere edite e postume. Epistolario''.</ref> *Te dunque, o [[Napoleone Bonaparte|Bonaparte]], nomerò con inaudito titolo <small>LIBERATORE DI POPOLI E FONDATORE DI REPUBBLICA</small>. Così tu alto, solo, immortale, dominerai l'eternità, pari agli altri grandi nelle gesta e ne' meriti, ma a niuno comparabile nella intrapresa di fondare nazioni.<ref>Da ''Orazione a Bonaparte per il congresso di Lione'', 1802. Citato in [[Luciano Canfora]], ''Esportare la libertà'', capitolo II, p. 25.</ref> *Una parte degli uomini opera senza pensare, l'altra pensa senza operare.<ref>Da ''Sull'origine e i limiti della giustizia''.</ref> ==''Dei sepolcri''== ===[[Incipit]]=== <poem> All'ombra de' cipressi e dentro l'urne confortate di pianto è forse il sonno della [[morte]] men duro? </poem> ===Citazioni=== *''A egregie cose il forte animo accendono | L'urne de' forti, o [[Ippolito Pindemonte|Pindemonte]].''<ref name=esempi>Alcuni esempi di formule di passaggio da un argomento all'altro, citati in Mario Fubini, ''Ugo Foscolo'', La Nuova Italia, Firenze, 1963<sup>3</sup> (1928), pp. 184-6, secondo il quale «preparando o concludendo ampi periodi poetici, non ne contengono la nota più intensa e sembrano piuttosto epigrafi nobilmente decorative che grande poesia».</ref> *''A' generosi | Giusta di gloria dispensiera è morte.''<ref name=esempi /> *''Anche la [[Speranza|Speme]], | ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve | Tutte cose l'obblio nella sua notte''. (16-18) *''Celeste è questa | corrispondenza di amorosi sensi, | celeste dote è negli umani''. (29) *''Sol chi non lascia eredità d'affetti | Poca gioia ha dell'urna.'' (41-42)<ref name=esempi /><ref>Citato in [[Elio e le Storie Tese]], ''Urna''.</ref> *''E tu gli ornavi del tuo riso i canti | che il lombardo pungean [[Sardanapalo]] | cui solo è dolce il muggito de' [[bue|buoi]], | che dagli antri abdüani e dal Ticino | lo fan d'ozi beato e di vivande''.<ref>Parlando a Talia dei versi che ispirava a [[Giuseppe Parini]], critico verso i nobili nullafacenti.</ref> (57) *''E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna, | l'[[upupa|ùpupa]], e svolazzar su per le croci | sparse per la funerea campagna, | e l'immonda accusar col luttuoso | singulto i rai di che son pie le stelle | alle obblîate sepolture.'' (81-86) *''Ahi! sugli estinti | Non sorge fiore, ove non sia d'umane | Lodi onorato e d'amoroso pianto''. (88-90) *''Gli occhi dell'uom cercan morendo | Il [[Sole]]: e tutti l'ultimo sospiro | Mandano i petti alla fuggente luce''. (121-123) *''Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, | decoro e mente al bello italo regno, | nelle [[adulazione|adulate]] reggie ha sepoltura | già vivo, e i stemmi unica laude.''<ref>Criticando la sottomissione della classe dirigente italiana a Napoleone.</ref> (142) *''Quel grande | che temprando lo scettro a' regnatori | gli allòr ne sfronda, ed alle genti svela | di che lagrime grondi e di che sangue''<ref>Riferendosi a [[Niccolò Machiavelli]].</ref> (155-157) *''E tu prima, [[Firenze]], udivi il carme | che allegrò l'ira al [[Dante Alighieri|Ghibellin fuggiasco]], | e tu i cari parenti e l'idïoma | dèsti a quel dolce di [[Francesco Petrarca|Calliope labbro]] | che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma | d'un velo candidissimo adornando, | rendea nel grembo a Venere Celeste.'' (173-179) *''E a questi marmi | venne spesso [[Vittorio Alfieri|Vittorio]] ad ispirarsi, | irato a' patrii Numi; errava muto | ove Arno è più deserto, i campi e il cielo | desîoso mirando; e poi che nullo | vivente aspetto gli molcea la cura, | qui posava l'austero; e avea sul volto | il pallor della morte e la speranza. | Con questi grandi abita eterno: e l'ossa | fremono amor di patria.'' (pp. 188-197) *''E me che i tempi ed il desio d'onore | fan per diversa gente ir fuggitivo, | me ad evocar gli eroi chiamin le Muse | del mortale pensiero animatrici. Siedon custodi de'sepolcri, e quando | il tempo con sue fredde ale vi spazza | fin le rovine, le Pimplèe fan lieti | di lor canto i deserti, e l'armonia | vince di mille secoli il silenzio.'' (226-234) *''E tu onore di pianti, Ettore, avrai, | ove fia santo e lagrimato il sangue | per la patria versato, e finché il Sole | risplenderà su le sciagure umane.'' (291-295) ==''Epistolario''== *Il disprezzare non è da tutti. (''Alla Donna gentile'', 28 gennaio 1816) *L'[[arte]] non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità. *La [[noia|noja]] proviene o da debolissima [[Coscienza|coscienza]] dell'esistenza nostra, per cui non ci sentiamo capaci di agire, o da coscienza eccessiva, per cui vediamo di non poter agire quanto vorremmo. (''A Giambattista Bovio'', Milano, 29 settembre 1808) *Le sciocche e laide abitudini sono le corruzioni della nostra natura. *Quando per giovar debolmente ad altri si corre rischio di nuocere gravemente a se stessi, l'intricarsene è pazzia da bastone. *Questo so bene: né per ripulse, né per favori, né per biasimi, né per lodi, mi rimuoverò mai dal mio proponimento. ==''Le Grazie''== ===[[Incipit]]=== {{centrato|Carme<br /> ad [[Antonio Canova|ANTONIO CANOVA]]}} <poem> Alle Grazie immortali le tre di Citerea figlie gemelle è sacro il tempio, e son d'Amor sorelle; nate il dì che a' mortali beltà ingegno virtù concesse Giove, onde perpetue sempre e sempre nuove le tre doti celesti e più lodate e più modeste ognora le Dee serbino al mondo. Entra ed adora. </poem> ===''Inno primo, Venere''=== *''Cantando, o Grazie, degli eterei pregi | di che il cielo v'adorna, e della gioia | che vereconde voi date alla terra, | belle vergini! a voi chieggo l'arcana | armonïosa melodia pittrice | della vostra beltà; sì che all'Italia | afflitta di regali ire straniere | voli improvviso a rallegrarla il carme.'' (vv. 1-8) *''Sdegno il verso che suona e che non crea''. (v. 25) ===''Inno secondo, Vesta''=== *''Tre vaghissime donne a cui le trecce | infiora di felici itale rose | giovinezza, e per cui splende più bello | sul lor sembiante il giorno, all'ara vostra | sacerdotesse, o care Grazie, io guido.'' (vv. 1-5) *''Ma se danza, | vedila! tutta l'armonia del suono scorre dal suo bel corpo, e dal sorriso | della sua bocca; e un moto, un atto, un vezzo | manda agli sguardi venustà improvvisa.'' (vv. 590-594) ===''Inno terzo, Pallade''=== *''Pari al numero lor volino gl'inni | alle vergini sante, armonïosi | del peregrino suono uno e diverso | di tre favelle. Intento odi, Canova; | ch'io mi veggio d'intorno errar l'incenso, | qual si spandea sull'are a' versi arcani | d'Anfïone: presente ecco il nitrito | de' corsieri dircèi; benché Ippocrene | li dissetasse, e li pascea dell'aure | Eolo, e prenunzia un'aquila volava, | e de' suoi freni li adornava il Sole, | pur que' vaganti Pindaro contenne | presso il Cefiso, ed adorò le Grazie.'' (vv. 1-13) *''Tornino i grandi | Occhi fatali al lor natio sorriso''. (vv. 276-277) ===Citazioni su ''Le Grazie''=== *La poesia si lavora e si libra su se stessa. L'intensità espressiva tocca i vertici. Per un processo di purificazione piena, l'autobiografia si fa oggetto. La tendenza è nuova, e sormonta di tanto il proprio tempo da rimanere un po' incerta nel Foscolo stesso. La lirica pura, quale i moderni più avvertono e alla quale più tendono con concentrati richiami, dopo le estreme esperienze romantiche fino al surrealismo, questa lirica supremamente oggettiva, è colta dal Foscolo prima d'ogni altro, è raggiunta con acutezza profetica: e ciò che nella cosiddetta poesia della decadenza era sincero moto poetico e non mistura o filtro è già attuato nelle ''Grazie'' in forma classica; ed è pur vero che di questa acerba bellezza, partendo dalle ''Grazie'', si troveranno i primi moti anche nella precedente poesia foscoliana: per questa parte non v'è poesia di domani, neppure quella del [[Giacomo Leopardi|Leopardi]], che la raggiunga. E anzi, soltanto oggi, stimolati dalle esperienze analogiste, possiamo intendere il miglior segreto di quella poesia, e riconoscere nel Foscolo la più scaltra coscienza lirica dell'ottocento italiano. ([[Francesco Flora]]) ==''Le odi''== ===[[Incipit]]=== {{centrato|A Gio. Batista Niccolini<br /> {{maiuscoletto|fiorentino}}}} <br /> A te, giovinetto di belle speranze io dedico questi versi: non perché ti siano di esempio, chè né io professo poesia, né li stampo cercando onore, ma per rifiutare così tutti gli altri da me per vanità giovanile già divolgati. Ti saranno bensì monumento della nostra amicizia, e sprone ad onta delle tue disavventure, alle lettere veggendo che tu sei caro [p. 18]a chi le coltivò, forse con debole ingegno, ma con generoso animo. E la sola amicizia può vendicare gli oltraggi della fortuna, e guidare senza adulazioni gl'ingegni sorgenti alla gloria. <br /> :Milano, 2 aprile 1803 {{destra|{{maiuscoletto|ugo foscolo.}}}} ===Citazioni=== *''E in te beltà rivive, | l'aurea beltate ond'ebbero | ristoro unico a' mali | le nate a vaneggiar menti mortali.'' (''[[s:Odi (Foscolo)/All'amica risanata|All'amica risanata]]'', vv. 9-12) *''Fiorir sul caro viso | veggo la rosa; tornano | i grandi occhi al sorriso | insidïando''. (''[[s:Odi (Foscolo)/All'amica risanata|All'amica risanata]]'', vv. 13-16) ==''Sonetti''== *''Forse perché della fatal quïete | tu sei l'immago a me sì cara vieni | o [[Sera]]!'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Alla sera|Alla sera]]'', vv. 1-3) *''E mentre io guardo la tua pace, dorme | quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Alla sera|Alla sera]]'', vv. 13-14) *''Amor fra l'ombre inferne | seguirammi immortale, onnipotente.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Meritamente|Meritamente]]'', vv. 13-14) *''Né più mai toccherò le sacre sponde | ove il mio corpo fanciulletto giacque, | [[Zante|Zacinto]] mia, che te specchi nell'onde | del greco mar da cui vergine nacque | Venere'' [...]. (''[[s:Sonetti (Foscolo)/A Zacinto|A Zacinto]]'', vv. 1-5) *[...] ''bello di fama e di sventura | baciò la sua petrosa Itaca [[Ulisse]]''. (''[[s:Sonetti (Foscolo)/A Zacinto|A Zacinto]]'', vv. 10-11) *''Tu non altro che il canto avrai del figlio, | o materna mia terra, a noi prescrisse | il fato illacrimata sepoltura.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/A Zacinto|A Zacinto]]'', vv. 12-14) *''Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo | di gente in gente, me vedrai seduto | su la tua pietra, o fratel mio, gemendo | il fior de' tuoi gentili anni caduto. '' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/In morte del fratello Giovanni|In morte del fratello Giovanni]]'', vv. 1-4) *''Breve è la vita, e lunga è l'arte.'' (''[[s:Sonetti (Foscolo)/Che stai?|Che stai?]]'', v. 12) ==''Ultime lettere di Jacopo Ortis''== ===[[Incipit]]=== ''Da' colli Euganei, 11 ottobre 1797.''<br>Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so; ma vuoi tu ch'io per salvarmi da chi m'opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo: quanti sono dunque gli sventurati? E noi, pur troppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da' pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de' miei padri.<ref>In realtà le "''Lettere''" iniziano con una breve nota di Lorenzo Alderani, l'immaginario raccoglitore postumo delle lettere di Jacopo: "Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroismo di cui non sono eglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio e conforto".</ref> ===Citazioni=== *Che è mai l'uomo? Il coraggio fu sempre dominatore dell'universo perché tutto è debolezza e paura. *Gli amori della [[popolo|moltitudine]] sono brevi ed infausti; giudica, più che dall'intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l'onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre. (4 dicembre; Parini a Ortis) *Il [[coraggio]] non deve dare diritto per opprimere il debole. *La fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte, e l'altro quarto, ai loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa [[gloria]], pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? (4 dicembre; Parini a Ortis) *La [[Natura]] siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi. (20 febbraio) *Noi chiamiamo pomposamente [[virtù]] tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda e alla [[paura]] di chi serve. *Sciagurati coloro che, per non essere scellerati, hanno bisogno della religione. *Se gli uomini si conducessero sempre al fianco la [[morte]], non servirebbero sì vilmente. *La [[Ragione]]? – è come il vento; ammorza le faci, ed anima gl'incendj. (Milano, 6 Febbraio 1799) *Ma gli onori e la tranquillità del mio secolo guasto meritano forse di essere acquistati col sacrificio dell'anima? Forse più che l'amore della virtù, il timore della bassezza m'ha rattenuto alle volte da quelle colpe, che sono rispettate ne' potenti, tollerate ne' più ma che, per non lasciare senza vittime il simulacro della giustizia, sono punite nei miseri. (Padova) *{{NDR|[[Ultime parole dai libri|Ultime parole]]}} Ma io moro incontaminato, e padrone di me stesso, e pieno di te, e certo del tuo pianto! Perdonami, Teresa, se mai – ah consolati, e vivi per la felicità de' nostri miseri genitori; la tua morte farebbe maledire le mie ceneri. Che se taluno ardisse incolparti del mio infelice destino, confondilo con questo mio giuramento solenne ch'io pronunzio gittandomi nella notte della morte: Teresa è innocente. – Ora tu accogli l'anima mia. (Venerdì, ore 1) ====Parte prima==== *Credo che il desiderio di sapere e ridire la storia de' tempi andati sia figlio del nostro amor proprio che vorrebbe illudersi e prolungare la vita unendoci agli uomini ed alle cose che non sono più, e facendole, sto per dire, di nostra proprietà. Ama la immaginazione di spaziare fra i secoli e di possedere un altro universo. (23 ottobre; 2004, pp. 14-15) *Io non odio persona al mondo, ma vi sono cert'uomini ch'io ho bisogno di vedere soltanto da lontano. (1º novembre; [[:s:Ultime_lettere_di_Jacopo_Ortis/Parte_prima#pagename27|1801, p. 25]]) *Cos'è l'uomo se tu lo abbandoni alla sola ragione fredda, calcolatrice? scellerato, e scellerato bassamente. (1º novembre; 2004, p. 19) *Non sono felice! mi disse Teresa; e con questa parola mi strappò il cuore. (20 novembre; 2004, p. 24) *Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre vissuti nel dolore. (20 novembre; 2004, p. 28) *Pare a te, mio Lorenzo, che se l'avversità ci riducesse a domandare del pane, vi sarebbe taluno memore delle sue promesse? o nessuno, o qualche astuto soltanto, che co' suoi beneficj vorrebbe comperare il nostro avvilimento. Amici da bonaccia, nelle burrasche ti annegano. Per costoro tutto è calcolo in fondo. Onde se v'ha taluno nelle cui viscere fremano le generose passioni, o le deve strozzare, o rifuggirsi come le aquile e le fiere magnanime ne' monti inaccessibili e nelle foreste lungi dalla invidia e dalla vendetta degli uomini. Le sublimi anime passeggiano sopra le teste della moltitudine che oltraggiata dalla loro grandezza tenta d'incatenarle o di deriderle, e chiama pazzie le azioni ch'essa immersa nel fango non può, non che ammirare, conoscere. – Io non parlo di me; ma quand'io ripenso agli ostacoli che frappone la società al genio ed al cuore dell'uomo, e come ne' governi licenziosi o tirannici tutto è briga, interesse e calunnia – io m'inginocchio a ringraziar la Natura che dotandomi di questa indole nemica di ogni servitù, mi ha fatto vincere la fortuna e mi ha insegnato a innalzarmi sopra la mia educazione. So che la prima, sola, vera scienza è questa dell'uomo la quale non si può studiare nella solitudine, e ne' libri: e so che ognuno dee prevalersi della propria fortuna, o dell'altrui per camminare con qualche sostegno su i precipizj della vita. (Padova; 2004, p. 39) *Sai tu perché fra la turba de' dotti gli uomini sommi son così rari? Quello istinto ispirato dall'alto che costituisce il {{maiuscoletto|genio}} non vive se non se nella indipendenza e nella solitudine, quando i tempi vietandogli d'operare, non gli lasciano che lo scrivere. Nella società si legge molto, non si medita, e si copia; parlando sempre, si svapora quella bile generosa che fa sentire, pensare, e scrivere fortemente: per balbettar molte lingue, si balbetta anche la propria, ridicoli a un tempo agli stranieri e a noi stessi: dipendenti dagl'interessi, dai pregiudizj, e dai vizj degli uomini fra' quali si vive, e guidati da una catena di doveri e di bisogni, si commette alla moltitudine la nostra gloria, e la nostra felicità: si palpa la ricchezza e la possanza, e si paventa perfino di essere grandi perché la fama aizza i persecutori, e l'altezza di animo fa sospettare i governi; e i principi vogliono gli uomini tali da riescire né eroi, né incliti scellerati mai. (Padova, 23 dicembre; 2004, pp. 42-43) *Io non lo so; ma, per me, temo che la Natura abbia costituito la nostra specie quasi minimo anello passivo dell'incomprensibile suo sistema, dotandone di cotanto amor proprio, perché il sommo timore e la somma speranza creandoci nella immaginazione una infinita serie di mali e di beni, ci tenessero pur sempre affannati di questa esistenza breve, dubbia, infelice. E mentre noi serviamo ciecamente al suo fine, essa ride del nostro orgoglio che ci fa reputare l'universo creato solo per noi, e noi soli degni e capaci di dar leggi al creato. (19 gennajo; 2004, p. 45) *La volontà forte e la nullità di potere in chi sente una passione politica lo fanno sciaguratissimo dentro di sè: e se non tace, lo fanno parere ridicolo al mondo; si fa la figura di paladino da romanzo e d'innamorato impotente della propria città. (17 marzo; 2004, p. 53) *La gloria, il sapere, la gioventù, le ricchezze, la patria, tutti fantasmi che hanno fino ad or recitato nella mia commedia, non fanno più per me. Calerò il sipario; e lascierò che gli altri mortali s'affannino per accrescere i piaceri e menomare i dolori d'una vita che ad ogni minuto s'accorcia, e che pure que' meschini se la vorrebbero persuadere immortale. (17 marzo; 2004, p. 54) *[...] sente assai poco la propria passione, o lieta o trista che sia, chi sa troppo minutamente descriverla. (3 aprile; 2004, pp. 54-55) *Per questo l'uomo [[bontà e cattiveria|dabbene]] in mezzo a' [[bontà e cattiveria|malvagi]] rovina sempre; e noi siam soliti ad associarci al più forte, a calpestare chi giace, e a giudicar dall'evento. (17 aprile; 2004, p. 59) *{{NDR|A Teresa e Odoardo, in un dialogo riportato}} Coloro che non furono mai sventurati, non sono degni della loro felicità. Orgogliosi! guardano la miseria per insultarla: pretendono che tutto debba offerirsi in tributo alla ricchezza e al piacere. Ma l'infelice che serba la sua dignità è spettacolo di coraggio a' buoni, e di rimbrotto a' malvagi. (17 aprile; 2004, p. 60) *Io non ho l'anima negra; e tu il sai, mio Lorenzo; nella mia prima gioventù avrei sparso fiori su le teste di tutti i viventi: chi mi ha fatto così rigido e ombroso verso la più parte degli uomini se non la loro ipocrita crudeltà? Perdonerei tutti i torti che mi hanno fatto. Ma quando mi passa dinanzi la venerabile povertà che mentre s'affatica mostra le sue vene succhiate dalla onnipotente opulenza; e quando io vedo tanti uomini infermi, imprigionati, affamati, e tutti supplichevoli sotto il terribile flagello di certe leggi – ah no, io non mi posso riconciliare. Io grido allora vendetta con quella turba di tapini co' quali divido il pane e le lagrime: e ardisco ridomandare in lor nome la porzione che hanno ereditato dalla Natura, madre benefica ed imparziale – la Natura? ma se ne ha fatti quali pur siamo, non è forse matrigna?<br />Sì, Teresa, io vivrò teco; ma io non vivrò se non quanto potrò vivere teco. Tu sei uno di que' pochi angioli sparsi qua e là su la faccia della terra per accreditare la virtù, ed infondere negli animi perseguitati ed afflitti l'amore dell'umanità. Ma s'io ti perdessi, quale scampo si aprirebbe a questo giovine infastidito di tutto il resto del mondo? (17 aprile; 2004, p. 61) *{{NDR|Ai morti}} Abbiate pace, o nude reliquie: la materia è tornata alla materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce – umana sorte! men infelice degli altri chi men la teme. (13 maggio; 2004, pp. 74-75) *Ci fabbrichiamo la realtà a nostro modo; i nostri desideri si vanno moltiplicando con le nostre idee; sudiamo per quello che vestito diversamente ci annoja; e le nostre passioni non sono alla stretta del conto che gli effetti delle nostre illusioni. (25 maggio; 2004, p. 83) ====Parte seconda==== *Spogliati dagli uni, scherniti dagli altri, traditi sempre da tutti, abbandonati da' nostri medesimi concittadini, i quali anziché compiangersi e soccorrersi nella comune calamità, guardano come barbari tutti quegl'Italiani che non sono della loro provincia, e dalle cui membra non suonano le stesse catene – dimmi, Lorenzo, quale asilo ci resta? (Firenze, 25 settembre; 2004, p. 117) *{{NDR|A Lorenzo}} Siati questa l'unica risposta a' tuoi consiglj. In tutti i paesi ho veduto gli uomini sempre di tre sorta: i pochi che comandano; l'universalità che serve; e i molti che brigano. Noi non possiam comandare, né forse siam tanto scaltri; noi non siam ciechi, né vogliamo ubbidire; noi non ci degniamo di brigare. E il meglio è vivere come que' cani senza padrone a' quali non toccano né tozzi né percosse. (Milano, 4 dicembre; 2004, p. 120) *Gonfj del presente, spensierati dell'avvenire, poveri di fama, di coraggio e d'ingegno, si armano di adulatori e di satelliti, da' quali, quantunque spesso traditi e derisi, non sanno più svilupparsi: perpetua ruota di servitù, di licenza e di tirannia. Per essere padroni e ladri del popolo conviene prima lasciarsi opprimere, depredare, e conviene leccare la spada grondante del tuo sangue. Così potrei forse procacciarmi una carica, qualche migliajo di scudi ogni anno di più, rimorsi, ed infamia. Odilo un'altra volta: ''Non reciterò mai la parte del piccolo briccone''. (Milano, 4 dicembre; 2004, p. 121) *Addio, mi disse {{NDR|[[Giuseppe Parini|Parini]]}}, o giovine sfortunato. Tu porterai da per tutto e sempre con te le tue generose passioni alle quali non potrai soddisfare giammai. Tu sarai sempre infelice. Io non posso consolarti co' miei consiglj, perché neppure giovano alle sventure mie derivanti dal medesimo fonte. Il freddo dell'età ha intorpidite le mie membra; ma il cuore – veglia ancora. Il solo conforto ch'io possa darti è la mia pietà: e tu la porti tutta con te. (Ore 3; 2004, p. 130) *Tu sei disperatamente infelice; tu vivi fra le agonie della morte, e non hai la sua tranquillità: ma tu dèi tollerarle per gli altri. – Così la Filosofia domanda agli uomini un eroismo da cui la Natura rifugge. Chi odia la propria vita può egli amare il minimo bene che è incerto di recare alla Società e sacrificare a questa lusinga molti anni di pianto? e come potrà sperare per gli altri colui che non ha desiderj, né speranze per sè; e che abbandonato da tutto, abbandona se stesso? – Non sei misero tu solo. – Pur troppo! ma questa consolazione non è anzi argomento dell'invidia secreta che ogni uomo cova dell'altrui prosperità? La miseria degli altri non iscema la mia. Chi è tanto generoso da addossarsi le mie infermità? e chi anco volendo, il potrebbe? avrebbe forse più coraggio da comportarle; ma cos'è il coraggio voto di forza? Non è vile quell'uomo che è travolto dal corso irresistibile di una fiumana; bensì chi ha forze da salvarsi e non le adopra. Ora dov'è il sapiente che possa costituirsi giudice delle nostre intime forze? chi può dare norma agli effetti delle passioni nelle varie tempre degli uomini e delle incalcolabili circostanze onde decidere: Questi è un [[coraggio e viltà|vile]], perché soggiace; quegli che sopporta, è un [[coraggio e viltà|eroe]]? mentre l'amore della vita è così imperioso che più battaglia avrà fatto il primo per non cedere, che il secondo per sopportare.<br />Ma i debiti i quali tu hai verso la Società? – Debiti? forse perché mi ha tratto dal libero grembo della Natura, quand'io non aveva né la ragione, né l'arbitrio di acconsentirvi, né la forza di opporvimi, e mi educo fra' suoi bisogni e fra' suoi pregiudizj? [...] Ho io contratto questi debiti spontaneamente? e la mia vita dovrà pagare, come uno schiavo, i mali che la Società mi procaccia, solo perché gli intitola beneficj? e sieno beneficj: ne godo e li ricompenso fino che vivo; e se nel sepolcro non le sono io di vantaggio, qual bene ritraggo io da lei nel sepolcro? O amico mio! ciascun individuo è nemico nato della Società, perché la Società è necessaria nemica degli individui. Poni che tutti i mortali avessero interesse di abbandonare la vita, credi tu che la sosterrebbero per me solo? e s'io commetto un'azione dannosa a' più, io sono punito; mentre non mi verrà fatto mai di vendicarmi delle loro azioni, quantunque ridondino in sommo mio danno. Possono ben essi pretendere ch'io sia figliuolo della grande famiglia; ma io rinunziando e a' beni e a' doveri comuni posso dire: Io sono un mondo in me stesso: e intendo d'emanciparmi perché mi manca la felicità che mi avete promesso. Che s'io dividendomi non trovo la mia porzione di libertà; se gli uomini me l'hanno invasa perché sono più forti; se mi puniscono perché la ridomando – non gli sciolgo io dalle loro bugiarde promesse e dalle mie impotenti querele cercando scampo sotterra? Ah! que' filosofi che hanno evangelizzato le umane virtù, la probità naturale, la reciproca benevolenza – sono inavvedutamente apostoli degli astuti, ed adescano quelle poche anime ingenue e bollenti le quali amando schiettamente gli uomini per l'ardore di essere riamate, saranno sempre vittime tardi pentite della loro leale credulità. –<br />Eppur quante volte tutti questi argomenti della ragione hanno trovata chiusa la porta del mio cuore, perch'io tuttavia mi sperava di consecrare i miei tormenti all'altrui felicità! Ma! – per il nome d'Iddio, ascolta e rispondimi. A che vivo? di che pro ti son io, io fuggitivo fra queste cavernose montagne? di che onore a me stesso, alla mia patria, a' miei cari? V'ha egli diversità da queste solitudini alla tomba? La mia morte sarebbe per me la meta de' guai, e per voi tutti la fine delle vostre ansietà sul mio stato. Invece di tante ambasce continue, io vi darei un solo dolore – tremendo, ma ultimo: e sareste certi della eterna mia pace. I mali non ricomprano la vita. (Ventimiglia, 19 e 20 febbraro; 2004, pp. 137-139) *{{NDR|Da un frammento del 5 marzo}} Che se nella vita è il dolore, in che più sperare? nel nulla; o in un'altra vita diversa sempre da questa. – Ho dunque deliberato; non odio disperatamente me stesso; non odio i viventi. Cerco da molto tempo la pace; e la ragione mi addita sempre la tomba. Quante volte sommerso nella meditazione delle mie sventure io cominciava a disperare di me! L'idea della morte dileguava la mia tristezza, ed io sorrideva per la speranza di non vivere più. – Sono tranquillo, tranquillo imperturbabilmente. Le illusioni sono svanite; i desiderj son morti: le speranze e i timori mi hanno lasciato libero l'intelletto. Non più mille fantasmi ora giocondi ora tristi confondono e traviano la mia immaginazione: non più vani argomenti adulano la mia ragione; tutto è calma. – Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita. La sola morte, a cui è commesso il sacro cangiamento delle cose, promette pace. (Ore 11 della sera; 2004, p. 147) *{{NDR|Da un frammento}} Che arroganza! credermi necessario! – gli anni miei sono nello incircoscritto spazio del tempo un attimo impercettibile. (Mezzanotte; 2004, p. 155) *{{NDR|Da un passo di [[Pascal]] liberamente tradotto}} Io non so né perché venni al mondo; né come; né cosa sia il mondo, né cosa io stesso mi sia. E s'io corro ad investigarlo, mi ritorno confuso d'una ignoranza sempre più spaventosa. Non so cosa sia il mio corpo, i miei sensi, l'anima mia; e questa stessa parte di me che pensa ciò ch'io scrivo, e che medita sopra di tutto e sopra se stessa, non può conoscersi mai. Invano io tento di misurare con la mente questi immensi spazj dell'universo che mi circondano. Mi trovo come attaccato a un piccolo angolo di uno spazio incomprensibile, senza sapere perché sono collocato piuttosto qui che altrove; o perché questo breve tempo della mia esistenza sia assegnato piuttosto a questo momento dell'eternità che a tutti quelli che precedevano, e che seguiranno. Io non vedo da tutte le parti altro che infinità le quali mi assorbono come un atomo. (20 marzo, a sera; 2004, p. 160) ===[[Explicit]]=== ''Appena io giunsi da Padova ove m'era convenuto indugiare più ch'io non voleva, fui sopraffatto dalla calca de' contadini che s'affollavano muti sotto i portici del cortile; ed altri mi guardavano attoniti, e taluno mi pregava che non salissi. Balzai tremando nella stanza, e mi s'appresentò il padre di Teresa gettato disperatamente sopra il cadavere; e Michele ginocchione con la faccia per terra. Non so come ebbi tanta forza d'avvicinarmi e di porgli una mano sul cuore presso la ferita; era morto, freddo. Mi mancava il pianto e la voce; ed io stava guardando stupidamente quel sangue: finché venne il parroco e subito dopo il chirurgo, i quali con alcuni famigliari ci strapparono a forza dal fiero spettacolo. Teresa visse in tutti que' giorni fra il lutto de' suoi in un mortale silenzio. – La notte mi strascicai dietro al cadavere che da tre lavoratori fu sotterrato sul monte de' pini.'' ==[[Incipit]] di alcune opere== ===''Ajace''=== {{centrato|''SCENA PRIMA''<br>AGAMENNONE, ARALDI}} <poem>'''Agamennone''' Ite: a Priamo intimate, che alla tregua Un dí rimane, e che al cader del sole Sciolto son io dal giuramento.</poem> ===''Dell'origine e dell'ufficio della letteratura. Orazione''=== Solenne principio agli studi sogliono essere le laudi degli studi; ma furono soggetto sì frequente all'eloquenza de' professori e al profitto degl'ingegni, che il ritesserle in quest'aula parrebbe consiglio ardito ed inopportuno. Né io, che per istituto devo oggi inaugurare tutti gli studi agli uomini dotti che li professano e ai giovani che gl'intraprendono, saprei dipartirmi dalle arti che chiamansi letterarie, le sole che la natura mi comandò di coltivare con lungo e generoso amore, ma dalle quali la fortuna e la giovenile imprudenza mi distoglieano di tanto, ch'io mi confesso più devoto che avventurato loro cultore. ===''Edippo''=== <poem>'''Antigone''' Eccoci Edippo – Appena or sorge l'alba, E già siam presso alla città – Sinch'alto Rifulga il sol, lena ripiglia – Molto Oltre l'usato in questa oscura notte Senza arretrarci mai le vie calcammo Anzi di trarci in questo loco – Antichi Marmi qui stan – Siedi. '''Edippo''' Deh dove, o figlia, Dove siam noi?</poem> ===''Frammenti di un romanzo autobiografico''=== Il mio cavallo andava di passo per la via dell'Apennino, e il mio cane mi seguitava.<br> "Addio, addio beato paese ove la fortuna mi avea fatto obbliare per alcun poco le miserie dei mortali!" Il mio cavallo intanto si fermava perch'io potessi rivolgermi, e salutar da lontano i colli di Bologna, e la mia solitudine, e te, o Luigi, che forse parlavi secretamente di me.<br> Il nominarmi era delitto. –<br> E te e te... deliziosa fanciulla che allora, chi sa? non ti accorgevi nemmeno più ch'io ti mancassi. ===''Notizia intorno a Didimo Chierico''=== Un nostro concittadino mi raccomandò, mentr'io militava fuori d'Italia, tre suoi manoscritti affinché se agli uomini dotti parevano meritevoli della stampa, io rimpatriando li pubblicassi. Esso andava pellegrinando per trovare un'università, ''dove'', diceva egli, ''s'imparasse a comporre libri utili per chi non è dotto, ed innocenti per chi non è per anche corrotto; da che tutte le scuole d'Italia gli parevano piene o di matematici, i quali standosi muti s'intendevano fra di loro; o di grammatici che ad alte grida insegnavano il bel parlare e non si lasciavano intendere ad anima nata; o di poeti che impazzavano a stordire chi non li udiva, e a dire il benvenuto a ogni nuovo padrone de' popoli, senza fare né piangere, né ridere il mondo; e però come fatui noiosi, furono più giustamente d'ogni altro esiliati da Socrate, il quale'', secondo Didimo, ''era dotato di spirito profetico, specialmente per le cose che accadono all'età nostra''. ===''Ricciarda''=== <poem>'''Guido''' Fuggi! – Il mio duol col tuo periglio accresci. '''Corrado''' Che dirò al signor mio, che lagrimando Jer m'imponea di non tornarmi al campo Senza di te? Sotto Salerno ei stesso M'accompagnava; ei mi fu solo ajuto. Al mio salir furtivo. Intorno al vallo Chiuso nell'elmo, e fra nemici e l'ombre Dubbioso errando, or ch'io ti parlo, aspetta Il figliuol suo – Me misero! m'avanza Poco omai della notte.</poem> ===''Saggi sopra il Petrarca''=== Benché il Petrarca siasi studiato di ricoprire d'un bel velo la figura di Amore, che greci e romani poeti ebbero vaghezza di rappresentar nudo; questo velo è sì trasparente, che lascia tuttavia scernere le stesse forme. La distinzione ideale tra i due Amori derivò primamente dalle differenti cerimonie con cui gli antichi prestavano culto alla ''Venere Celeste'', che presedeva a' casti amori delle zittelle e delle maritate, ed alla ''Venere Terrestre'', riconosciuta divinità tutelare delle galanterie delle donne più in voga a que' tempi. ===''Sulla lingua italiana''=== Nel dare principio alla serie de' discorsi intorno alla storia letteraria ed a' poeti d'Italia, giudico cosa necessaria, quantunque forse non dilettevole, di premettere l'opinione mia su l'origine della poesia fra gli uomini.<br> Tutti i ragionamenti su la poesia in generale, e quindi tutti i giudizj intorno alle qualità ed ai gradi di merito di ogni poeta di tutte le età, e gl'infiniti canoni e teorie degli antichi retori e de' moderni metafisici si sono sempre fondate su l'osservazione, «che l'uomo è animale essenzialmente imitatore, e l'origine della poesia manifestamente ed unicamente ritrovasi nella naturale tendenza che l'uomo ha di riprodurre ogni cosa per mezzo d'imitazioni.» Da questa osservazione, che realmente trovasi in [[Aristotele|Aristotile]], sgorgò la conseguenza che gli fu attribuita, e commentata in mille volumi, «che la poesia non è che imitazione della natura, e che i poeti eccellenti sono soltanto quelli da' quali la natura è fedelmente imitata.» == Citazioni su Ugo Foscolo == *A lui che abbiamo veduto pensare che la giustizia sia la sanzione della forza, la coscienza insegnava che la giustizia è nulla senza l'equità. A lui che pensava che la virtù è una forma di larvato egoismo, la coscienza imponeva di guardare alla virtù con altro occhio che di scettico: contraddizione magnanima, nella quale cadde anche il [[Giacomo Leopardi|Leopardi]]. ([[Eugenio Donadoni]]) *Ben era quel [[Giuseppe Parini|Parini]] che richiesto di gridare Viva la Repubblica e muoiono i tiranni rispose: – Viva la Repubblica e morte a nessuno! Ben era quel Foscolo che diede l'ultima pennellata al suo ritratto dicendo: – Morte sol mi darà pace e riposo. ([[Ippolito Nievo]]) *[[Giovanni Pascoli]] rimarrà per gli Italiani il grande lirico delle intime tombe familiari, come Ugo Foscolo è il grande cantore delle tombe che la Nazione conserva ai suoi figli immortali.<br>Per questi nostri due sommi vati si completa la Italiana Lirica dei Sepolcri! ([[Guglielmina Ronconi]]) *Il signor Foscolo ha scritto un buon carme, ma non mi negherai che sia il più faticoso della letteratura italiana. Mi sembra, quando leggo un suo endecasillabo, di dar la scalata a una montagna. ([[Leo Ferrero]]) *Il sorriso ironico di Didimo {{NDR|traduzione foscoliana del ''Viaggio sentimentale'' di [[Laurence Sterne]]}} giunge a proporre in una diversa prospettiva le antiche passioni del 'liber'uomo'. ([[Camillo Boito]]) *Nel Foscolo è visibilissima quell'aria di irrequieto dolore, quel desiderio di pace e di oblio, che fu sì comune agli uomini e agli scrittori della generazione romantica, e che trovò forse la sua espressione artistica più intiera nel Renato di [[René de Chateaubriand|Chateaubriand]]. Questo lettore di [[Plutarco]], questo che più volte si professa stoico, quando si scopre senza posa a sé e agli amici è un ammalato dei mali profondi delle età di transizione: non molto dissimile in ciò dal [[Francesco Petrarca|Petrarca]], di cui perciò comprese così bene gli spiriti. ([[Eugenio Donadoni]]) *''Questi è il rosso di pel, Foscolo detto | sì falso che falsò fino sé stesso | quando in Ugo cambiò ser Nicoletto. | Guarda la borsa se ti vien appresso''.<ref>Questa quartina fu scritta dal Monti in risposta al distico dedicatogli dal Foscolo. L'ultimo verso è un riferimento alla passione del Foscolo per il gioco, nel quale egli perdeva regolarmente forti somme.</ref> ([[Vincenzo Monti]]) *Ugo Foscolo, italiano per eccellenza, e d'ingegno singolare, balestrato dall'invidia dei contemporanei, addolorato dal vedere irreparabilmente caduto il regno italico, deludendo schernevolmente il bicipite augello, esulò, rifugiandosi nella costituzionale [[Inghilterra]]: colà il bisogno gli acuì potentemente l'ingegno, e scrisse con magistero sui nostri classici quasi in addolcimento delle proprie politiche amarezze. ([[Giansante Varrini]]) ==Note== <references/> == Bibliografia == *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Ajace]'', in "Ugo Foscolo, Opere", Einaudi-Gallimard, 1994. ISBN 884460017X *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Dell'origine e dell'ufficio della letteratura. Orazione]'', in "Lezioni, articoli di critica e di polemica" di Ugo Foscolo, Edizione nazionale, vol. VII, Le Monnier, Firenze, 1967. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Edippo]'', a cura di Mario Scotti, Rizzoli Editore, Milano, 1983. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Frammenti di un romanzo autobiografico]'', Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1914. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Le Grazie]'', Ugo Mursia editore, Milano, 1967. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Notizia intorno a Didimo Chierico]'', in "Opere" di Ugo Foscolo, Firenze, Le Monnier. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Ricciarda]'', in "Edizione Nazionale delle opere di Ugo Foscolo", vol II, a cura di Guido Bezzola, Firenze, Felice Le Monnier, 1961. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Saggi sopra il Petrarca pubblicati in inglese da Ugo Foscolo e tradotti in italiano da Cammillo Ugoni]'', a cura di Giovanni Papini, R. Carabba Editore, Lanciano, 1928. *Ugo Foscolo, ''[http://www.liberliber.it/libri/f/foscolo/index.htm Sulla lingua italiana. Discorsi sei]'', tratto da "Prose", Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1914. *Ugo Foscolo, ''Ultime lettere di Jacopo Ortis'' (1802), a cura di Giovanna Ioli, Einaudi, Torino, 2004. ISBN 8806177117 *F.S. Orlandini e E. Mayer, ''Opere edite e postume di Ugo Foscolo. Epistolario'', Firenze, Felice Le Monnier, 1854. *Laurence Sterne, ''Viaggio sentimentale di Yorick lungo la Francia e l'Italia'' (''A sentimental journey through France and Italy''), traduzione di Didimo Chierico (Ugo Foscolo), a cura di Giulio Caprin, BMM, Arnoldo Mondadori Editore, 1952. ==Altri progetti== {{Interprogetto}} ===Opere=== {{Pedia|A Napoleone Bonaparte liberatore||(1797)}} {{Pedia|A Zacinto}} {{Pedia|Aiace (Foscolo)|''Ajace''}} {{Pedia|Dei sepolcri||(1806-1807)}} {{Pedia|Le Grazie (Foscolo)|''Le Grazie''}} {{Pedia|Ricciarda (Foscolo)|''Ricciarda''}} {{Pedia|Ultime lettere di Jacopo Ortis||(1801)}} {{DEFAULTSORT:Foscolo, Ugo}} [[Categoria:Memorialisti italiani]] [[Categoria:Personalità dell'ateismo]] [[Categoria:Poeti italiani]] [[Categoria:Scrittori italiani]]'
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'@@ -4,5 +4,5 @@ ==Citazioni di Ugo Foscolo== -*A chi non ha [[patria]] non istà bene l'essere [[prete|sacerdote]], né [[padre]].<ref>Dalla ''Notizia intorno a Didimo Chierico'', XII.</ref> +Porco diooooooo *A chi non ha [[patria]] non istà bene l'essere [[prete|sacerdote]], né [[padre]].<ref>Dalla ''Notizia intorno a Didimo Chierico'', XII.</ref> *A rifar l'[[Italia]] bisogna disfare le sètte.<ref>Da ''Della servitù dell'Italia'', discorso primo: "Considerazioni generali intorno alle parti, alle fazioni, e alle sètte in Italia", in ''Prose politiche'', Le Monnier, p. 186.</ref> *... ''Altissimo | Signor del sommo canto''.<ref>Da ''A [[Dante]]'', citato in [[Giuseppe Fumagalli]], ''[[s:Indice:Chi l'ha detto.djvu|Chi l'ha detto?]]'', Hoepli, Milano, 1921, p. 412.</ref> '
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