Nicola Fornelli

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Nicola Fornelli (1843 – 1915), pedagogista italiano.

Saggio critico-storico sulle vere cause delle Crociate[modifica]

Incipit[modifica]

Sul finire del secolo XI il potere del Papato era stato confermato dalla sua recente costituzione Gregoriana, e dai clamorosi suoi trionfi contro il Principato Civile; la feudalità era piena di vita per le turbolenze interne e religiose, per l'avvilimento dell'Impero, e per lo sviluppo stesso delle istituzioni feudali; i popoli erano curvi sotto il doppio peso della Chiesa, che ne soffocava lo spirito e dei Signori che il corpo ne tormentavano e lo spirito. Chi salverà l'Europa dalla stupidità religiosa e dalla servitù baronale? Il papato ed i baroni.
Poco più di dieci anni dopo la morte del terribile Gregorio, i popoli Europei, ancor vivendo lo scomunicato Arrigo, come fossero scontenti, ma animati da una lotta, che avea loro molto commosso ma poco sollevato lo spirito, si agitano tutto ad un tratto potentemente al grido «di Dio lo vuole». Cristo, figlio di Dio vero, voleva la guerra, e la raccomandava ai suoi fedeli per la ispirata bocca di Pier l'Eremita, a cui era miracolosamente apparso. I papi la vogliono, la predicano, e la benedicono in presenza delle turbe radunate. I baroni fremono ed arrossiscono, pensando che la tomba del Salvatore del mondo sia da sì gran tempo in mano dei cani saraceni. La guerra è reclamata da tutti, è dichiarata santa; e la cristianità da ora in avanti non sentirà più l'onta di non possedere la profetica città, culla e tomba del sua Salvatore. Dio vuole la guerra.

Citazioni[modifica]

  • Urbano II, nelle calorose parole rivolte ai suoi numerosi uditori di Clermont, non tralascia di far notare la miseria delle Provincie francesi per l'eccesso della popolazione, e di fare balenare la speranza di migliori terre e più abbondanti nutrimenti. Il paese che voi abitate, diceva egli ai Francesi, tutto chiuso dal mare e dai monti, si fa pel numero vostro angusto troppo, ed esso presenta scarsità di ricchezze e di alimento ai suoi abitatori; quindi avviene che voi combattiate e mordiate Von l'altro, ed il paese con civili discordie affliggiate. Correte al sepolcro, strappate quella terra dalle mani degli infedeli, e rendetevene padroni. (Parte I, cap. I, pp. 4-5)
  • [...] io mi faccio sempre più certo che le crociate, più che religiose, furono mondane, se, come abbiamo visto, gli uomini, che le fecero non erano animati neppure da una piccola scintilla di quell'infuocato spirito di fede disinteressata, che le formò la forza dei primi Cristiani. (Parte I, cap. IV, p. 17)
  • Ben si sa quanto esclusive ed intolleranti siano le religioni ogni volta che sono tra loro in contatto: quant'acrimonia v'ha nelle guerre religiose; quanto maggiore è l'intolleranza, che accompagna le credenze superstiziose. Colla storia e colla ragione si può dimostrare che laddove la fede non è più nell'anima come sentimento, ma imposta a quella come dovere, da forte ed incontestata autorità, ivi le lotte religiose sono più accanite ed universali, perciocché allora il fedele non trae consiglio dalla sincerità della sua ispirazione, ma ubbidisce, senza comprendere e senza sentire, ad un comando autorevole ed indiscutibile. (Parte I, cap. IV, pp. 18-19)
  • [...] ho per fermo che i Longobardi, se avessero tardato a convertirsi, si sarebbero o fatti sterminare nella lotta contro i Greci ed i Franchi, o costituito avrebbero una Nazionalità compiuta in Italia. Dopo la loro conversione non furono più gl'implacabili uccisori di un intiero popolo dei Gepidi, feroci sì, ma completi caratteri. In opposizione del Papato essi divennero ora avventati, ora timidi, volevano con l'Italia Roma, ma tremavano innanzi alle sue mura. Offesi dai Papi, correvano alla vendetta: ma tosto un Papa Gregorio o un Zaccaria veniva loro incontro, li fermava, li placava, e col miele alle labbra e il sereno sulla fronte, li lusingava, li mansuefaceva sì, da costringerli a far penitenza sulla tomba degli Apostoli o a prendere la cocolla. (Parte II, cap. III, p. 38)

Vita pubblica[modifica]

  • Noi siamo autoritarii fino nelle midolla delle ossa e non sappiamo corriggercene, non ci avvediamo che per ispirito e per eredità di razza, e per educazione inveterata, noi incliniamo con tutto il peso del nostro sentire ed operare, od a troppo ubbidire, od a troppo comandare. Ad essere con la libertà a noi apprende solo la teoria, la lettura, la imitazione di straniere abitudini; mentre con l'autorità noi siamo come in casa nostra, come con noi stessi sempre. (p. 7)
  • [...] come i demagoghi dell'antichità, i loro figliuoli, i demagoghi moderni, sono, come tutti sanno, i più feroci autoritarii, allorché la fortuna metta in mano loro il bastone del comando. (p. 7)
  • [...] noi ci sentiamo tratti a non voler ubbidire all'autorità ed ai suoi atti, non perché sentiamo un interno disagio dell'essere e del sentire nostro, un disgusto, un'incompatibilità della coscienza morale ad acconciarvisi; ma alla disubbidienza invece ci sentiamo tentati, o da un'astrazione della mente, o da un'interesse della vita pratica, o più di frequente da un egoismo autoritario, ossia dal sentimento più o meno cosciente di far concorrenza all'autorità. (p. 8)
  • I popoli latini, l'italiano più degli altri, hanno del grand'uomo, di quel che dev'essere un grand'uomo, un modello nella mente, loro proprio, ed un po' diverso da quel che ne hanno altri popoli, almeno per quanto riguarda l'estrinsecazione del merito e della virtù nella vita pratica. Quel senso di misura, che è tutta cosa nostra, che è eredità dell'antichità classica noi desideriamo vedere attuato nella maniera più perfetta nel nostro grand'uomo: questa è la sua nota fondamentale; e noi vogliamo specchiarci nella moderazione, nella dignità, nella gravità delle parole e degli atti suoi, in quell'equilibrio ed euritmia tra tutte le facoltà, nel che il buon senso classico antico facea consistere la perfezione come la bellezza. Un grand'uomo ad equilibrio rotto è men grand'uomo per noi, meno di meno poi se è un faccendiere, se si mostra e si sciupa troppo, se si agita, se sollecita. (pp. 15-16)

Bibliografia[modifica]

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