Andrea Di Giandomenico

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Andrea Di Giandomenico a Parma nel 2021

Andrea Di Giandomenico (1975 – vivente), allenatore di rugby a 15 ed ex ex rugbista a 15 italiano.

Citazioni di Andrea Di Giandomenico[modifica]

  • Le ragazze non portano la maschera dell'atleta, sono vere, esprimono ogni giorno la loro gioia e lo dimostrano in campo.[1]

Cosa aspettarsi dall'Italia al Mondiale di rugby femminile

Intervista di Mauro Mondello, ultimouomo.com, 11 ottobre 2022.

  • [«[...] il rugby femminile in Italia può contare complessivamente su circa novemila giocatrici tesserate, fra giovanili e seniores. In Inghilterra le giocatrici sono quarantamila, in Francia venticinquemila. Già il solo fatto di riuscire a competere ad alti livelli, nonostante questo divario, è straordinario, ma come possiamo incrementare il numero di giocatrici in Italia? Guardando ai club, alle atlete convocate, si nota poi, come per la squadra maschile peraltro, che il rugby sia uno sport in Italia praticamente confinato ad alcune zone specifiche del Centro-Nord, mentre è praticamente inesistente al Sud: in che modo si può invertire, se si può invertire, questa tendenza?»] La questione del rugby al Sud è effettivamente molto importante, ma la mia opinione è che in questo caso il divario, in gran parte, sia legato a un problema di strutture, che sono cruciali per agevolare la partecipazione. Certo, per noi rinunciare a fette così ampie di territorio significa abbandonare un potenziale enorme. Alla fine a rugby in Italia si gioca principalmente in cinque regioni, con il Veneto a fare gran parte del lavoro: nel nostro paese il rugby non è uno sport di cultura e fatichiamo a imporci. Il timore che il rugby femminile in Italia possa chiudere il suo percorso di crescita però non c'è, si tratta di una disciplina con numeri limitati, è vero, ma il passato in questo senso deve essere un monito di fiducia per il futuro. [...] Bisogna fare attenzione, piuttosto, a dove possiamo arrivare in termini di risultati, perché non è assolutamente detto che questa crescita possa continuare all'infinito.
  • [«Il professionismo [...] può dare una mano o rischia piuttosto, come visto in parte nel rugby maschile, di snaturare un po' l'anima tecnica di questo sport, senza peraltro riuscire a produrre una reale omogeneità, in termini di crescita, fra i vari movimenti e le varie nazioni?»] Strutture, staff, un approccio professionale alla disciplina rugbistica: questo è ciò che serve in Italia, un'organizzazione in grado di alimentare la cultura di educazione al rugby. Non possiamo pensare di risolvere tutto pagando le giocatrici. Sarebbe facile se bastasse pagare le atlete [...]. Per arrivare al professionismo ci serve prima di tutto un contesto professionale, che al momento è molto poco sviluppato, ma se creiamo il professionismo, pagando le atlete, in un contesto non professionale, purtroppo non risolviamo nulla. Vogliamo riflettere, in questo senso, sui nostri atleti professionisti maschi in Italia? Non è solo una questione di genere, ma di sostenibilità complessiva del professionismo in contesti non perfettamente professionali. Mi sembra che prima del professionismo sarebbe quindi il caso di concentrarsi con maggiore attenzione, ad esempio, alla transizione delle giocatrici a fine carriera, alle pensioni delle atlete, alla conversione di tutto il tempo speso sul campo in un'occupazione che permetta alle ragazze di non disperdere il lavoro sportivo di anni. Il discorso non può ridursi ai contratti delle giocatrici: questo non solo non è reale, ma è anche fuorviante. All'estero, in Inghilterra, in Francia, in Scozia, spesso una giocatrice di interesse nazionale trova impiego nei corpi militari, nella scuola, nei club professionistici. In questi casi diventa chiaro che non è il contratto a fare la differenza, quanto il contesto, la prospettiva. Hai la possibilità di lavorare, di sviluppare, di pensare a una carriera. Per crescere come movimento dobbiamo pensare a come poter restituire alle ragazze quello che hanno fatto e fanno sul campo in termini di possibilità per il loro futuro, sia mentre giocano che una volta che si ritireranno dall'attività agonistica: quando si parla di professionismo per me si parla solo di questo.
  • La questione sicurezza per il rugby è prioritaria. Già in Francia e in Inghilterra, in alcune categorie minori, si placca solo giù dalla cintola, ad esempio. Se ci pensiamo, gli sport di combattimento funzionano per categorie di peso, mentre nel rugby, nelle varie squadre, troviamo giocatori che per categoria di peso non potrebbero mai affrontarsi in uno sport di combattimento. Il rugby è uno sport diverso dal pugilato o dal judo, certo, ma lo scontro fisico è comunque una parte fondamentale di questa disciplina e dunque ha senso riflettere sulla fisicità esasperata del rugby moderno. La mia opinione, la mia idea, quello che mi piacerebbe vedere di più sui campi in futuro, è il ritorno a un gioco più creativo, più destrutturato, più legato alla logica fluida del possesso, alle dinamiche naturali di avanzamento e difesa. Oggi gran parte del gioco che vediamo è codificato, ripetitivo, almeno fino a quando non si riesce a rompere qualche meccanismo. [...] Io credo che ci sia la necessità di tornare a inventare, di trovare soluzioni che puntino a destrutturare le fasi, pur rimanendo saldi ai principi alla base del rugby: avanzamento, conquista del pallone. Questo è quello che piacerebbe vedere a me, è un'opinione molto personale ma credo che lavorare, pure a livello regolamentare, per sostenere scelte di gioco più creative, aiuterebbe anche la questione sicurezza, perché un gioco più destrutturato è anche un gioco che ha bisogno di abilità tecniche maggiori, a scapito magari, ma non necessariamente, di quelle fisiche.

Note[modifica]

  1. Dall'intervista di Daniele Goegan, Andrea Di Giandomenico ci parla del suo futuro, rugbymeet.com, 27 febbraio 2019.

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