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Donato Carrisi

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Donato Carrisi

Donato Carrisi (1973 – vivente) scrittore, sceneggiatore, drammaturgo, giornalista e regista italiano.

Citazioni di Donato Carrisi

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  • Il 18 settembre del 1931, in un elegante appartamento nel centro di Monaco, viene ritrovato il corpo di una ragazza di soli 23 anni. Tutto sembra lasciar intendere che Angelika Raubal, conosciuta come Geli, si sia suicidata. Per la precisione, si sia sparata con una pistola Walther calibro 6.35 millimetri. Ma niente è lineare come appare. E non solo perché la morte di Geli Rabaul è a tutti gli effetti quello che i giallisti chiamano «enigma della casa chiusa». Il punto cruciale, che vedrà scatenarsi i quotidiani tedeschi locali e nazionali, è l'identità del proprietario dell'appartamento di lusso in cui viveva Geli, l'uomo che era anche il suo tutore legale, nonché suo zio. Adolf Hitler. Un astro nascente della politica tedesca [...][1]
  • Oggi tutti ci ricordiamo di Eva Braun: ma il suo nome è diventato di dominio pubblico soltanto dopo la fine della guerra. Prima di allora, negli anni dell'ascesa di Hitler, esisteva solo una donna per lui. Proprio sua nipote, Geli. L'inquieta Geli, l'attraente Geli, la chiacchieratissima Geli, pessima studentessa e cantante talentuosa, sempre al fianco del potentissimo zio, circonfusa da un sorriso tanto luminoso quanto impenetrabile. Eppure, oggi di lei nessuno si ricorda.[1]

Il suggeritore

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Carcere di XXXXXXX
Distretto Penitenziario n.º 45.
Report del Direttore, dr Alphonse Bérenger.
23 nov. c.a.
All'attenzione dell'Ufficio del
Procuratore Generale
J.B. Marin

Oggetto: CONFIDENZIALE

Gentile signor Marin,
mi permetto di scriverLe per segnalare lo strano caso di un detenuto.
Il soggetto in questione è il numero di matricola RK-357/9. Ormai ci riferiamo a lui solo in questo modo, visto che non ha mai voluto fornire le proprie generalità. Il fermo di polizia è avvenuto il 22 ottobre. L'uomo vagava di notte – solo e senza vestiti – in una strada di campagna nella regione di _. Il confronto delle impronte digitali con quelle contenute negli archivi ha escluso il suo coinvolgimento in precedenti reati o in crimini rimasti irrisolti. Tuttavia il reiterato rifiuto a rivelare la propria identità, anche davanti a un Giudice, gli è valso una condanna a quattro mesi e diciotto giorni di reclusione. Dal momento in cui ha messo piede al Penitenziario, il detenuto RK-357/9 non ha mai dato segni d'indisciplina, dimostrandosi sempre rispettoso del regolamento carcerario. Inoltre l'individuo è di indole solitaria e poco incline a socializzare. Forse anche per questo nessuno si è mai accorto del particolare comportamento, notato solo di recente da uno dei nostri secondini. Il detenuto RK-357/9 deterge e ripassa con un panno di feltro ogni oggetto con cui entra in contatto, raccoglie tutti i peli e i capelli che perde quotidianamente, lustra alla perfezione le posate e il water ogni volta che li usa. Siamo dunque di fronte a un maniaco igienista o, molto più verosimilmente, a un individuo che vuole a tutti i costi evitare di lasciare «materiale organico». Nutriamo, di conseguenza, il serio sospetto che il detenuto RK-357/9 abbia commesso qualche crimine di particolare gravità e voglia impedirci di prelevare il suo DNA per identificarlo. Fino a oggi il soggetto ha potuto condividere la cella con un altro recluso, il che l'ha certamente favorito nell'opera di confondere le proprie tracce biologiche. Però La informo che come prima misura lo abbiamo tolto da tale condizione di promiscuità, mettendolo in isolamento. Segnalo quanto sopra al Suo Ufficio per avviare apposita indagine e richiedere, se necessario, un provvedimento d'urgenza del Tribunale che costringa il detenuto RK- 357/9 a effettuare la prova del DNA. Il tutto tenuto conto anche del fatto che fra esattamente 109 giorni (il 12 marzo) il soggetto finirà di scontare la pena.


Con osservanza.

Direttore dr Alphonse Bérenger

Donato Carrisi ad una presentazione del suo libro: Il Suggeritore

Citazioni

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  • Il Male alle volte ci inganna, assumendo la forma più semplice delle cose. (p. 14)
  • «Li chiamiamo mostri perché li sentiamo lontani da noi, perché li vogliamo 'diversi'», diceva Goran nei suoi seminari. «Invece ci assomigliano in tutto e per tutto. Ma noi preferiamo rimuovere l'idea che un nostro simile sia capace di tanto. E questo per assolvere in parte la nostra natura. Gli antropologi la definiscono 'spersonalizzazione del reo' e costituisce spesso il maggior ostacolo all'identificazione di un serial killer. Perché un uomo ha dei punti deboli e può essere catturato. Un mostro no.» (p. 27)
  • Mila pensava che ognuno di noi ha una strada. Una strada che porta a casa, alle persone più care, a ciò cui siamo maggiormente legati. Di solito la strada è sempre quella, la s'impara da piccoli, e ognuno la segue per tutta la vita. Ma capita che quel cammino si spezzi. A volte ricomincia da un'altra parte. O, dopo aver disegnato un percorso tortuoso, ritorna al punto in cui si era spezzato. Oppure rimane come sospeso. A volte, però, si perde nel buio. (p. 30)
  • I bambini non vedono la Morte. Perché la loro vita dura un giorno, da quando si svegliano a quando vanno a dormire. (p. 37)
  • La sofferenza ha un compito. Serve a ricomporre i legami tra le cose dei vivi e quelle dei morti. È un linguaggio che sostituisce le parole. Che cambia i termini della questione. (p. 63)
  • Perché tornare indietro si può, si deve. C'è sempre un momento in cui, a forza di procedere e di guardare solo avanti, si percepisce qualcosa – un richiamo – e ci si volta un poco per vedere se laggiù ogni cosa è rimasta uguale, o se invece è cambiato qualcosa in chi ci siamo lasciati alle spalle, e in noi. (p. 116)
  • Il dolore non esiste. Come tutta la gamma delle emozioni umane d'altronde. È solo questione di chimica. L'amore è questione solo di endorfine. Con una siringa di Pentothal posso toglierti ogni esigenza affettiva. Siamo solo macchine di carne. (p. 171)
  • Dio è silenzioso, il Diavolo sussurra. (p. 237)
  • Non ti aiuta sapere come. Non ti serve capire perché. Non ti basta capire chi. Lui è già un passo avanti. (in copertina)
  • Perché è dal buio che vengo. Ed è al buio che ogni tanto devo ritornare.
  • «Una volta ho sentito qualcuno dire che il male può essere sempre dimostrato. Il bene mai. Perché il male lascia tracce di sé al suo passaggio. Mentre il bene lo si può solo testimoniare.» Nicla sorrise, finalmente. «È una sciocchezza», disse subito. «Vedi Mila, il fatto è che il bene è solo troppo fugace per poter essere registrato in qualche modo. E al suo passaggio non produce scorie. Il bene è pulito, il male invece sporca. Però io lo posso provare, il bene, perché lo vedo tutti i giorni. Quando uno dei miei poveri si avvicina alla fine, cerco di stare con lui il più possibile. Gli tengo la mano, ascolto le cose che ha da dirmi, se mi racconta le sue colpe io non lo giudico. Quando capiscono cosa gli sta accadendo, se hanno condotto una buona vita e non hanno procurato del male, o se l'hanno fatto e poi si sono pentiti... be', loro sorridono sempre. Non so perché ma succede, te l'assicuro. Perciò la prova del bene è il sorriso con cui sfidano la morte.» (p. 354)
  • «Questi individui sono difficili da scoprire. Da fuori appaiono del tutto normali, uomini comuni. Ma scavando sotto la superficie di normalità, ecco che appare il loro 'io' interiore. Quello che molti di loro chiamano 'la bestia'. Gorka l'ha alimentata coi suoi sogni, l'ha nutrita dei suoi desideri. A volte ha dovuto fare i conti con lei. Forse l'ha anche combattuta per un certo periodo della sua vita. Alla fine, però, è sceso a patti. Ha capito che c'era un solo modo per farla tacere: accontentarla. Altrimenti lei lo avrebbe divorato dal di dentro.» (p. 385)
  • "Non capivano che invece avrebbe solo voluto un po' di autenticità dopo tutti gli inganni che aveva dovuto subire" (p. 437)
  • Qualche psichiatra vi definisce sussurratori, per la vostra capacità d'incidere sulle personalità più deboli. Io preferisco chiamarvi lupi... I lupi agiscono in branco. Ogni branco ha un capo, e spesso gli altri lupi cacciano per lui. (p. 447)

Il tribunale delle anime

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Il cadavere aprì gli occhi.
Era disteso in un letto, supino. La stanza era bianca, illuminata dalla luce del giorno. Sul muro, proprio davanti a lui, c'era un crocifisso di legno.
Osservò le proprie mani adagiate lungo i fianchi, sulle lenzuola candide. Era come se non gli appartenessero, come se fossero di qualcun altro. Ne sollevò una – la destra – e la tenne davanti agli occhi per guardarla meglio. Fu allora che sfiorò le bende che gli coprivano il capo. Era ferito, ma si accorse di non provare dolore.
Si voltò verso la finestra. Il vetro gli restituì il debole riflesso del suo volto. In quel momento, arrivò la paura. La domanda gli fece male. Ma ancor più, la consapevolezza di non conoscere la risposta.
Chi sono io?

Citazioni

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  • Ormai collezionava frasi di circostanza. La più gettonata era: «Coraggio, tuo marito David avrebbe voluto che fossi forte». Invece [Sandra] avrebbe voluto registrarle tutte per poter poi dimostrare al mondo che esiste qualcosa di peggio dell'indifferenza al dolore altrui: la banalità con cui si cercava di sanarlo. (4a sezione: Quattro giorni fa)
  • [Marcus a Nicola Costa:] «E più ti osservano, più si sentono diversi. Sei diventato il loro alibi per credersi migliori. A questo, d'altronde, servono i mostri». (4a sezione: Quattro giorni fa)
  • «Il bene ha sempre un prezzo, Marcus. Il male è gratis». – Jeremiah Smith. (8a sezione: Due giorni fa)
  • Non esistono mostri, ricorda [Sandra] a se stessa. Ma solo persone normali che compiono crimini orrendi. (14a sezione: Ora)

L'ipotesi del male

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La stanza 13 dell'obitorio di Stato era il girone dei dormienti. Si trovava al quarto e ultimo livello del sotterraneo, nel gelido inferno delle sale frigorifere. Il piano era riservato ai cadaveri senza identità. Di rado qualcuno chiedeva di visitarlo. Ma quella notte era in arrivo un ospite. [...] A quel punto il tono cambiò, [il custode] si fece inquieto, perché il seguito riguardava la ragione di quella strana visita notturna. «Poi ci sono quelli della stanza numero tredici.» Le vittime anonime degli omicidi irrisolti. «Nei casi di omicidio, la legge dice che il corpo costituisce elemento di prova fino a quando non viene accertata l'identità della vittima» affermò il custode. «Non si può condannare un assassino se non si dimostra che la persona che ha ucciso esisteva veramente. Senza un nome, il corpo è la sola prova di quell'esistenza. Perciò viene conservato senza limite di tempo. È uno di quegli strambi cavilli legali che piacciono tanto agli avvocati.» Fin quando non veniva definito il fatto criminoso a cui era collegata la morte, le spoglie non potevano essere distrutte o destinate a naturale deperimento, recitavano le disposizioni. «Noi li chiamiamo i dormienti.» Uomini, donne, bambini sconosciuti per la cui uccisione non era stato ancora individuato un colpevole. Da anni attendevano che qualcuno si presentasse per liberarli dalla maledizione di somigliare ai vivi. E, come in una fiaba macabra, perché ciò accadesse era sufficiente pronunciare una parola segreta. Il loro nome. La dimora che li accoglieva – la stanza numero 13 – era l'ultima in fondo. Arrivati di fronte alla porta di metallo, il custode armeggiò con un mazzo di chiavi finché non trovò quella giusta. Aprì e indietreggiò per cedere il passo. Appena l'ospite mise piede nel buio, sul soffitto si accese una fila di lampade gialle azionate da sensori di movimento. Al centro della sala c'era un tavolo autoptico circondato da alte pareti frigorifero con decine di celle. Un alveare d'acciaio. «Deve firmare qui, è il regolamento» disse il custode porgendo un registro. «Quale le interessa?» domandò poi, tradendo una certa irrequietezza. L'ospite finalmente parlò. «Il cadavere che sta qui da più tempo.» AHF-93-K999. Il custode aveva imparato la sigla a memoria, pregustando la soluzione di un antico mistero. Individuò subito la cella con l'etichetta attaccata alla maniglia. Era situata sulla parete sinistra, la terza dal basso. La indicò all'ospite. «Fra le storie dei corpi che sono qua sotto, non è neanche la più originale» ci tenne a precisare l'uomo. «Un sabato pomeriggio alcuni ragazzi giocano a calcio nel parco e il pallone finisce dentro un cespuglio: è così che l'hanno trovato. Gli avevano sparato in testa. Non ha documenti, nemmeno le chiavi di casa. Il volto è ancora perfettamente riconoscibile, ma nessuno chiama i numeri di emergenza in cerca d'informazioni e non vengono presentate denunce di scomparsa. In attesa di un colpevole, che potrebbe anche non essere mai individuato, la sola prova del delitto è proprio il cadavere. Per questo il tribunale decide che venga preservato finché il caso non sarà risolto e verrà fatta giustizia.» Fece una pausa. «Da allora sono passati anni, ma lui sta ancora qui.» Per tanto tempo il custode si era domandato che senso avesse conservare la prova di un crimine di cui ormai nessuno serbava memoria. Come d'altronde aveva sempre ritenuto che il mondo si fosse scordato da un pezzo dell'anonimo inquilino della stanza 13. Ma dalla successiva richiesta dell'ospite intuì che il segreto conservato dietro quei pochi centimetri d'acciaio andava ben oltre una semplice identità. «Apra, voglio vederlo.» AHF-93-K999. Per anni era stato il suo nome. Ma quella notte forse le cose sarebbero cambiate. Il custode dei morti azionò la valvola di sfiato per procedere all'apertura della cella. Il dormiente stava per essere svegliato

Citazioni

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  • Chi ama sul serio è anche capace di odiare. (cap. 20)
  • «Ma a volte non capisci chi è il cattivo, il vero mostre di questa storia» diceva. «Moby Dick o il capitano? Perché Achab insiste a cercare qualcosa che non vuole essere trovato?» (Eric Vincenti: cap. 21)
  • «Tutti indossiamo una maschera per nascondere la parte peggiore di noi. Quella di Eric erano le caramelle alla menta.» (Stephanopulos: cap. 21)
  • Erano soli. Come tanti altri, si potrebbe obiettare. Ma la loro solitudine era diversa. Gli era cresciuta addosso come una pianta rampicante. (cap. 26)
  • Alla gente non piace parlare ma, sicuramente, piace essere ascoltata. (Simon Berish: cap. 27)
  • [Simon Berish] «Cosa c'è nel fuoco, Michael?»
    Sul volto del prigioniero apparve un sorriso sinistro. «Tutto ciò che uno vuole vedere.» (cap. 54)
  • Una lezione che ho imparato in anni di carriera è che nessuno è davvero interessato alle vittime […]. Tanto che alla fine tutti ricordano sempre solo il nome dei colpevoli, le vittime vengono dimenticate. – Stephanopulos. (cap. 63)

L'uomo del labirinto

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Mentre per la maggioranza dell’umanità quel 23 febbraio era solo un mattino come un altro, per Samantha Andretti poteva essere l’inizio del giorno più importante della sua giovane vita. Tony Baretta aveva chiesto di parlarle. Sam si era rigirata nel letto pert utta la notte come l’indemoniata di alcuni film dell’orrore, provando a ipotizzare i motivi che spingevano uno dei ragazzi più carini della scuola – e del creato – a voler scambiare frasi di senso compiuto proprio con lei. L’inizio dei fatti, però, doveva essere collocato al giorno precedente. Per prima cosa, la richiesta non era stata fatta direttamente a lei, e nemmeno da lui in persona. Fra i preadolescenti certe cose prevedevano il rispetto di regole precise. Certo, l’iniziativa partiva sempre dall’interessato. Ma poi c’era tutta una procedura. Tony si era servito di Mike, uno del suo giro, che l’aveva riferito a Tina, la compagna di banco di Sam. Tina poi l’aveva detto a lei. Una frase semplice, diretta, ma che, nell’imperscrutabile universo delle scuole medie, poteva significare molte cose.

Note

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  1. a b Da, L'enigma di Angelika Fabiano Massimi rievoca la misteriosa morte della nipote (e forse amante) di Hitler, Corriere della Sera, 2 gennaio 2020.

Bibliografia

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  • Donato Carrisi, Il suggeritore, Longanesi, 2009. ISBN 9788830426443
  • Donato Carrisi, Il tribunale delle anime, Longanesi, 2011.
  • Donato Carrisi, L'ipotesi del male, Longanesi, 2013.
  • Donato Carrisi, L'uomo del labirinto, Longanesi, 2017. ISBN 9788830450622

Filmografia

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Altri progetti

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Opere

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