Lesnoj (Oblast' di Sverdlovsk)

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Il Palazzo della Cultura di Lesnoj (2007)

Citazioni su Lesnoj, conosciuta in passato come Sverdlovsk-45 o S-45.

Natasha Stefanenko[modifica]

  • Con la testa di oggi è una cosa inquietante a pensarci: era circondata da mura e filo spinato, allarmi ovunque, pattugliata da militari armati, ogni 100 metri c'era un cane lupo legato a un filo d'acciaio che correva a destra e sinistra. Si produceva uranio arricchito per le testate nucleari e mio padre lavorava lì. Città così ce n'erano una quarantina in tutta l'Urss, erano state volute da Stalin dopo la Seconda guerra mondiale. Città fantasma e segrete. S-45 fu costruita nel 1947, grazie ai detenuti dei gulag, che poi non potevano certo tornare a raccontarlo... [«Con gli occhi di lei bambina come vedeva la città in cui è cresciuta?»] Da ragazzina non vedevo questa inquietudine: la città era immersa in un bosco fittissimo, con la neve per 9 mesi all'anno, bianca, fiabesca, il lago lì vicino dove andavamo a pescare. La piscina era la mia seconda casa, c'era lo stadio dove praticare tanti sport: pattinaggio sul ghiaccio, sci di fondo, la slitta che adoravo, andavamo a vedere l'hockey. Io ero proprio felice. È stata un'infanzia e un'adolescenza di amore e divertimento totale, non mi è mancato niente, studiavo, mi divertivo. Mio papà sdrammatizzava con la sua ironia e autoironia [...] Sul passaporto c'era scritto che stavamo a Ekaterinburg, che è a 250 chilometri da noi, avevamo un pass, mi sentivo libera e privilegiata, era un posto molto fornito, potevi comprare qualunque cibo e costava tutto poco. Con 3 rubli mettevi in tavola la cena per un esercito, c'era un sacco di caviale e alla fine non ne potevo più. E poi era tutto gratis: luce, acqua calda, casa e ospedale gratis, le tasse non esistevano. Lo chiamavano il piccolo paradiso.
  • Io sono nata nel pieno regime sovietico, ai tempi di Brest-Litovsk, in una città segreta, infatti la città in cui abitavo non aveva un nome, perché per motivi militari, quasi per mezzo secolo, non esisteva sulla carta geografica. La città era circondata completamente da mura, dal filo spinato, dagli allarmi. Controllata costantemente dalle guardie. C'erano pochissimi varchi per entrare. Anche i cittadini sovietici, per entrare, dovevano procurarsi i documenti che erano quasi impossibili da ottenere. Noi cittadini potevamo entrare e uscire perché avevamo un pass. A tutti gli altri era proibito.
  • Mio padre faceva l'ingegnere nucleare in una città segreta, vicino a Sverlosk, negli Urali, dove fu sindaco per molti anni Eltsin. [...] Si chiamava con un numero. Mio padre la mattina usciva di casa e andava a lavorare sotto terra. [«Che cosa faceva?»] Bombe atomiche, credo.

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