Luigi Tommaso Belgrano

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

Luigi Tommaso Belgrano (1838 – 1895), storico, bibliotecario e docente italiano.

Citazioni di Luigi Tommaso Belgrano[modifica]

  • Ciò che per altro rese in ispecie famoso il Dondi, si è l'opera di quell'orologio, od astrario che dir si voglia, tutto fabbricato di rame e d'ottone, e composto di circa dugento pezzi, a preparare i quali ebbe impiegati ben sedici anni. Questa macchina, che fu compiuta nel 1364, e venne alquanto più tardi fatta allogare da Gian Galeazzo Visconti nella sua biblioteca del castello di Pavia, si vide allora noverata fra le meraviglie del mondo, e valse al suo autore il soprannome di Orologio; il quale perpetuossi dappoi ne' suoi discendenti [...].[1]
  • Tra' figliuoli di Iacopo Dondi vuolsi annoverare Giovanni, a cui somma lode basterebbe il dire che fu amico diletto al Petrarca; il quale gli scrisse di lunghe ed affettuose lettere, e gli diresse un sonetto[2], e con altri pochi il ricordò nei proprio testamento, in cui gli fe' legato di cinquanta ducati doro.[3]

Della vita privata dei genovesi[modifica]

  • Ma sopra tutti notevole è il palazzo [Giacomo Spinola] che prospetta la piazza delle Fontane Amorose, o come or si dice Morose, e venne da Jacopo Spinola edificato sullo imbasamento della torre di sua famiglia, smantellata nell'epoca già detta del 1309. Sono quivi in bene ornate nicchie cinque statue; e ritraggono, oltre la figura di un armigero, alcuni illustri personaggi di quel casato. (pp. 32-33)
  • I moscatelli di Taggia erano poi di tanta preziosità e dolcezza, che nulla invidiavano alle malvasie di Candia, oppure a' vini di Cipro ed a quelli spremuti dalle uve greche di Napoli; sicchè venivano ricercati di Roma e di Firenze, di Francia e d'Inghilterra, per essere serviti alle più ricche tavole. (p. 125)
  • Fama di grande beltà e gentilezza ebbero sempre le donne genovesi; ed i lor vezzi e pregi comandando insieme all'ammirazione il rispetto, meritarono essere celebrati da prosatori e poeti. (p. 219)

Storia coloniale dell'epoca antica, medievale e moderna[modifica]

  • [...] i Fenici mostrarono sempre una tendenza notevolissima ad impossessarsi delle isole; le quali difatti riuscivano sopra modo acconce pel deposito delle derrate e come asilo sicuro per le navi. (cap. I, p. 8)
  • Concludendo questo capitolo sulle colonie dei Fenici, teniamo a rilevarne il carattere, osservando come la marcia trionfale dell'Ercole Tirio[4] siasi compiuta unicamente per vie pacifiche; a differenza di quanto c'insegna la storia della maggior parte de' popoli antichi e moderni, i cui stabilimenti coloniali furono conseguenze d'invasioni armate e di brutali conquiste. (cap. I, p. 15)
  • Le colonie romane si differenziano profondamente dalle greche e dalle fenicie. Queste ebbero spesso per autori uomini di ventura, né si informarono ad altro concetto politico, fuor quello di liberare la madre-patria dalla popolazione esuberante. Del resto ebbero tutte un indirizzo economico, e ci rappresentano come altrettante stazioni acconce allo sviluppo della navigazione o alla prosperità dei commerci. All'incontro[5] le colonie romane furono costantemente ordinate dai supremi poteri dello Stato, ed ebbero per lungo tempo un carattere essenzialmente militare. Erano campi fortificati, dice lo Scherer, stabiliti sovra le terre alle quali Roma aveva estese le proprie conquiste, né proponevansi il menomo scopo mercantile; ma aveano per ufficio di proteggere il territorio dello Stato dalle aggressioni dei nemici, e di assicurarne vie meglio il possesso tenendo in freno i vinti. (cap. IV, p. 36)
  • [...] i Romani, allorché si travagliarono nella conquista della penisola, ebbero per costume di confiscare a vantaggio dello Stato una parte delle terre pertinenti ai popoli ridotti in soggezione. Questa parte, che dicevasi agro pubblico, era d'ordinario il terzo e qualche volta più; e secondo l'opportunità si usò venderla o distribuirla fra' cittadini di Roma, oppure destinarla a sede di una colonia. In quest'ultimo caso l'agro pubblico diventava agro colonico. (cap. IV, p. 37)
  • [...] le colonie che Roma stabilì nell'Italia, furono di due specie: romane propriamente dette e latine.
    Chiamaronsi col primo nome le colonie composte di cittadini romani, i quali conservavano tutti i diritti inerenti alla loro qualità, compresi quelli del suffragio e degli onori. [...]
    Chiamaronsi poi latine le colonie composte di cittadini del Lazio, dopo che questa contrada venne in potere dei Romani (a. 338). I quali concedettero a' suoi abitanti il diritto di commercio, che li rendeva capaci di acquistare e vendere la proprietà in qualsivoglia parte del territorio di Roma, e sotto certe condizioni anche quello di suffragio; ma negarono loro il diritto di connubio, e per conseguenza anche la patria potestà. (cap. IV, pp. 39-40)

Note[modifica]

  1. Da Degli antichi orologi pubblici d'Italia, Estratto dall'Archivio storico italiano, Tipografia galileiana, Firenze, 1868, p. 40.
  2. Onesto sonetto fa parte del Canzoniere (Il mal mi preme, e mi spaventa il peggio, ec.), ed è in risposta ad altro di Giovanni, che comincia: Io non so ben s'io veda quel ch'io veggio. Il Dondi, allegando essere tratto quasi fuor di senno da passione amorosa, domanda consiglio al Poeta; e questi gli risponde invitandolo ad alzare l'anima a Dio [...]. [N.d.A.]
  3. Da Degli antichi orologi pubblici d'Italia, cit., p. 40.
  4. Ercole fenicio.
  5. Al contrario.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]