Mariapia Veladiano

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Mariapia Veladiano

Mariapia Veladiano (1960 – vivente), scrittrice italiana.

Citazioni di Mariapia Veladiano[modifica]

  • Da una posizione saldamente socialmente accettata, Ban Zhao può parlare con una libertà piena di maliziosa denuncia. Poiché «il criterio che regola i rapporti fra marito e moglie partecipa all'alternanza di yin e yang, è la via che conduce alla comprensione del divino, è il supremo principio di Cielo e Terra, e il fondamento etico dell'ordine morale», allora se manca questa armonia si va contro l'ordine del mondo e il bene dell'umanità.
    Questo bene viene dall'educazione, scrive Ban Zhao, ed è profondamente sbagliato pensare che l'educazione e la cultura siano faccenda solo dei maschi. Maschi e femmine devono essere educati nello stesso modo fino ai 15 anni, solo in questo modo si riconosce la «relazione fondamentale che unisce gli uni alle altre». E dentro questa relazione d'armonia che contribuisce all'armonia dell'universo, «il rispetto possiamo dire che non sia altro che mantenere una condotta appropriata in ogni occasione e l'obbedienza possiamo dire non sia altro che essere generose e tolleranti».
    Con tutto quello che aveva a disposizione e dentro una tradizione fortemente ingessata Ban Zhao ha fatto il miracolo di dire a chi leggeva: 1) l'educazione è tutto; 2) l'educazione è una, e non distinta per sesso; 3) la forma (delle relazioni) è sostanza; 4) il nostro futuro è l'armonia.
    Non sembra poco e non sembra inutile ricordarlo, oggi.[1]

Da Veladiano: il mondo rovesciato del Magnificat

Intervista di Laura Badaracchi, avvenire.it, 8 ottobre 2014

  • La storia di una Chiesa senza la parola, la responsabilità, l'autorità delle donne è semplicemente una storia di infedeltà al Vangelo. Quando preghiamo con il Magnificat accogliamo come dono e insieme come compito quel "rovesciare i potenti dai troni" che ci porta fuori dal mondo del dominio e dentro quello della reciprocità.
  • [...] la teologia al femminile ha avuto il compito necessario di mostrare che la teologia era malata degli stessi stereotipi sul femminile che attraversavano la società. E di liberare il pensiero teologico da una posizione difensiva in cui si era confinato rispetto al femminile e rispetto a quello che, secondo uno stereotipo appunto, al femminile appariva connesso, cioè il corpo, la sensibilità, l'accudimento, la tenerezza.
  • [Su Giuditta]. Si resta senza fiato a leggere il suo affrontare solitario una situazione che sembra mettere all'angolo perfino la fede. E ci si chiede da dove arrivi la sua forza. Prima va dai capi di Betulia, intortolati in una fede impaurita e ricattatoria. Poi prega con una preghiera straordinaria: "Infondi a questa vedova la forza di fare quello che ho deciso". E qui si capisce che la sua forza arriva da Dio. Giuditta non si sottrae a quel che capita. Non ha scrupoli. Lo scrupolo è spesso mancanza di fede. Non credere che Dio può dove noi non arriviamo. Lei può parlare così perché non è sola. Non siamo soli, mai. E poi c'è il corpo. Nella storia di Giuditta la salvezza del popolo passa attraverso la sua fede e il suo corpo di donna dalla bellezza che seduce. La salvezza di tutti noi passa attraverso l'incarnazione. Eppure di Giuditta si è impadronito un immaginario maschile che l'ha fissata nello stereotipo della bellezza o della violenza.

Note[modifica]

  1. Da Ban Zhao e il tempo del #MeToo, ilregno.it, 15 ottobre 2018.

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