Mario Morasso

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Mario Morasso (1871 – 1938), scrittore, poeta, saggista e giornalista italiano.

L'arte moderna alla III Esposizione di Venezia[modifica]

  • Nordström [...] merita di essere considerato primo, come quegli che seppe infondere compendiosamente l'intensificazione della realtà, l'unione in un solo svolgimento delle energie reali con una rappresentazione semplice, ingenua, poderosa di originale vigore.
    Il suo paesaggio Sera d'inverno, sia per la colorazione unitaria consistente in diversi toni d'azzurro, sia per la composizione sintetica, comprende gli aspetti, i sentimenti che tutta quella natura strana e turbatrice riveste ed esprime, talché il quadro se può essere anche una fedele riproduzione di un brano della realtà, costituisce essenzialmente la rappresentazione simbolica dell'intero paese. Un solitario gruppo di case giace tranquillo, quasi perduto, nella landa nevosa leggermente ondulata. Alcuni alberi si inalzano con una significazione di smarrimento, privi di colore proprio, in quella solitudine bluastra sulla quale incombe la notte grandiosa. Soltanto pochi lumi dispersi segnano la vita e la luce, scarse ma indicatrici.
    Come nell'epilogo del Gian Gabriele Borkman, par di assistere al gesto tragico di un mondo, così in questa breve tela è tutta una regione che intimamente si dispiega. (pp. 136-137)
  • Paulsen con la sua Serata autunnale sul lago, delicatissimo paesaggio, dove la fonte della pallida luce, che squarcia la costrizione delle nubi, infonde sulla deserta pianura una dolce e velata tristezza, dove la fattura è meno rude e schematica ed il colore più fuso e attenuato, ci avvia verso le velature e le dolci esilità scozzesi. (p. 138)
  • Tempra eminentemente ricercatrice, lo Zorn ha adottato la fattura rapida e sommaria dell'impressionismo cercando di cogliere momenti singolari e difficili della realtà, esprimendone soltanto la linea generale e arrivando quindi a qualche eccellente figurazione simbolica. Ma in Zorn resta sempre la natura nordica, che egli non seppe o non poté fondere con le sue aspirazioni innovatrici, così che invece di giovarsi dei portati dell'arte straniera per isvolgere la sua personalità serbandone intatto il carattere individuale e nazionale, quello che gli rimaneva di temperamento artistico innato e paesano contrastò dannosamente con le appropriazioni di metodi forestieri, impedendo all'artista di trovarsi una forma integrale definita. Egli quindi non è uno di quei cosmopoliti assimilatori che, facendo tabula rasa di ogni istinto originale, si rifanno un nuovo carattere con i sistemi assimilati, e non è più un nordico puro e solenne come Nordström, ma è una personalità quasi sdoppiata e antitetica. (pp. 138-139)
  • Vediamo [...] che mentre per un lato egli [Anders Zorn] non va alle innovazioni ultime, ma oscilla dal realismo impressionista a qualche saggio di simbolismo, come nel suo Ballo, in cui egli si perde ancora a raffigurare l'istantaneità del movimento, cadendo così in una vecchia ricerca realistica, per l'altra l'istinto naturale del color profondo e cupo se gli ha permesso di accogliere il segno libero e rapido dell'impressionismo, gli ha impedito di adottarne la colorazione luministica, onde le sue tele risultano malauguratamente incerte e buie come taluni abbozzi del Michetti. (p. 139)
  • Il primo tra i realisti, e quello che maggiormente si ricollega alla tradizione augusta degli antichi maestri, è indubbiamente il ritrattista Franz Lenbach, nel quale anzi si può affermare che il tradizionalismo significato nella nobiltà delle forme e delle pose, nella severa distinzione del quadro, nell'arcaicità voluta della fattura e del colore, supera di gran lunga il realismo così da costituire un artificio vero e proprio e malauguratamente uniforme, che però l'abilità del pittore e il suo severo senso estetico fanno ammirare sempre e celebrare come una profonda interpretazione della realtà. (pp. 141-142)
  • Vi è stato [...] chi disse che, dipingendo gli occhi, Lenbach rivelava le anime, e non mai giudizio fu più errato. Esso dipende precisamente dall'incanto che la raccolta dei suoi ritratti esercita sul visitatore, incanto per il quale l'artificio abilissimo di cui sempre si vale il Lenbach di illuminare i volti, così che diventano pallidamente radiosi, di sovrapporre in essi tanto sottilmente il colore così che sembrano trasparire e dagli occhi suscitare luce, viene scambiato con una intuizione che a volta a volta l'artista avrebbe avuto dell'anima del personaggio. Il che non è, come ne avverte la già accennata e continua ripetizione dell'artificio medesimo, tralasciando inoltre di dire che alcuni concludenti esperimenti di fisiologi francesi hanno del tutto sfatato l'antica leggenda che l'anima si estrinsecasse per gli occhi, e cioè che gli occhi fossero gli indici più palesi delle emozioni e dei sentimenti, mentre a caratterizzare un viso e a fornire l'espressione di un determinato stato dell'anima contribuiscono in principale misura la bocca, il naso, gli atteggiamenti della parte inferiore del volto, che il Lenbach, seguendo il vecchio pregiudizio[1], cura e illumina meno della parte superiore. (p. 143)
  • Tra questi [artisti ultra realisti nella fattura e nella colorazione] primeggia il vigorosissimo Dettmann. Egli ha mandato [alla III Esposizione di Venezia] tre grandi quadri in cui non solo si rivela tutta la varia forza del suo colore, che noi già ammirammo nelle Esposizioni precedenti, ma di più si mostra una eccellenza nuova consistente nella trattazione dei colori notturni, soffusi di sentimento, ma solidi come cristalli quali ci appariscono in talune tele di Böcklin. Ed è precisamente nella sua Notte sulla Riviera (Rio Maggiore) dove il Dettmann ci esprime l'incanto di quella spettralità che la fredda luce lunare aduna intorno agli edifici e alle cose della terra. (p. 146)
  • Egli [Walter Leistikow] è il simbolista del paesaggio; egli ne sa raccogliere gli elementi essenziali eterni; con essi ne costruisce quasi un archetipo, talché la natura sembra derivare dal dipinto e su di esso modellarsi; più che ispirata quest'arte mi appare inspiratrice. (p. 151)
  • [Walter Leistikow] Davanti al suo grande quadro Bosco e lago io ho la sensazione massima del tramonto nella selva tranquilla e sulle acque. I tronchi dei vecchi alberi che attorniano lo stagno sono rossi e grossi tra il verde cupo del fogliame, come appariscono davvero in certe silenziosità solenni della luce, e le acque sono penetrate di cerchi rosei; e i profili degli alberi e dei cerchi acquei sono espressi con una linea tipica e unanime, donde la figurazione trae una profondità e una significazione grandiosa, strana, completa. E così pure l'altro quadro Paesaggio, dove invece predomina una certa serenità ampia e triste, determinata specialmente dalle curvature azzurre e simmetriche che disegnano e spaziano con graduale rilievo gli alberi. Tali contorni, tali segni del Leistikow, di una solidità e di una consistenza efficacissima, espressi con un color forte, immune quasi da biacca, contribuiscono a spaziare, ad allontanare i fondi, partecipano alla vita del quadro formandone la ossatura, caratterizzandone il sentimento. (p. 151)
  • Gustavo Klimt [...] sa unire alle più squisite e sottili spiritualità del simbolo una fattura delicata, una colorazione luminosa, veramente moderna. La sua finissima fantasia dell'Acqua mossa che travolge deliziose creature femminee azzurrine, racchiude un simbolo bello dell'acqua corrente, della fresca, fuggevole e morbida acqua che disseta. E la bellezza della concezione ha il suo riscontro nella fattura leggera e aristocratica sensualmente, nella leggiadria fredda del colore e precipuamente nella eleganza esile, nervosa, languente di quelle armoniose nudità femminili, dai corpi abbandonati in curve voluttuose, dalle gonfie e profuse capellature rosse. In Tramonto il colorista modernissimo e raffinato mostra ogni suo valore, e la comune semplicità del tema illustra anzi più limpidamente la personale elettissima impronta dell'artefice. (p. 152)

Incipit di alcune opere[modifica]

La nuova arma. (La macchina)[modifica]

Io credo che se da una sfera superna un essere sovrumano gitta di quando in quando qualche sua occhiata divina e penetrante su questo nostro basso mondo deve rimanere stranamente stupito dallo spettacolo che invariabilmente gli si presenta dinanzi allo sguardo.
– Ma che fa quella buona gente? non si dà mai un istante di pace; corre, corre, trafelata e sempre più precipitosa, perché? Per giungere ad ogni modo al punto di partenza! Per aggirarsi sempre nello stesso breve cerchio?

Uomini e idee del domani. L'egoarchia[modifica]

Non è passato molto tempo, da che una voce ben nota nel partito operaio-socialista italiano si elevava, rinforzata da tutti gli artificii di una moderna retorica più vuota dell'antica, ma non meno falsa dell'antica, contro la generalizzazione estesa alle scienze politiche e sociali delle leggi scoperte dal grande naturalista inglese nel campo della biologia. Quello spirito di misioneismo innato nel cuore umano e così sovente larvato dalle apparenze ingannevoli della innovazione, quella mal compresa e peggio sintetizzata nella psiche, copia informe di dottrine nuovissime, a causa di una insufficiente preparazione, quella indole che l'organismo dell'uomo moderno inferiore muove con parvenze diverse ma con fondamento comune alle antiche mete del tribunato, della popolarità, della dilatazione democratica, erano le cause determinanti di quella critica verbale, che dinanzi al popolo si espandeva tronfiamente come allettatrice di applauso.

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

  1. Nel testo "pregiudio".