Salvatore Natoli
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Salvatore Natoli (1942 – vivente), filosofo e professore universitario italiano.
Citazioni di Salvatore Natoli
[modifica]- Il cristianesimo ha alterato l'anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia vuole che ci sia. (da I Nuovi pagani, Il saggiatore, Milano, 1995)
- Nel Vangelo secondo Luca, per esempio, troviamo un'immagine bellissima della felicità, in cui la Vergine Maria va a visitare la cugina Elisabetta, la quale, come Maria, è incinta. Accade allora che, alla vista di Maria da parte della cugina, il bimbo nel grembo di Elisabetta cominci a sussultare. Si pensi al moto della gioia come a questo "sobbalzare"! (citato da La felicità in Il Grillo del 27 novembre 1998)
- Francesco di Sales nulla concede allo stile pagano che peraltro nelle antiche scuola ha già da tempo dismesso l'abito tragico. (da L'Esperienza del dolore: le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli Editore, 1986)
L'edificazione di sé
[modifica]- Vitaque mancipio nulli datur, omnibus usus[1]: la vita non è data in proprietà a nessuno, ma in uso a tutti. (p. 3)
- Se di libertà vogliano parlare, possiamo allora dire che quanto più guadagniamo cognizione dei processi che ci determinano, tanto più riusciamo ad essere liberi. (p. 8)
- Noi uomini, in quanto entità singolari, siamo potenze finite e per valorizzare al meglio la potenza che siamo dobbiamo saperla amministrare, divenirne padroni. Questo e non altro significa appropriarsi della vita. (p. 8)
- Se il desiderio stimola l'invenzione, può, tuttavia, indurci a una presunzione d'onnipotenza e divenire per questo cagione di inganno. Ci fa dimenticare che siamo potenze finite: infatti, la nostra potenza è infinitamente superata dalla potenza delle cause esterne; quindi, come direbbe Spinoza, non abbiamo un potere assoluto di adattare al nostro uso (ad nostrum usum adaptandi) le cose che son fuori di noi. Siamo perciò destabilizzati da dentro e da fuori: dalle pulsioni che premono e dalle affezioni che dall'esterno ci condizionano. E dal momento che non sappiamo quanta potenza siamo, il desiderio riesce a metterci in moto a nostra insaputa, aggirando la coscienza. Ne è prova il fatto che ci troviamo spesso agitati, turbati, o anche felici, senza sapere perché. Di qui un'instabilitas che ci tocca governare. È questa la ragione per cui il desiderio, di per sé positivo, non va passivamente assecondato. Non va però neppure negato: deve essere, semplicemente, bene amministrato. Bisogna dare misura alle molteplici potenze che ci agitano. Per dirla con Nietzsche, "grandezza significa: dare una direzione"[2]. Per far questo sono necessarie le virtù. (p. 18-19)
- Essere virtuosi vuol dire mettersi nelle condizioni di decidere e quindi di non cedere facilmente ai condizionamenti esterni. Come si vede, la virtù non ha niente a che fare con la rinuncia al desiderio, ma piuttosto con il suo governo, onde evitare la dipendenza. Purtroppo una secolare pedagogia della rinuncia ha trasformato quel che era un espediente tecnico – gli antichi dicevano un esercizio – in un valore, fino al punto da rendere equivoca l'idea stessa di "dominio delle passioni". Ciò ha spinto a identificare le passioni con il male, e di qui la logica conseguenza di estirparle. Tentativo impossibile e su cui hanno fallito tutte le pedagogie che hanno preteso di realizzarlo: non hanno estirpato affatto le passioni, ma hanno generato solo perversioni. (p. 22-23)
- Le virtù vengono quindi perdendo i tratti dell'abnegazione per assumere quelli della capacità di autorealizzazione. E, come già per gli antichi, la felicità lungi dall'essere concepita come premio della virtù tende a coincidere con il suo esercizio. (p. 38)
- Ma il bene non può mai essere imposto: va continuamente ricercato e ogni volta scelto. (p. 43)
- La questione è: fino a che punto è possibile ciò che è possibile? Detto altrimenti dove cade il confine tra il lecito e il realizzabile? (p. 46)
- Regola prima di ogni discorso è, infatti, quella di dire la verità. (p. 55)
- Nessuno ha mai previamente ragione, ed è perciò una necessità cognitiva e un obbligo morale sottoporre quel che si pensa alla verità e al giudizio degli altri. (p. 57)
- Se riprendere gli amici è un dovere, è indice di molta saggezza prendere sul serio le critiche dei nemici. (p. 59)
- I processi di emancipazione hanno indubbiamente dilatato gli spazi di autonomia e di scelta, ma hanno anche instillato una pretesa di libertà incondizionata senza che se ne sia neppure all'altezza. (p. 65)
- A questo stadio della civiltà, per evitare d'essere manipolati e insieme scissi, eterodiretti e serializzati, è necessario un ripiegamento su di sé, è necessario costituirsi come nuclei di resistenza e centri di forza. Per affermarsi è necessario consolidarsi, preservare la propria forma, darsi uno stile... (p. 68)
Parole della filosofia o Dell'arte di meditare
[modifica]- In questo padroneggiarsi ci si rende, paradossalmente, più disponibili nei confronti degli altri, si diventa indirettamente generosi, dal momento che bonum est diffusivum sui. Questa è magnanimità, la grande virtù antica di cui oggi si è perso perfino il nome. (p. 133)
- Il magnanimo, infatti, non va confuso con il generoso: è colui che punta a cose grandi e impegnandosi per questo produce cose buone e, se forte abbastanza, una sovrabbondanza di bene che ridonda a vantaggio di tutti. (Ibidem)
- Il magnanimo non guarda gli altri non perché li sottovaluta, ma perché trova nel compito che si è prefisso la propria misura. (Ibidem)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Salvatore Natoli, L'edificazione di sé. Istruzioni sulla vita interiore, Laterza, 2010. ISBN 8842093890
- Salvatore Natoli, Parole della filosofia o Dell'arte di meditare, Feltrinelli, 2010. ISBN 8807944529
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