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Rosetta Loy

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Rosetta Loy (1931 – 2022), scrittrice italiana.

La parola ebreo

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Se vado indietro nel tempo e penso come la parola «ebreo» è entrata nella mia vita, mi vedo seduta su una seggiolina azzurra nella camera dei bambini. Una camera con una carta da parati a fiori di pesco scarabocchiata in più punti; è primavera inoltrata e la lunga finestra che dà sul balcone di pietra è spalancata. Posso guardare nell'appartamento al di là della strada dove dai vetri aperti le tede dondolano all'aria. In quella casa c'è una festa, si vedono le persone andare e venire. In quella casa da poco è nato un bambino, quella festa è per lui. «Un battesimo?» chiedo. No, mi dice la donna che è seduta accanto a me su un'altra seggiolina dove il suo corpo rimane avvolto come una palla, certo che no, ripete: lei è Annemarie, la mia Fräulein. Sono ebrei aggiunge accennando con il mento al di là della finestra, loro i bambini non li battezzano, li circoncidono. Ha detto «beschneiden» con una smorfia di disgusto.

Citazioni

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  • Ad Agosto padre Maximilian Kolbe, prete polacco, muore ad Auschwitz. Più o meno dritto anche se non si può dire in piedi perché ha le ossa spezzate: il «bunker della fame» del lager è infatti una specie di bara verticale che non permette altre posizioni. Nudo, senz'acqua e senza cibo. Muore perché uno dei prigionieri è fuggito, e la rappresaglia delle SS addette al campo prevede che a dieci prigionieri selezionati dal medesimo blocco del fuggitivo siano rotte le ossa a bastonate e dopo vengano murati in quelle strette celle verticali a morire di fame e di sete. Padre Kolbe si è offerto volontario al posto di uno dei prescelti. (pp. 95-96)

Le strade di polvere

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Il Pidrèn

La casa la fece costruire il Gran Masten alla fine del Settecento quando divenne un particulare, qualcuno che aveva terra di suo, buoi, mucche, galline e conigli, e tante moggia da avere bisogno di altre braccia. Aveva fretta e non si preoccupò troppo delle fondamenta anche se la casa con la sua facciata giallina rimase nel tempo ancorata alla terra, la lunga sequenza di stanze una appresso all'altra. Una costruzione a due piani più il granaio dalle finestre schiacciate a diretto contatto col tetto. Il viottolo di mattoni la collegava al viale che piegava giù verso il cancello mentre il fienile e le stalle si allungavano di fianco fino ad arrivare alla strada dove si apriva il grande portale di assi. Come si chiamasse quella strada allora era difficile saperlo; la casa era l'ultima del paese e quando in seguito ne venne costruita un'altra questa ebbe l'obbligo del muro cieco per la parte che affacciava sul giardino. Nessuno ha mai saputo il vero nome del Gran Masten perché i registri parrocchiali andarono bruciati durante la prima campagna napoleonica. Certo era uno che si era arricchito tra l'andare e venire dei soldati, con il foraggio per i cavalli e il grano nascosto e rivenduto tre volte tanto. Con il vino per far ubriacre francesi e austriaci, russi, bavaresi, alsaziani, durante quelle interminabili guerre che avevano colorato come un gioco di travasi la mappa dell'Europa centrale. Di lui si sa solo che lavorando dall'alba al tramonto, senza soste mai, in pochi anni raddoppiò le moggia di terra e che aveva gambe così lunghe da oltrepassare i fossi senza saltare. Prese moglie tardi e dei tanti figli venuti al mondo gliene restarono grandi soltanto due: Pietro e Giuseppe.

Citazioni

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  • Era quella dei Martini una cascina a mezza costa sulle colline di Lu e quando Luis arrivò il ballo era già cominciato e la Rosetta del Fracin impegnata per tutti i balli. Ma come da lontano lo vide con il suo cappelletto indietro sui ricci, dimenticò tutte le promesse fatte e si mise in piedi ferma sotto un albero di mele cotogne ad aspettarlo fra le foglie larghe e scure. E appena Luìs le arrivò vicino gli girò le braccia intorno al collo come se aspettasse solo lui per ballare e Luis divenne pallido, le mani gli tremarono mentre la stringeva per la vita e cominciava a girare. (p. 72)
  • Questo amore piaceva solo a Gavriel perché lo sentiva incruento, senza lacrime e senza rimproveri, senza angoscia; e quando andava nei campi insieme al fratello e lo ascoltava parlare della ragazza gli sembrava che il suo lungo naso, punto focale dell'espressione, andasse disegnandouna storia dove la felicità era possibile, a portata di mano. Nasceva da sola, simile a un evento naturale come la pioggia e il vento. (p. 73)
  • La prima moglie di Luìs fu la Teresina dei Maturlin. Era, come ognuno se lo sarebbe aspettato, tonda quel tanto dove era necessario e accesa di capelli. Non fulva come la figlia del fabbro ma di un biondo orzo intenso e spesso. Aveva solo diciassette anni quando Luis andò a prendersela a Ivrea da una zia che l'aveva adottata, ultima di sei sorelle una più bella dell'altra. (p. 102)
  • Con lei si era sentito un gigante. Poteva la loro vita essere lunga e piena, una roccia dove gli eventi segnano ognuno un tempo diverso, poteva la casa essere piena di voci, dei fiori rossi della salvia splendens e di passi che corrono. Signore..., tornare indietro a quel punto, ricominciare da lì. Una volta ancora, anche solo un istante. Uno. - Quale tipo di amore si può portare a un figlio che è costato una separazione così repentina e totale. Che ha diviso la felicità del prima dall'infelicità del dopo. (p. 122).
  • L'Antonia seduta su uno sgabello gelava, la pelle che da scura diventava grigia dal freddo. Tra le labbra socchiuse usciva un fiato bianco e lei ascoltava incantata, le mani intrecciate intorno alle ginocchia magre. Quando Luìs se ne andava lo accompagnava lungo le scale buie tenendosi a distanza; e se Luìs cercava di sfiorarle la mano la sentiva gelata. Eppure quelle dita sottili, fini come ramoscelli bruni, parlavano un loro linguaggio. Promettevano molto, e giuravano fedeltà e amore. (p. 141)

Si racconta che Luìs e Gavriel rimasti soli non parlassero mai. Sedevano di fronte al fuoco, vecchi e asciutti, chiusi in un cerchio invalicabile di silenzio. Il tramestio dei topi sempre più numerosi, il rumore della pioggia e dei tuoni o lo sbattere di una farfalla notturna ai vetri, annegavano al di là di quel silenzio senza superare mai il limite di guardia. Nemmeno il violino di Giai, se ancora avesse suonato, avrebbe potuto. Solo alla fine, quando la fiamma aveva bruciato l'ultimo pezzo di legno (meli che non producevano più frutti, rami secchi del noce e poi, in seguito, anche il pero davanti alla sala), Gavriel, il maggiore, si alzava: - Andumma a drommi, diceva. - Andumma, - rispondeva Luìs raddrizzando la sua gamba diventata pura cartilagine. E quelle parole, le uniche possibili, deflagravano nella casa e la percorrevano come un vento nell'oscurità delle stanze. Sollevavano la polvere dai mobili, e la casa intera scricchiolava come un vascello in rada.

Incipit di Forse

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Io sono morta tre volte. La prima è stata a cinque anni quando mi hanno addormentata col cloroformio per rimettere in ordine nella mia pancia.[1]

Note

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  1. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

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  • Rosetta Loy, La parola ebreo, Giulio Einaudi editore, Torino, 1997. ISBN 88-06-14542-8
  • Rosetta Loy, Le strade di polvere, Giulio Einaudi editore, 1987.

Altri progetti

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Opere

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