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Margaret Millar

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Margaret Ellis Millar, nata Sturm (1915 – 1994), scrittrice canadese.

Incipit di alcune opere

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Cercatemi domani, sarò morto

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Tardo pomeriggio. Gli ultimi raggi del sole sfioravano la testa di Marco, inerte sulla sedia a rotelle, accarezzavano i peli radi e grigi del suo braccio sano e scivolavano tra le pieghe della coperta che aveva su un ginocchio. In piedi vicino alla porta, Gilly aspettava che suo marito mostrasse di accorgersi di lei.
«Marco, mi senti?»
Marco era in grado di muoversi solo in parte, ma restò fermo, non tentò di articolare le dita della mano destra con la quale azionava la sedia a rotelle, non contrasse l'angolo della bocca, non sbatté la palpebra dell'occhio destro, quello che poteva aprire e chiudere normalmente, mentre l'altro restava sempre con la palpebra abbassata a metà.

Chi perde un amico...

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L'ultima volta che sua moglie aveva visto Ron Galloway era stato un sabato sera, verso la metà di aprile.
«Mi è sembrato fin troppo allegro» osservò più tardi «come se avesse avuto in mente qualche cosa, un piano forse: qualcosa di più importante di una spedizione di pesca al capanno, voglio dire. Non gli è mai piaciuto andare a pesca, dopo tutto: aveva una paura morbosa dell'acqua.»
Era vero, anche se Galloway non si sarebbe mai piegato ad ammetterlo.

Il segreto di Virginia

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La neve e la fuliggine spruzzavano le piste di cemento come sale e pepe. A trenta chilometri a est, Detroit era una città di fumo e di luci; a trenta chilometri a ovest la città di Arbana non era nemmeno visibile, ma la signora Hamilton guardò anzitutto in quella direzione come sperando di coglierne miracolosamente la visione, sia pure fugace.
Sulla rampa sovrastante l'aeroporto poteva scorgere il volto delle persone in attesa di imbarcarsi o di incontrare qualcuno o semplicemente che attendevano e osservavano.

Inganno per quattro

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Il pomeriggio era afoso, e incombeva una minaccia di nebbia che sarebbe scesa durante la notte. Una lieve corrente opaca filtrava dalla finestra aperta e con curiose dita insinuanti frugava negli angoli della camera d'aspetto, sollevando il camice bianco della signorina Schiller ed esplorando i capelli scuri della ragazza seduta vicino alla porta. La ragazza teneva un giornale illustrato appoggiato sulle ginocchia, ma non lo leggeva: continuava nervosamente a piegare uno per uno gli angoli delle pagine.

L'assassinio di Miranda

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Il signor Van Eyck aveva un bel po' di soldi che non voleva spendere e un mucchio di tempo che non sapeva come far passare. Così, durante le belle giornate, se ne stava seduto nella terrazza del Penguin Club a scrivere lettere anonime.
Piegato sul tavolino di vetro e alluminio, pareva una persona emotiva, sensibile. Si sarebbe detto che stesse componendo una poesia sulle onde che s'infrangevano contro la banchina sotto di lui, o sui gabbiani che si libravano alti sopra il suo capo e le cui ombre si riflettevano in fondo alla piscina come languidi pesci bianchi.

L'urlo

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La principessa scese il vialetto del giardino saltellando, accompagnata dalla sua corte. Il più grosso dei due attendenti aveva un folto pelo nero e presumibilmente veniva da Terranova, ma questo non venne mai provato. L'altro era un tedesco dal pelo castano. Erano entrambi leali e affezionati (pur se con una propensione a ignorare spesso i comandi che a loro parevano inattuabili o del tutto inutili) e l'ascoltavano con grande attenzione. La pancia grassa e setosa di Newf si trasformava in un morbido cuscino per il capo reale, quando la principessa voleva sdraiarsi sotto una quercia per guardare i vermetti che si contorcevano sulle punte delle foglie come acrobati di un circo.

La porta stretta

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La voce era chiara e ridente. «È la signorina Clarvoe?»
«Sì.»
«Sai chi sono?»
«No.»
«Un'amica.»
«Ho moltissime amiche» disse mentendo la signorina Clarvoe.
Lo specchio, sopra il telefono, le rimandò l'immagine della sua bocca che rideva ripetendo la bugia e del suo capo che s'inchinava per confermarla. Sì, quella era una vera, una grossa bugia.

La scatola d'argento

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Dal ripostiglio delle scope Consuela riusciva a sentire le due signore americane che discutevano nella camera 404. Il ripostiglio era stretto come la strada che porta in paradiso e puzzava di cera per mobili, di cloro e del sudore della stessa Consuela. Ma non era il disagio fisico a rovinarle la siesta, bensì lo sforzo che faceva per capire di che cosa stessero parlando le due donne. Denaro? Amore? Di cos'altro poteva trattarsi?, si chiese Consuela, detergendosi il sudore dalla fronte e dal collo con uno di quegli asciugamani puliti che avrebbe dovuto lasciare nei bagni alle diciotto in punto.

Mistero senza fine

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Stavano perlustrando di nuovo il laghetto artificiale in cerca del corpo di Robert. Tutto si svolgeva come la prima volta, con Valenzuela, il poliziotto di origine messicana, che gridava ordini ai suoi uomini e i giovani sommozzatori che giravano lì attorno, nelle loro tute di gomma, con i respiratori fissati alla schiena.
Nel sogno, Devon stava a guardare, muta e impotente, dalla finestra della casa del ranch. Nella realtà, era uscita invece a protestare con Estivar, il fattore: "Perché lo cercano lì dentro?" "Devono guardare dappertutto, signora Osborne." "Ma l'acqua è così sporca e Robert è una persona molto pulita." "Certo, signora." "Non sarebbe mai entrato in quell'acqua così sporca." "Può darsi che non avesse altra scelta, signora."

Occhi nel buio

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La ragazza e il cane procedevano a passo svelto lungo il marciapiede. La bestia si faceva strada tenendo gli occhi intelligenti fissi davanti a sé. Quando giunsero presso una buca dell'asfalto, la ragazza avvertì attraverso il guinzaglio uno strattone lieve ma deciso, e si spostò per evitarla.
"Mi piacerebbe sapere se ha capito che non sono cieca" pensò Alice.
Il cane si fermò all'angolo, levò il muso al traffico e scese dal marciapiede per attraversare. Alice lo seguì sorridendo leggermente. "È una bestia coscienziosa" pensò, "fa il suo dovere ma questo lavoro non deve piacergli."

Ragnatele

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«In piedi!»
«Entra la Corte della contea di Santa Felicia, stato della California. La seduta è aperta. Presidente, il giudice George Hazeltine.»
Hazeltine, un uomo alto e scarno, sulla sessantina, avanzava con l'andatura incerta dell'artritico, lasciando sulla sua scia la toga nera svolazzante e un forte odore d'aglio.
Ogni mattina, dopo la prima colazione, Hazeltine masticava uno spicchio d'aglio, in parte per motivi di salute, in parte per salvaguardare la sua privacy.

Sapore di paura

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Il sogno era iniziato in modo tranquillo. Lei e Mildred erano in una stanza. Mildred, rannicchiata su una sedia, scriveva.
"Che cosa stai scrivendo, Mildred?" aveva domandato Lucille. "Stai scrivendo. Che cosa?"
Lentamente, come trasognata, Mildred aveva sorriso. "Niente. Ho finito. Proprio finito." Si era alzata ed era uscita dalla portafinestra, nella neve.
"Non devi uscire senza cappotto, Mildred. Prenderai freddo."
"No... Me ne vado... Ho finito..."

Una torre per il profeta

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Avevano guidato tutta la notte e buona parte della giornata attraverso montagne, deserti e ancora montagne. La vecchia macchina cominciava a fare i capricci e l'autista diventava sempre più irritabile; Quinn, che per sfuggire a questi due malanni, si era trasferito sul sedile posteriore e si era messo a dormire, fu svegliato bruscamente dallo stridio dei freni e dalla voce di Newhouser, roca per la stanchezza, il caldo e l'irritazione per essersi comportato ancora una volta come uno stupido al tavolo da gioco.

Uno sconosciuto nella mia tomba

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Daisy carissima, sono passati tanti anni dall'ultima volta che ti ho vista...

Il terrore ebbe inizio non nel cuore della notte, quando il silenzio e l'oscurità lo fanno sembrare un fenomeno naturale, ma in un chiaro e sonoro mattino della prima settimana di febbraio. Le acacie, così cariche di fiori da sembrare prive di foglie, si stavano scrollando di dosso la nebbia notturna come cani a pelo lungo che si scrollano dopo la pioggia, e l'eucalipto ondeggiava e civettava con centinaia di uccellini grigi, non più grandi di un pollice, di cui Daisy non conosceva il nome.

Bibliografia

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  • Margaret Millar, Cercatemi domani, sarò morto, traduzione di Luciana Crepax, Mondadori, 1995.
  • Margaret Millar, Chi perde un amico..., traduzione di Maria Luisa Vesentini Ottolenghi, Mondadori, 1991.
  • Margaret Millar, Il segreto di Virginia, traduzione di Nadia Fusini, Mondadori, 1991.
  • Margaret Millar, Inganno per quattro, [traduttore non indicato], Mondadori, 2001.
  • Margaret Millar, L'assassinio di Miranda, traduzione di Marilena Caselli, Mondadori, 1996.
  • Margaret Millar, L'urlo, traduzione di Marilena Caselli, Mondadori, 1995.
  • Margaret Millar, La porta stretta, traduzione di Gigliola Tocchetti, Mondadori, 1997.
  • Margaret Millar, La scatola d'argento, [traduttore non indicato], Mondadori, 1992.
  • Margaret Millar, Mistero senza fine, [traduttore non indicato], Mondadori, 1989.
  • Margaret Millar, Occhi nel buio, traduzione di Gabriella Mattea, Mondadori, 1979.
  • Margaret Millar, Ragnatele, traduzione di Diana Fonticoli, Mondadori, 1987.
  • Margaret Millar, Sapore di paura, traduzione di Diana Fonticoli, Mondadori, 1986.
  • Margaret Millar, Una torre per il profeta, traduzione di Maria Luisa Vesentini Ottolenghi, Mondadori, 1992.
  • Margaret Millar, Uno sconosciuto nella mia tomba, traduzione di Stefano Negrini, Mondadori, 1990.

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