Nicola Misasi
Nicola Misasi (1850 – 1923), scrittore italiano.
Maria Monaco
[modifica]Quella notte il bambino non voleva addormentarsi. La madre l'aveva cullato per un pezzo fra le braccia cantandogli con monotona cadenza la ninna nanna di Gesù Bambino, seduta con la spalle al focolare, perché gli occhi del figliuoletto non fossero feriti dalla rossa fiammella dei tizzi accesi e dal tremolio della lucerna appesa alla sporgenza della cappa.
Francesco il mendico
[modifica]Sul focolare ardevano due grossi ceppi di abete ed una fascina di rami secchi, la cui rossa fiamma si elevava scoppiettante fino alla cappa, illuminando la stanzuccia. Sul treppiede di ferro bolliva un calderotto con la minestra; Giovanni il massaro seduto sopra uno sgabelletto, facendo scudo di una mano alla faccia, rimestava con un gran cucchiaio nel calderotto, mentre i figliuoli, coi piattelli su le ginocchia, sbocconcellando un pezzo di pane, aspettavano che la cena fosse pronta.
Capanna di carbonaio
[modifica]All'alba, Peppe il carbonaio chiamò 'Ntonuzzo. Nella capanna era ancor buio: sul focolare ardeva qualche tizzo che metteva un lieve barlume nelle tenebre. 'Ntonuzzo, che aveva il suo lettuccio presso il focolare, si alzò; brancolando si diè a cercare un pezzo dì abete resinoso, poi, trovatolo, si chinò sulle braci, soffiando per accenderlo.
Leggenda montanara
[modifica]Era l'ora in cui la nebbia bianchiccia, che elevasi dal fiume, pesa più densa sulle campagne silenziose, e dai comignoli delle casette villerecce sottili pennacchi di fumo si innalzano lentamente ora diritti, ora lievemente agitati dalla tramontana. I contadini, reduci dal lavoro, attendevano ad ammannire la parca cena intorno alla crepitante fiamma del focolare, mentre le mamme cullavano i figlioletti per addormirli, e nelle stalle i buoi dai grandi occhi sonnolenti, con le ginocchia ripiegate, sbuffavano ruminando le foglie secche.
Andrea
[modifica]La casa di campagna dei baroni di Montalto era posta sull'altipiano dei monti presso alla foce del Savuto. Il fienile, le stalle, i magazzini per le granaglie le sorgevano intorno, ed ai margini del piano, nel fondo verde del bosco di castagni biancheggiavano le casette dei contadini, coloni del vasto podere. Le colline parallele alla vallata scendevano con dolce declivio fino al mare che si stendeva azzurro, con Stromboli in fondo fra la nebbia bianchiccia.
In carcere
[modifica]Erano in sedici in uno stanzone umido, buio, dalle mura scalcinate, dal pavimento rotto e disuguale. Lungo le pareti due fila di letti; in un canto un barile ed altri recipienti luridi. In mezzo pendeva una lampada che si accendeva la notte e rischiarava lo stanzone di una luce pallida e gialliccia. Al capo di ogni letto, sulle tavole poggiate sui piuoli infissi al muro, fagottini, orciuoli, cestini sgangherati, bottiglie rotte, qualche paio di scarpe, qualche pane nero ed ammuffito. Sui capezzali, incollate al muro con pane ammollito, figurine di santi e di madonne.
Mentre piove
[modifica]Piove, piove da due giorni. Serpeggia fra i massi il fiume biondo e scroscia sordamente. Pei fianchi delle colline corrono i ruscelli spumosi, gli alberi s'ergono immobili sotto la pioggia. La nebbia pesa su i monti; qua s'addensa, là si sfiocca, si frastaglia, ondeggia lieve. Dal cielo plumbeo vien giù la pioggia a fili lunghi, continui. Le colline che fiancheggiano il greto, qua nereggiano, là son tinte di verde; le foglie morte le tappezzano di rosso. Lontano, le montagne della Sila ergono fra la nebbia cenericcia le loro creste bianche.
Vallone di Rovito
[modifica]La casetta è bianca coi tetti rossi. Agli angoli dei tre balconcini, vasi di fiori ed erbe odorose. È posta all'estremità del paese, talché è la prima se venendo dalla montagna si entra in città, l'ultima se da questa si va a quella. Nelle colline a destra e di rimpette, si distendono, salendo fino al sommo, le case ed i palazzi, fra i quali si ergono, con le banderuole al vento, i campanili. In alto, il castello screpolato e muscoso; presso al castello il convento, bianco fra il verde dei pini.
Lo stendardo di S. Rocco
[modifica]In verità non aveva torto chi diceva, che Stella, la figliuola di Massaro Giovanni, era la più bella ragazza del villaggio; mai sotto tovagliuola di tela si era delineato volto più leggiadro, avean sorriso labbra più rosse, aveano raggiato occhi più neri; mai corpetto azzurro di contadina avea stretto seno più tornito e vita più snella, e mai gonna rossa a mille pieghe aveva nascosto forme più ben fatte.
Un marito che si vendica
[modifica]Una sera, tornando affaticato dalla solfatara, dopo avere sgobbato per tutto il giorno sul libro degli introiti e delle spese, erasi imbattuto nel suo compare Giovanni, contadino allora allora giunto da Calabria, per chiedere anche esso lavoro, come tanti dei suoi compaesani, agli appaltatori delle solfatare.
Bibliografia
[modifica]- Nicola Misasi, In Magna Sila: racconti calabresi, Casa Editrice Ferd. Bideri, Napoli, 1920.
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