Diablo Cody

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Juno
  • Miglior sceneggiatura originale (2008)
Diablo Cody

Diablo Cody, pseudonimo di Brook Busey-Hunt (1978 – vivente), sceneggiatrice e scrittrice statunitense.

Candy Girl – Memorie di una ragazzaccia perbene[modifica]

Incipit[modifica]

Nessuno viene nel Minnesota per togliersi i vestiti di dosso, almeno per quanto ne so io. Non è un posto da nightclub, questo. Qui nelle desolate regioni del nord l'inverno ha il sapore della leggenda: immoto, soffocato dalla neve, con il ghiaccio che ricopre gli oltre diecimila laghi. Le vecchie capitali della produzione di farina sono popolate da generazioni di scandinavi e luterani tedeschi, spiriti tenaci fatti di legno biondo, buon senso e timor di Dio. La gestalt dominante è un misto di sarcastico umorismo survivalista e biancheria intima termica. Persino il cibo è adeguatamente coperto: la cena preferita è una collosa miscela ricca di carboidrati nota semplicemente come hotdish (piatto caldo) e servita in grossi contenitori di pyrex. Il Minnesota è come il sotterraneo di una chiesa con il soffitto che fa acqua e un impiegato di bingo che annuncia sottovoce i numeri vincenti. Una ragazza che viene ogni notte a spogliarsi nel Minnesota per intascare qualche biglietto da 10 o da 20 inumidito di neve, be'... una ragazza del genere la gente del luogo la definirebbe eufemisticamente «diversa».

Citazioni[modifica]

  • L'amore è misterioso ed estremo come Steve Perry dei Journey. (p. 4)
  • Porn shui: l'arte di posizionarsi nel proprio ufficio o cubicolo in modo da navigare in siti porno senza farsi beccare. (p. 5)
  • La maggior parte delle ragazze che conoscevo odiavano le spogliarelliste con la ferocia solitamente riservata agli stupratori seriali. Usavano la parola «spogliarellista» come aggettivo per designare qualsiasi cosa fosse volgare, grossolana o di cattivo gusto. (p. 9)
  • Ero una specie di hippy, le mie forme evocavano quelle di una chitarra basso, ma a parte questo ero passabile. Non avevo cicatrici né cromosomi Y, e il mio sorriso perfetto era il risultato di anni di ortodonzia correttiva. (p. 13)
  • Le dieci canzoni migliori per spogliarsi
  1. Qualsiasi pezzo di vecchio e sano R&B, colonna sonora ideale di ogni buona scopata. La categoria include la più grande stripping song di tutti i tempi: Remix to Ignition di R. Kelly.
  2. Purple Rain di Prince, che richiede però una profonda immedesimazione. [...] Efficace soprattutto in locali semivuoti e carichi di pathos.
  3. Honky Tonk Woman dei Rolling Stones. Vi mette subito nello spirito giusto. [...]
  4. Pour Some Sugar on Me dei Def Leppard. I cori urlati e le inesorabili percussioni dei Def sono l'ideale per quelle che sanno realmente ballare. [...]
  5. Amber dei 311. Questa melodia fluida e cullante è tra le favorite dal pubblico di mezzanotte degli strip-club di tutto il mondo. [...]
  6. Miserable dei Lit, ma soprattutto perché nel video c'è Pamela Anderson, e lei per le spogliarelliste è come Gesù. [...] E anche perché è più facile spogliarsi con una canzone che inizia con le parole «Tu mi fai venire».
  7. Back Door Man dei Doors. Fin troppo facile. La mera implicazione che ti piace prenderlo nel culo attizzerà la maggior parte dei proprietari di strip-club. [...]
  8. Back in Black degli AC/DC. Mutt Lange l'ha prodotta per farti spogliare. L'ha detto a me.
  9. I Touch Myself dei Divinyls. Spogliatevi con questa canzone e ogni spettatore penserà che è stato lui, e lui soltanto, a farvi venire voglia di masturbarvi. Prendete i suoi soldi, poi tornate a masturbarvi e pensate a qualcun altro.
  10. Hash Pipe dei Weezer. Certo, puzza di nerd, ma River Cuomo è ossessionato dalle pollastre asiatiche e dalla bamba, che è proprio lo spirito che si vuole evocare in uno strip-club. È la canzone ideale per produrvi in acrobatici movimenti al palo. (pp. 29-30)
  • Gli strip-club di solito sono bui e a temperature sgradevolmente fredde, come grandi celle frigorifere per carne sexy. Questo fa sì che le spogliarelliste sembrino più sensuali (poiché qualsiasi imperfezione diventerà invisibile a 20 watt di luce tremolante) e si stringano le une alle altre per scaldarsi (evocando situazioni lesbiche, sempre incoraggiate dai manager). La carne di femmina rende meglio nella penombra e a temperature da sashimi di tonno. Tutti gli strip-club in città servivano le loro bionde ben fresche, anche se non era proprio necessario nei lunghi e gelidi inverni della Città Bianca. (pp. 37-38)
  • Essere responsabile dei profitti di altre persone mi terrorizzava più dell'industria del sesso. Dovevo fuggire dal recinto per conigli del lavoro retribuito prima che fosse troppo tardi. Per la prima volta avevo intravisto un'alternativa: vivere del mio ingegno, pisciare sulla mia solida educazione femminista e diventare una truffatrice travestita da vamp. E la cosa mi piaceva. (pp. 66-67)
  • Le dieci canzoni che non si dovrebbero mai usare per uno strip
  1. La canzone dei Midnight Oil sugli aborigeni.
  2. Friday I'm in Love dei Cure. L'ansimare sdolcinato di Robert Smith è ideale per trascorrere i weekend a piangere fuori dalla bifamiliare del vostro ex marito, ma è decisamente devastante per uno spettacolo sexy.
  3. Hey Ya degli Outkast. È una canzone che piace a tutti (perché è dichiaratamente nauseante), ma la spogliarellista media deve farsi di coca per riuscire a tenere il ritmo di quei mostri psicopatici. In più, nessuno gradisce che gli si ricordino le liti con la moglie mentre ha il tuo culo in faccia.
  4. Ice Ice Baby di Vanilla Ice. Largamente utilizzato come «punizione» dai DJ passivo-aggressivi che ce l'hanno con una certa spogliarellista per le scarse mance.
  5. Girls dei Beastie Boys. Benché sia una delle canzoni più popolari tra i maliziosi gonzi che hanno in odio la fica ma frequentano i club, quegli xilofoni finiscono inevitabilmente per rovinare l'atmosfera.
  6. Qualsiasi cosa di Britney Spears. È molto probabile che in questo modo facciate incazzare una spogliarellista navigata che vanta un diritto permanente su tutta la discografia di Britney a partire dal 1998 e dispone di coreografie specifiche per ogni canzone [...]
  7. Tutte le canzoni di Eminem che parlano di matricidio, Mandrax e paternità.
  8. Elenore dei Turtles. So che adorate questa leziosa hit degli pseudo-Beatles losangelini degli anni Sessanta, ma resistete!
  9. Hotel California degli Eagles nella loro merdosa fase post-country. Farete arrabbiare tutti. Tutte le spogliarelliste odiano Joe Walsh, non so perché.
  10. The More You Ignore Me, The Closer I Get di Morrissey. Incoraggia i fissati e l'ultima cosa di cui avete bisogno è un Freddy-il-Simpatico che vi si presenta sul posto di lavoro con un mazzo di garofani tinti e una calibro 45 carica. (pp. 145-146)
  • Il mio modesto successo in ufficio non significava niente per me; non era indice del mio valore come persona. Al contrario, una sola nottata di spogliarello ben riuscita poteva portare la mia autostima a quote da Kilimanjaro. Quella era l'approvazione che contava, la garanzia che il marchio «Io» era pronto per la vendita. Nessun direttore finanziario sarebbe stato in grado di attribuire un prezzo alla mia intelligenza o alla mia etica del lavoro, ma sapevo con esattezza quanto valeva ogni singolo grammo del mio corpo in una qualsiasi serata sul banco della salumeria delle ragazze. Quel dato concreto era rassicurante; molto più del falso apprezzamento aziendale che avevo riscosso in passato. (pp. 149-150)
  • Avevo sempre creduto fermamente nel potere delle donne. Avevo partecipato con impegno all'industria del sesso, anche se era costantemente bersagliata dalle critiche di chi credeva ci disumanizzasse. Mi ero sentita una libertina, ballando sul palco gli AC/DC e masturbandomi in una teca di vetro per la gioia di un ingegnere civile. Non mi stancavo mai di litigare con tutti gli amici benintenzionati che osavano insinuare che mi stessi svilendo. C'era una ragione precisa, se gli uomini pagavano somme esorbitanti per la compagnia di creature esageratamente femminili: è che le spogliarelliste sono spettacolari. Sono il top. (pp. 199-200)
  • Il rapporto diretto, fra ballerina e cliente, aveva un senso in quel mondo; a sembrarmi rivoltanti erano quei momenti in cui il club si trasformava in un grossista di ragazze. Ce n'erano a centinaia, in giro per i locali, ridotte a mendicare l'attenzione di un esercito di principini arroganti. Ragazze, al cui passaggio si sarebbe congelato il traffico dell'ora di punta, collezionavano sfilze di rifiuti da ciccioni in tuta. [...] Quando una ragazza incassava un «no», per quanto potesse essere certa che a casa il suo marito/amante/bambino la aspettava pieno d'amore, si sentiva per un istante completamente priva di valore, e tutto per colpa di chissà quale impiegatucolo. Il moltiplicarsi di queste occasioni finiva per convincerti di essere una creatura spregevole, a prescindere dalla quantità di ego che di solito riuscivi a proiettare.
    Era come un buffet di ragazze, e in buffet nessuno riesce ad assaporare davvero le pietanze. Ti carichi il piattino igienizzato di cibo scadente e cacci tutto in bocca il più in fretta possibile; ogni cosa ha lo stesso gusto e la stessa consistenza viscida. [...] È tutta merda, ma fa ciò che deve fare. Ci sarà sempre qualcos'altro da mangiare, da qualche parte, un altro vassoio fumante in arrivo dalla cucina. (pp. 200-201)
  • La vita da spogliarellista mi aveva lasciata dolorante e insanguinata, ma mi aveva anche coccolata e imboccata e baciata con la lingua giù giù fino in gola.
    Ma quell'anno sabbatico, la mia piccola domenica di follia, era finito. Era ora di tornare al mondo vero. (p. 203)
  • Ho fatto parte di una delle ultime generazioni di americani che ha ricevuto un'educazione religiosa tradizionale, preconciliare, e – come c'era da aspettarsi – ne sono uscita rovinata e troieggiante. (p. 210)
  • Tutta la mia vita era stata strangolata dalla normalità, dal perbenismo e dai tramezzini con le croste amputate. Per me lo spogliarello era una insolita via di fuga. L'unica cosa da cui potevo scappare era il mio status di privilegiata, ma chiesi comunque asilo politico. A ventiquattro anni, era la mia ultima possibilità di rifiutare qualcosa e diventare nulla. Volevo terrorizzarmi. Ci sono riuscita. (p. 215)
  • Ho scritto questo libro perché non avrei mai potuto lasciare che tutti questi detriti psichici mi fermentassero dentro per sempre. Certe storie implorano di essere raccontate (una regola, così a occhio: una storia con un'asta di mutandine deve essere raccontata). Per cui ho vuotato il sacco. Spero che siate stati degnamente intrattenuti, e che i periodici conati di nausea siano stati se non altro stemperati dagli occasionali frisson di piacere. (p. 217)

Explicit[modifica]

Ma poi cos'è che ha, quel palo, alla fine? Alcune ragazze lo assaltano, altre lo ignorano, altre gli chiedono un passaggio e fanno solo un giro. In fondo non importa: tutto fa brodo, quando si tratta di intrattenere. Con il tempo, dopo averlo considerato un avversario (come l'albero mangia-aquiloni di Charlie Brown), sono arrivata a scalarlo con gambe rapide e anchilosate. L'ultima volta che ho calcato il palcoscenico mi ci sono arrampicata e mi sono lasciata penzolare a testa in giù per salutare il pubblico. Da quella prospettiva sembrava quasi un posto normale. Ma questo, amici miei, significa che è ora di scendere. Mi sono raddrizzata e mi sono lasciata scivolare fino a terra, ammaccata ma pur sempre in pista.

Bibliografia[modifica]

  • Diablo Cody, Candy Girl – Memorie di una ragazzaccia perbene, traduzione di Vincenzo Latronico e Giulio Lupieri, Sperling & Kupfer, Milano, 2008. ISBN 978-88-200-4583-8

Film[modifica]

Altri progetti[modifica]