Eugenio Battisti

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Eugenio Battisti (1924 – 1989), critico d'arte e storico dell'arte italiano.

Citazioni di Eugenio Battisti[modifica]

  • Una diffidenza generale verso qualsiasi cosa odori di contemporaneità, come si vede nel tono generale delle insegne, delle vetrine, delle pubblicità, e come ho dovuto constatare in sede ben più significativa, nell'ambiente studentesco... I difetti che si riscontrano a Genova, se pur comuni ad altre città, se pur giustificati dalla relativa lontananza dalle due capitali, indiziano per altro una gravissima inerzia morale... Escludersi da ogni catena di rapporti dà luogo – oltre all'inerzia e alla stasi – ad un complesso di inferiorità e di colpa, quello di cui soffrono tutti i genovesi che ho conosciuto, nell'ambito dei più vari campi della cultura.[1]

La rivalutazione del «barocco» nei teorici del Settecento[modifica]

  • La sconfitta peggiore, subita dai neo-barocchi a Roma, è forse l'esito del concorso per la facciata di San Giovanni in Laterano, che non solo annullò la possibilità di continuare quanto Borromini aveva fatto all'interno, ma introdusse una specie di manifesto neo-cinquecentesco, stranamente anticipatore del futuro. (p. 176)
  • Mentre nella letteratura artistica del seicento il grande scandalo era il Borromini, ora [tra i teorici del Settecento] egli è accettato pressoché da tutti; la polemica riguarda invece i suoi imitatori, passati e presenti. Mentre nel Seicento la giustificazione per le accuse era l'accusa di essere un manierista, cioè di valersi di chimere, concetti, formule irrealistiche e di trovarsi in una posizione anticlassica, ora il manierismo è accettato, anzi assunto in più casi come modello, ciò che si criticano sono gli eccessi. (pp. 179-180)
  • La facciata del San Carlo di Vienna è un assemblage, per così dire, di più stili e ideologie, scelti assai opportunamente in base al programma delle varie parti dell'edificio. Un moderato barocco compare nella cupola, come doveroso riferimento a Roma; il sistema delle due colonne ai lati della chiesa è d'ispirazione massonica, ed il timpano della facciata ha un rigore classicista – tramite Palladio e Vignola – che anticipa la architettura rivoluzionaria; i padiglioni laterali, che sviluppano con piena libertà un motivo di Pietro da Cortona, hanno una qualità altamente scenografica. (pp. 185-186)
  • [...] nel Vittone come in pochi altri architetti [...] la ricerca di varietà, l'effetto di piacevole sorpresa e l'esibizione virtuosistica del talento architettonico si manifestino fisicamente, cioè nella creazione di veri e propri percorsi sensoriali, che cumulino piaceri su piaceri, secondo una gamma ad un tempo imprevista ed omogenea. Forse anche le più belle pagine scritte dal Vittone sono quelle, assai dettagliate, che spiegano come da un ambiente interno si acceda ad un altro, o come tramite lo sguardo, un campanile svolga una funzione paesistica di richiamo, e di belvedere. Nonostante ch'egli operi per lo più in piccola scala (e forse a ragione di ciò), la sua preoccupazione è di moltiplicare le aperture, praticabili od ottiche, facendo compenetrare più spazi, ma assicurando a ciascuno la sua indipendenza ed il suo isolamento. (pp. 196-197)
  • [...] perfino là dove imita strettamente il Guarini, il Vittone si trattiene dall'imporre un movimento accentuatamente ascensionale dell'occhio, preferendo predisporre più lenti effetti concentrici, e moderando, per le stesse ragioni di equilibrio, i forti contrasti possibili fra zone luminose e zone oscure. Risultato felicissimo è che le aperture invece di essere squarci sono vani tridimensionali, espansi, ben costruiti ed attivi. (p. 197)
  • Il Vittone non è affatto contrario all'ornato, al suo impiego anche esteso, e ne apprezza sia le funzioni che potremmo benissimo dire simboliche che quelle intellettuali. Abbiamo, in realtà, in lui tre generi d'ornamento: il primo, più tradizionale, è quello allegorico, svolto con figure e personificazioni: nelle macchine per fuochi d'artificio, nelle fontane, negli archi di trionfo si possono narrare veri e propri racconti favolosi o storici; figure simboliche, araldiche possono e debbono essere usate per lo più isolatamente in cancelli, ringhiere, balaustre ed apparati sacri, tabernacoli e macchine processionali; e in terzo luogo l'appagamento dell'occhio, richiedendo varietà obbliga a soluzioni eleganti, anzi edonistiche, come l'uso di curve mistilinee, di scorci. L'ornato è dunque un linguaggio che può svolgere articolatamente motivi che vanno dalla semplice leggiadria al fasto, dalla devozione alla celebrazione. (p. 204)

Note[modifica]

  1. 1964; citato in Donatella Alfonso e Luca Borzani, Genova, il '68, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2008, p. 175. ISBN 978-88-7563-349-3

Bibliografia[modifica]

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