Alessandra Kersevan
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Alessandra Kersevan (1950 – vivente), saggista ed editrice italiana.
Citazioni di Alessandra Kersevan
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Citato in Jacopo Granzotto, ilgiornale.it, 23 agosto 2017.
- Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare i rastrellatori fascisti e i collaboratori dei nazisti. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette, c'è il 2 di novembre.
- In città come Trieste il collaborazionismo interessò tante categorie di persone, e molti di quelli che vengono definiti civili erano collaborazionisti, delatori di professione, spioni che denunciavano gli ebrei. L'attenzione a questi fatti è funzionale alla criminalizzazione della resistenza jugoslava che fu la più grande resistenza europea. Di riflesso si criminalizza tutta la resistenza, e si è aperto il varco per criminalizzare anche quella italiana.
- Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi col fascismo. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazione.
lordinenuovo.it, 10 febbraio 2025.
- Il fatto che in Italia si sia scelto di elevare a data simbolica con il nome di "Giorno del Ricordo" l'anniversario della firma del trattato di Parigi fra l'Italia e le potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale rappresenta una precisa scelta revisionista. È infatti quella dell'istituzione del 10 febbraio una presa di posizione che attribuisce alla pace, e non alla guerra, la perdita di una parte del territorio nazionale e tutto ciò che ne conseguì.
- L'argomento Norma Cossetto è un sovrapporsi di narrazioni che si sono susseguite nel tempo, tant'è vero che le teorie sulla sua morte sono 5-6 narrazioni completamente diverse, rispetto alle circostanze, le modalità, le conseguenze. Quello di Norma Cossetto è uno dei tanti casi che rappresenta il modo in cui oggi si creano quelle che vengono chiamate leggende metropolitane, anche se la sua oggi è ormai leggenda nazionale. Di fronte alla cristallizzazione del mito, qualsiasi analisi storica documentata non ha la forza di scalfirlo in quanto già al di fuori della dimensione storico-scientifica. [...] È una narrazione basata sul nulla.
- La narrazione che quello italiano sia stato un colonialismo buono presuppone la cancellazione della verità sulle armi chimiche di Badoglio e Graziani in Etiopia, le impiccagioni e i campi di concentramento in Libia, l'aggressione alla Jugoslavia e all'Unione Sovietica.
- [Sul negazionismo delle foibe] Non si tratta di negare – cosa peraltro che nessuno storico ha mai fatto – che vi siano state persone uccise nella tragica vicenda del confine orientale italiano. Si tratta al contrario di inserire questi fatti nella più grande vicenda della Seconda Guerra Mondiale e della storia del fascismo. Non farlo significherebbe soltanto trasformare quelle vicende in uno scontro fra popoli, da utilizzare strumentalmente a fini politici, oltre a costituire un grimaldello per permettere ai neofascisti di riciclarsi. L'unico "negazionismo" è quindi quello di quanti omettono di citare o minimizzano il fatto che fosse stata proprio l'Italia ad aggredire un paese, l'allora regno di Jugoslavia, senza neppure dichiarare guerra, ad annettere interi territori provocando la morte, veramente in questo caso, di decine e decine di migliaia di persone. Non riconoscere l'importanza di questa realtà rispetto a quello che è successo su questo confine è semplicemente pretestuoso.
- Per quanto riguarda il Giorno del Ricordo, si basa su una narrazione completamente falsa in parte, male interpretata in alcune parti, parziale in altre.
- Ridurre la Jugoslavia, il suo Esercito Popolare di Liberazione e la figura di Tito a dei "boia massacratori di italiani" oltre ad essere falso è un'infamia storica di cui il Parlamento italiano, quasi nel suo complesso, è responsabile.
Lager italiani
[modifica]- È un'immagine, quella del 'bono italiano' che sopravvive al di là di qualsiasi prova delle efferatezze, degli eccidi, degli incendi e bombardamenti di villaggi, della deportazione di intere popolazioni, perfino dell'uso di gas, come è successo in Etiopia, perpetrati dall'esercito italiano. (p. 9)
- La documentazione dimostra che i comportamenti bellici dei soldati italiani, sia nelle colonie africane che nei Balcani occupati, sono stati simili a quelli di tutti gli eserciti aggressori nella storia, e cioè improntati alla estrema violenza, alla rappresaglia, al saccheggio, all'eccidio non solo dei 'combattenti', ma di intere popolazioni. (p. 10)
- Credo si possa dire che nell'interpretazione delle vicende del confine orientale sia sempre esistito, nella Repubblica italiana nata dalla Resistenza, una sorta di revisionismo storico, una continuità con il passato fascista, sia negli atteggiamenti politici, sia negli uomini. (p. 12)
- [Sull'italianizzazione] Possiamo dire che si trattò di una persecuzione etnica totale, parallela e coincidente con quella politica generale contro l'antifascismo. (pp. 28-29)
- Quello dell'inferiorità e arretratezza degli 'slavi' fu il leitmotiv ideologico alla base di tutta la politica italiana sul confine orientale. Per sostenere la loro politica discriminatoria, i fascisti dovevano attribuire a sloveni e croati caratteri di inferiorità, diffondere con una propaganda quotidiana e forsennata l'immagine degli 'slavi' come barbari e arretrati, che dovevano solo anelare all'assimilazione e all'annullamento nella 'superiore' civiltà italiana oppure rassegnarsi ad essere guidati col 'polso di ferro' al quale erano stati abituati (dal governo austroungarico, si intendeva). Questa razzista, falsa e interessata rappresentazione della realtà, che sottovalutava anche la presenza di una forte consapevolezza nazionale e culturale da parte di sloveni e croati, costituiva la base ispiratrice di una politica di violenza e di inimicizia nei confronti delle minoranze nazionali che non sarebbe stata ininfluente nella determinazione degli esiti negativi e tragici del fascismo e dello Stato italiano sul confine orientale. (p. 32)
- Quando sloveni e croati dimostrarono di non essere affatto succubi di questa politica e di non anelare all'assimilazione, la loro opposizione venne presa come un affronto alla 'superiore' italianità, come un oltraggio da parte di gente irriconoscente incapace di approfittare dell'enorme favore che gli veniva fatto accogliendola nel consesso italiano (dopo averla fatta rinunciare alla lingua, al nome, alla propria cultura). (pp. 32-33)
- Pavelić era stato fin dal 1929 'allevato' e protetto in Italia, proprio in funzione dello smembramento del Regno di Jugoslavia, che era di ostacolo alle mire fasciste sui Balcani [...]. Mussolini incontrò Pavelić a Roma pochi giorni prima dell'inizio dell'aggressione. Pavelić e i suoi ustaša furono insomma funzionali ai progetti destabilizzanti nei Balcani, secondo le direttrici di una politica delineata [...] già dal periodo risorgimentale e l'aggressione era perfettamente condivisa da Mussolini, e non fu semplicemente 'subita' in seguito alla decisione dell'alleato nazista. (p. 43)
Bibliografia
[modifica]- Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943, Nutrimenti, Roma, 2008. ISBN 978-88-88389-94-3
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