Antonio Pigafetta

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Ritratto che la tradizione attribuisce ad Antonio Pigafetta (Raccolta Marasca della Biblioteca Bertoliana di Vicenza), tratto da un busto conservato al Museo Civico di Vicenza, proveniente dalla Chiesa di San Michele (dove i Pigafetta avevano un sepolcro familiare). In realtà si tratta di un altro Pigafetta, Gio. Alberto di Gerolamo (morto nel 1562 a 29 anni)

Antonio Pigafetta, anche conosciuto come Antonio Lombardo (1491 circa – dopo il 1534), esploratore, geografo e scrittore italiano.

Relazione del primo viaggio intorno al mondo[modifica]

Incipit[modifica]

Perché sono molti curiosi, illustrissimo ed eccellentissimo signor, che non solamente se contentano de sapere e intendere le grandi ed ammirabili cose che Dio me ha concesso di vedere e patire ne la infrascritta mia longa e pericolosa navigazione, ma ancora vogliono sapere li mezzi e modi e vie che ho tenuto ad andarvi, non prestando quella integra fede a l'esito se prima non hanno bona certezza de l'inizio; pertanto saperà vostra illustrissima signoria, che, ritrovandomi nell'anno della natività del Nostro Salvatore 1519 in Spagna, in la corte del serenissimo re dei Romani con el reverendo monsignor Francesco Chieregato, allora protonotario apostolico e oratore de la santa memoria di papa Leone X, che per sua virtù dappoi è asceso a l'episcopato de Aprutino e principato de Teramo, avendo io avuto gran notizia per molti libri letti e per diverse persone, che praticavano con sua signoria, de le grandi e stupende cose del mare Oceano, deliberai, con bona grazia de la maestà cesarea e del prefato signor mio, far esperienzia di me e andare a vedere quelle cose, che potessero dare alcuna satisfazione a me medesimo e potessero partorirme qualche nome appresso la posterità.

Citazioni[modifica]

  • Questo stretto è longo cento e dieci leghe, che sono 440 miglia, e largo più o manco de mezza lega, che va a riferire in un altro mare, chiamato mar Pacifico, circondato da montagne altissime caricate de neve. Non [g]li potevamo trovar fondo se non con lo proise in terra in 25 e 30 brazza. E se non era el capitano generale [Magellano] non trovavamo questo stretto, perché tutti pensavamo e dicevamo come era serrato tutto intorno: ma il capitano generale, che sapeva de dover fare la sua navigazione per uno stretto molto ascoso, come vide ne la tesoreria del re di Portugal in una carta fatta per quello eccellentissimo uomo Martin di Boemia, mandò due navi, Santo Antonio e la Concezione, che così le chiamavano, a vedere che era nel capo della baia. (pp. 25-26)
  • Mercore a 28 de novembre 1520 ne disbucassemo da questo stretto s'ingolfandone mar Pacifico. Stessemo tre mesi e venti giorni senza pigliare refrigerio di sorta alcuna. Mangiavamo biscotto, non più biscotto, ma polvere de quello con vermi a pugnate, perché essi avevano mangiato il buono: puzzava grandemente de orina de sorci, e bevevamo acqua gialla già putrefatta per molti giorni, e mangiavamo certe pelle de bove, che erano sopra l'antenna maggiore, acciò che l'antenna non rompesse la sartia, durissime per il sole, pioggia e vento. Le lasciavamo per quattro o cinque giorni nel mare, e poi se metteva uno poco sopra le brace e così le mangiavamo, e ancora assai volte segatura de asse. Li sorci se vendevano mezzo ducato lo uno e se pur ne avessemo potuto avere. Ma sovra tutte le altre sciagure questa era la peggiore: crescevano le gengive ad alcuni sopra li denti così de sotto come de sovra, che per modo alcuno non potevano mangiare, e così morivano per questa infermità. Morirono 19 uomini e il gigante con uno Indio de la terra del Verzin. Venticinque o trenta uomini se infirmarono, chi ne le braccia, ne le gambe o in altro loco, sicché pochi restarono sani. Per la grazia de Dio, io non ebbi alcuna infermitade. (pp. 33-34)
  • In questi tre mesi e venti giorni andassemo circa de quattro mila leghe in uno golfo per questo mar Pacifico (in vero è bene pacifico, perché in questo tempo non avessimo fortuna [fortunale]) [...]. (p. 34)
  • Circa de settanta leghe alla detta via, in dodeci gradi di latitudine e 146 de longitudine a 6 de marzo discoprissemo una isola al maistrale piccola e due altre al garbin [Isole Marianne]. Una era più alta e più grande delle altre due. Il capitano generale voleva fermarse nella grande per pigliare qualche refrigerio; ma non poté, perché la gente de questa isola entravano ne le navi e rubavano chi una cosa, chi l'altra, talmente che non potevamo guardarsi. Volevano calare le vele a ciò andassimo in terra: ne roborono lo schifo che stava legato da poppa de la nave capitana con grandissima prestezza. Per il che corrucciato il capitano generale andò in terra con quaranta uomini armati e brusarono da quaranta o cinquanta case con molti barchetti e ammazzarono sette uomini, e riebbe lo schifo. Subito ne partissemo seguendo lo medesimo cammino. Innanzi che dismontassemo in terra alcuni nostri infermi ne pregorono, se ammazzavamo uomo o donna, li portassemo li interiori, perché subito sarebbeno sani.
    Quando ferivamo alcuni di questi con li verrettoni, che li passavano li fianchi da l'una banda all'altra, tiravano il verrettone mo' di qua, mo' di là, guardandolo; poi lo tiravano fuora meravigliandosi molto, e così morivano: e altri che erano feriti nel petto facevano il simile. (pp. 36-37)
  • Questo cocco è grande come il capo, e più e meno. La sua prima scorza è verde e grossa più di dui diti, ne la quale [gli isolani] trovano certi filetti, che fanno le corde che legano le sue barche. Sotto di questa ne è una dura e molto più grossa di quella de la noce. Questa la brusano e fanno polvere buona per loro. Sotto di questa è una medolla bianca, grossa come un dito, la qual mangiano fresca con la carne e il pesce, come noi lo pane, e di quel sapore che è la mandorla. Chi la seccasse, se farebbe pane. (p. 40)
  • [Su Ferdinando Magellano] Fra le altre virtù, che erano in lui, era lo più costante in una grandissima fortuna che mai alcuno altro fosse al mondo: sopportava la fame più che tutti gli altri, e più giustamente che uomo fosse al mondo carteava e navigava, e, se questo fu il vero, se vede apertamente, niuno altro avere avuto tanto ingegno né ardire di saper dare una volta al mondo come già quasi lui aveva dato. (p. 75)

Explicit[modifica]

Partendomi da Siviglia, andai a Vagliadolid, ove appresentai a la sacra maestà de don Carlo, non oro né argento, ma cose da essere assai apprezzate da un simil signore. Fra le altre cose li detti uno libro, scritto de mia mano, de tutte le cose passate de giorno in giorno nel viaggio nostro. Me ne partii de lì al meglio [che] potei; e andai in Portogallo e parlai al re don Giovanni de le cose [che] aveva vedute. Passando per la Spagna venni in Franza; e feci dono de alcune cose de l'altro emisfero a la madre del cristianissimo re don Francesco, madama la reggente. Poi me ne venni ne la Italia, ove donai per sempre me medesimo e queste mie poche fatiche a lo inclito e illustrissimo signor Filippo de Villers Lisleadam, gran maestro de Rodi dignissimo.

Bibliografia[modifica]

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