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Clelia d'Onofrio

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Clelia d'Onofrio (1938 – vivente), giornalista, personaggio televisivo e scrittrice italiana.

Intervista di Annamaria Trevale, sulromanzo.it, 10 dicembre 2019.

  • [Come mai ha deciso di scrivere un libro [Rugiada a colazione] di questo tipo, autobiografico ma anche fiabesco?] È una nuova tappa della mia storia. Ho scelto il giornalismo come mestiere per l'incoraggiamento di un'insegnante che a scuola mi diceva "tu hai uno stile giornalistico". Ho frequentato i primi corsi di giornalismo a Roma e poi ho cercato lavoro in quell'ambiente. Gianni Mazzocchi, fondatore dell'Editoriale Domus, era un editore molto attivo, che sapeva guardare avanti e aveva inventato le riviste specializzate. Dopo Domus, uscì Quattroruote che accompagnò la motorizzazione degli italiani "per gli automobilisti di oggi e di domani", come diceva il sottotitolo: coloro che non avevano ancora il potere d'acquisto per comperarsi un'auto la sognavano sulle pagine di Quattroruote. Poi sono nate le riviste in difesa del consumatore, come Quattrosoldi che testava tutti i prodotti, e in seguito il Libro di Casa e Il Cucchiaio d'argento. Avendo vissuto la mia vita in tante redazioni dell'Editoriale Domus ho finito per parlare e scrivere a lungo di tutto, a partire dalle automobili, viste non solo come mezzo di svago ma anche di lavoro: in quegli anni Quattroruote faceva grandi campagne per la sicurezza, per l'ampliamento delle corsie autostradali e su tanti problemi connessi al traffico. Anche se non sapevo nulla di meccanica, ho imparato tanto di quel mondo. Viaggiando, conoscendo, intervistando, a un certo punto non sapevo nemmeno io di cosa volessi davvero scrivere, ma sono state esperienze straordinarie, perché sono passata da una rivista all'altra, dalle automobili ai viaggi, dall'economia alla cucina, in anni in cui l'editoria era ricca e si poteva permettere riviste belle, costose, con magnifiche immagini e carta di qualità.
  • [Un'osservazione importante che nasce dalla lettura del suo libro è la fine della convivialità, del cibo come punto di coesione: un conto è sedersi al tavolo di un ristorante, un altro mangiare tutti insieme il risultato di un lavoro di preparazione comune, come pure la trasmissione e lo scambio di ricette.] Certamente! Io, per principio, mi rifiuto di mangiare insieme ai telefonini: quando vedo uno che appena si siede al ristorante mette sul tavolo il cellulare, a meno che non abbia davvero un impegno di lavoro urgente, mi innervosisco: la trovo una cosa insopportabile.
  • [Sul cibo, tra l'altro, si stanno scatenando delle vere e proprie guerre: vegetariani, vegani, salutisti, seguaci di varie mode alimentari... non ci stiamo perdendo un po'?] Certo, perché si creano delle fazioni assurde. Se capiti vicino a un vegetariano e ordini una bistecca quello ti guarda con terrore, a volte persino con disprezzo. C'è un'attenzione quasi ridicola al cibo "sano", a delle mode che lasciano un po' il tempo che trovano. Si finisce poi per tornare quasi sempre alle origini, alle abitudini alimentari memorizzate fin dall'infanzia, che probabilmente restano le migliori.

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