Davide Nicola

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Davide Nicola (2012)

Davide Nicola (1973 – vivente), allenatore di calcio ed ex calciatore italiano.

Citazioni di Davide Nicola[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • Ho studiato Mourinho, Ferguson, gran parte degli allenatori italiani [...] Ma non sono modelli: chi insegue gli altri, non sarà mai primo.[1]

"Falcinelli e psicologia, così salverò il Crotone"

Intervista di Andrea Sorrentino, repubblica.it, 11 aprile 2017.

  • Altri [club] non vogliono un allenatore, ma un gestore, o forse uno che intercetti solo i colpi di culo.
  • [«L'allenatore di Serie A: tecnico, tattico o psicologo?»] Tutte queste cose insieme. Ma allenare, in senso etimologico, vuol dire "rendere adatto". Si allena l'uomo. Creare consapevolezza delle sue potenzialità. La maggior parte delle persone non si conosce bene. [...] I giocatori idem: spesso non conoscono i propri punti di forza e le aree di miglioramento, o li confondono. Il mio lavoro è creare consapevolezza, renderli padroni di se stessi. Mai concentrarsi solo sui difetti, ma aprire la mente per puntare sui pregi.
  • L'unica certezza che ho è il dubbio. Non potrei essere diverso. Odio le cose immutabili, o i valori e le verità assolute.
  • [«È vero che la Serie A è crollata come livello tecnico?»] Da sempre le generazioni precedenti criticano quelle successive... [...] Non è vero che il campionato peggiora, in realtà lo sport si evolve, dovremmo solo studiarlo in modo più approfondito. Cambiano gli atleti e le regole: è un mondo in divenire.

La salvezza? La prendo con filosofia

Intervista di Fabrizio Salvio, SportWeek nº 18 (831), 6 maggio 2017, pp. 32-36.

  • La [Serie] A non è tanto diversa dalla [Serie] B, la differenza è che qui tutto è amplificato dalla qualità di certi giocatori e dalla ricaduta emotiva che avrà su [di essi] l'impatto dei media. [Faranno] gli errori di sempre e improvvisamente non [saranno] considerati adatti per la categoria; al contrario, alla prima partita decente [verranno] buoni per la Nazionale. Se non [saranno] capaci di mantenere un equilibrio tra giudizi opposti, [andranno] in grossa difficoltà. E qui entra in gioco l'allenatore, che deve essere il primo a non cadere schiavo della grancassa mediatica.
  • [Sui metodi di allenamento] Non si può ridurre tutto a un discorso tecnico e atletico. Se un mio giocatore arriva al campo distratto o preoccupato da qualcosa che gli è successo fuori, l'allenamento per lui quel giorno varrà zero. Collaboro [con] psicologi sportivi che si occupano di spiegare perché un giocatore alterna partite eccellenti ad altre insufficienti. E i motivi sono legati appunto alla psiche. L'allenatore deve riconoscere questo aspetto della persona e intercettare i suoi bisogni. Se non riesce, è preoccupante. Purtroppo nel calcio quando parli di queste cose ti guardano come un marziano.
  • [«Ha detto (...): ho delle ambizioni e delle visioni»] L'ambizione è quella di dimostrare la validità delle mie idee ad altissimi livelli, la visione è dimostrare che i moduli sono relativi: a contare sono i principi di gioco.
  • Sento sempre parlare di autostima, ma che vuol dire? L'autostima non serve a giocare a calcio. Per giocare a calcio serve essere capaci e spesso i giocatori non hanno consapevolezza delle proprie capacità.
  • Non mi accontento mai. In me c'è una insoddisfazione latente. Quanto sono vicino a veder realizzata la mia visione di calcio, ecco che questa cambia.

Se potessi, sbranerei tutti

Intervista di Alfredo Giacobbe, ultimouomo.com, 26 febbraio 2018.

  • Io credo in un approccio olistico: nessuna persona è un sistema di parti singole assemblate tra loro. Un atleta lavora sempre nella sua interezza — tecnica, atletica, mentale — e ogni cosa influenza l'altra. E ogni individuo influenza gli altri, all'interno del sistema squadra.
  • [«Che tipo di rapporto aspiri ad avere con i calciatori: di amicizia, autoritario, di semplice fiducia e rispetto?»] Ho due principi guida: voglio un rapporto leale e devo essere il primo a dichiarare i miei bisogni e i miei sentimenti senza nascondermi. [...] Questi due principi restano uguali per tutti, poi lo stile di conduzione cambia da persona a persona. Per esempio devo stare attento alla differenza di cultura, se ho di fronte un calciatore straniero. Lo stile è differente se ho già allenato quel calciatore oppure no; se è un ragazzo o un adulto. In generale le proprie decisioni vanno sempre spiegate, non c'è cosa peggiore di prendere decisioni senza fornire una motivazione.
  • Un allenatore intelligente sa adattarsi alla realtà, deve farlo. Se alleni una grande squadra, devi vincere titoli. Punto. Non serve che parli di crescita di un gruppo, è una perdita di tempo. Al contrario, se alleni una piccola squadra, come una neopromossa alla prima esperienza, devi strutturare un percorso attraverso una serie di obiettivi raggiungibili e misurabili.
  • Per me un giocatore top è anche quel calciatore che in una grande squadra gioca 15 partite all'anno, sempre in posizioni differenti, e che alla fine in quella squadra ci sta per 20 stagioni. Perché sa che quello è il suo ruolo e lo esprime nel migliore dei modi, anche fuori dal campo. Diamo la stessa importanza anche a chi non ottiene le prime pagine.

Io voglio dimostrare le mie idee sempre

Intervista di Alfredo Giacobbe, ultimouomo.com, 28 settembre 2022.

  • [«Cosa cambia per un allenatore quando arriva da subentrato rispetto a quando comincia la stagione dall'inizio?»] Cambiano le priorità. Quando subentri, erediti una squadra che non hai avuto tempo di conoscere. Nella prima settimana di full immersion bisogna capire le caratteristiche della squadra, la metodologia di allenamento a cui era abituata. Un'idea dell'impostazione tecnico-tattica che tu avresti dato, guardando da fuori quel tipo di squadra, ce l'hai; poi, allenandola, ti rendi conto di quanto tempo ci vuole per cambiare dalla vecchia impostazione. Bisogna conoscere le caratteristiche di tutti i giocatori, classificare le problematiche nelle varie aree, riconoscere i propri punti di forza, con un'analisi il più dettagliata possibile servendosi anche dei big data. E a quel punto: iniziare ad allenare, scegliere i principi di gioco che sono inderogabili, capire se c'è qualcosa da adattare in base alle caratteristiche dei giocatori a disposizione.
  • Io mi annoio a vedere squadre troppo lente, che ragionano troppo. Anch'io voglio giocatori pensanti, ma è qualcosa che devi costruire negli allenamenti. In partita deve andare la parte inconscia della mente. Un giocatore in campo porta il suo bagaglio di conoscenze e di abitudini, e per costruirlo ci vuole tanto lavoro.
  • [Sui tifosi] L'essenza del nostro sport è questa, al di là delle comodità, della visibilità, dell'aspetto economico, il valore che ci percepiamo è dato dalla gente che ci segue. Non dobbiamo dimenticarlo, è una forma di umiltà.
  • [Sull'evoluzione del gioco del calcio] C'è anche un'esigenza di spettacolo diverso, legato alle regole e al loro cambiamento per aumentare la produzione di gioco, per creare occasioni in più, per favorire lo spettacolo, per rendere una partita più divertente. Un tifoso si diverte di più a una partita con molte transizioni, perché aumenta il livello emotivo del seguire un'azione dopo l'altra. A me sembra che oggi è cambiato il significato di velocità, ha assunto un connotato di emotività: tutto ciò che è più veloce, più intenso, ti sembra che ti dia qualcosa in più, lo vivi meglio.
  • Il vero limite di chi parla di calcio, io credo, è che se esce un concetto nuovo, sembra che se tutti non parliamo di quel concetto siamo fuori dal mondo. Per me dovrebbe valere un altro approccio: esce un concetto, lo analizzo, se mi da spunti per migliorare il mio pensiero, devo poter essere libero di seguirlo. Oppure no. Ma se diventa un'imposizione perché altrimenti divento démodé se non seguo quel concetto... secondo me démodé diventa questa visione di dover andare tutti costantemente in un'unica direzione. La vera ricchezza è la differenziazione di pensiero. È la libertà di scegliere strategie diverse. Il bello del calcio è questo: tu fai una cosa, io posso farne un'altra; io cerco di mettere in difficoltà te, tu cerchi di creare difficoltà a me. Se entrambi facciamo la stessa cosa, diventa solo una questione meccanica o solo di assoluta qualità. Ma laddove la mia qualità è inferiore alla tua, se cerco di batterti sullo stesso territorio, probabilmente perderò sempre. Devo essere intelligente, devo portarti su un altro territorio dove forse sarai battibile.
  • Se mi chiedi qual è il mio livello più alto di ambizione, ti rispondo: dimostrare le mie idee sempre. Poi più c'è gente, più c'è casino, più c'è passione, più c'è importanza di club e di competizioni, meglio è. Ma non è che diventa una malattia. Non bisogna trasformare il desiderio in una bramosia, perché poi dopo vivi male. Io so che prima o poi ci arriverò, quella è la mia idea. Ci arriverò. Se non è oggi, è domani. Se non è domani, è dopodomani. Tra un mese, un anno, tra cinque anni. Tra dieci. Oppure non ci arriverò mai. Sono in pace.

Note[modifica]

  1. Citato in Maurizio Crippa, Il sacro fuoco di Davide Nicola e la rivincita sulle élite appagate, ilfoglio.it, 10 aprile 2017.

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