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Elizabeth Strout

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Elizabeth Strout

Elizabeth Strout (1956 — vivente), scrittrice statunitense.

Incipit di alcune opere

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Le dodici tribù di Hattie

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«Philadelphia e Jubilee» esclamò August quando Hattie gli disse come voleva chiamare i gemelli. «Mica gli si può dare certi nomi da matti, a quei bambini!»

Mi chiamo Lucy Barton

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Ci fu un tempo, ormai molti anni fa, in cui dovetti trascorrere quasi nove settimane in ospedale. Succedeva a New York e la notte, dal mio letto, vedevo davanti a me il grattacielo Chrysler con la sua scintillante geometria di luci. Il giorno spegneva la bellezza dell’edificio che, a poco a poco, ridiventava solo l'ennesima immane architettura stagliata contro il cielo azzurro e, come le altre, remota, silenziosa, altera. Era il mese di maggio e poi di giugno e ricordo che me ne andavo alla finestra a guardare il marciapiede sotto di me e a osservare le donne giovani – cioè della mia età – in abiti leggeri, a spasso nella pausa pranzo; le vedevo chiacchierare muovendo la testa, mentre le loro camicette tremavano riempiendosi di brezza. E pensavo che mai e poi mai, una volta dimessa dall'ospedale, avrei potuto andare a passeggio senza ringraziare il cielo di essere di nuovo una di quelle donne, e per molti anni lo feci: mi rivedevo mentalmente alla finestra dell'ospedale e mi sentivo felice di calcare un marciapiede.

Olive, ancora lei

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Nel primo pomeriggio di un sabato di giugno, Jack Kennison inforcò gli occhiali da sole, salì sulla sua decapottabile aperta, si fece passare la cintura di sicurezza sulla grossa pancia e partì alla volta di Portland, a quasi un'ora di macchina, pur di non incontrare Olive Kitteridge lì nell'alimentari di Crosby nel Maine. Lei, o quell’altra che aveva visto due volte nel negozio, quella che parlava del tempo mentre lui se ne stava con la bottiglia in mano. Del tempo, figuriamoci. Anche l'altra, di cui non ricordava il nome, era rimasta vedova

Olive Kitteridge

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Per molti anni Henry Kitteridge era stato farmacista nella città vicina, e ogni mattina guidava attraverso strade piene di neve, oppure fradice di pioggia, oppure dove d'estate i lamponi selvatici protendevano i loro germogli novelli dai cespugli lungo l'ultimo tratto della cittadina, prima di svoltare nella strada più larga che portava alla farmacia. Ormai in pensione, si sveglia ancora presto e ricorda come le mattine fossero sempre state il suo momento preferito, come se il mondo fosse il suo segreto: gli pneumatici che rombavano sommessi sotto di lui nella luce che filtrava attraverso la nebbia mattutina, il breve spettacolo della baia in lontananza sulla destra, e poi i pini, alti e sottili. Guidava quasi sempre con un finestrino un poco aperto perché amava l'odore dei pini e della densa aria salmastra, e d'inverno quello del gelo.

Tutto è possibile

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Tommy Guptill era stato un tempo proprietario di un caseificio ereditato dal padre e situato a un paio di miglia dal centro di Amgash, Illinois. Tutto ciò risaliva ormai a parecchi anni prima, ma a Tommy capitava ancora di svegliarsi con lo stesso terrore che aveva provato la notte in cui un incendio aveva raso al suolo il caseificio.

Bibliografia

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  • Elizabeth Strout, Le dodici tribù di Hattie, traduzione di Giovanna Scocchera, Einaudi, 2015. ISBN 9788806216856
  • Elizabeth Strout, Olive, ancora lei, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2020. ISBN 9788806244903
  • Elizabeth Strout, Olive Kitteridge, traduzione di Silvia Castoldi, Fazi Editore, 2009. ISBN 9788864110332
  • Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2016. ISBN 9788806229689
  • Elizabeth Strout, Tutto è possibile, traduzione di Susanna Basso, Einaudi, 2018. ISBN 9788806238636

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