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Fabio Stassi

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Fabio Stassi

Fabio Stassi (1962 – vivente), scrittore, bibliotecario e paroliere italiano.

Citazioni di Fabio Stassi

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  • Ho sempre pensato al traduttore come a un musicista. L'interprete che si accosta a uno spartito già scritto ma a cui manca lingua, timbro, intonazione e tocco. Il suono e il fiato. In una parola, la voce. Il suo compito è quello di restituirne la musica, e restituire è un verbo difficile, in letteratura, perché ha a che fare con la natura più intima del raccontare. Scrivere è anche, e forse soprattutto, un tentativo di restituire qualcosa a qualcuno (un'altra versione della verità? un segreto mai detto?), nell'incoscienza di sanare delle ferite, in una necessità quasi infantile di riparazione.
    Il traduttore, in fondo, è un uomo che cerca di riparare alla babele del mondo, al disordine e alla confusione del nostro sempre imperfetto modo di comunicare. Come sostiene Milan Kundera, il romanzo è un fenomeno sovranazionale e per questo dovremmo portare verso i nomi di alcuni traduttori lo stesso rispetto e la stessa ammirazione che tributiamo ai nomi di Glenn Gould o di Benedetti Michelangeli. L'inesauribile riconoscimento che merita chi ci aiuta a riconoscerci in un personaggio letterario o in una frase.[1]
  • La vita dei poeti somiglia a quella delle farfalle: hanno gli stessi traffici con l'effimero, la solitudine e la bellezza.[2]

Incipit de L'ultimo ballo di Charlot

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E poi c'era sempre qualcuno che girava la manovella...
La macchina sfrigolava, proprio il suono di un uovo sui fornelli, la croce di malta si metteva a ruotare, insieme alle pale dell'otturatore, e la pellicola avanzava a scatti, come un ciclista sulla curva di una pista: pedalate lente, sudore, l'occhio attento, e infine il tuffo...
Una spada di luce che tagliava il buio.
Usciva da una scatola e si dilatava, via via, disegnando due diagonali perfette nella sala... e già questo era uno spettacolo; potevi startene lì, a guardarla, senza capire: fumo, e luce, e dentro polvere, nient'altro che polvere, minuscole particelle sospese che nuotavano per aria: si alzavano e si abbassavano, si inseguivano, giocavano a imitare l'universo... ma se strizzavi gli occhi e guardavi per bene, dentro a tutta quella polvere dopo poco ci vedevi degli uomini con i baffi da tricheco, il manganello di un poliziotto, un cane, un tubo per innaffiare il giardino, una vecchia ford, delle torte di panna che volavano, un sifone di seltz, l'uscita degli operai da una fabbrica, l'arrivo di un treno e figure di donne meravigliose che fluttuavano leggere: in quella spada di luce ci vedevi i fianchi di una donna, ma era inutile provare a toccarli, non ci saresti riuscito mai.
Accadeva prima che la luce urtasse contro un ostacolo e tutto si ricomponesse in immagini. Prima che i baffi si stampassero sui volti degli uomini, e le donne si rimettessero in piedi, e gli oggetti riprendessero forma.
Durava la distanza tra il proiettore e il telone bianco nel fondo.
Per me, il cinema era il tempo di quel viaggio.

[Fabio Stassi, L'ultimo ballo di Charlot, Sellerio, 2012. ISBN 9788838929380]

Note

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  1. Da Come Rita Desti suona Saramago, in Tradurre, n. 6, primavera 2014.
  2. Dalla Prefazione a Con in bocca il sapore del mondo, Minimum fax, 2018. ISBN 9788833890302

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