Friedrich Sieburg
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Friedrich Sieburg (1893 – 1964), giornalista, scrittore e critico letterario tedesco.
Robespierre
[modifica]- No, Robespierre non ama. Il suo aspetto esteriore, benché armonico e curato, non sprigiona calore e non rivela forza né debolezza. Ha l'incompleta grazia del fanciullo e l'avvizzita grazia del vecchio. È nato vecchio? Oppure non si è mai maturato? Il suo volto non manca di finezza, il naso è graziosamente volto in su, la fronte sfuggente e incavata alle tempie, e agli angoli della bocca sigillata, dalle labbra sottili, bocca che sembra rifiutarsi di gustare i beni terreni, vi è quasi celato un inesplicabile, quasi caparbio sorriso, che potrebbe voler dire: «So tutto meglio di voi», o anche: «Vado fino in fondo, io». [...] Quel volto non è un volto di uomo, la sua mancanza di virilità dà ai lineamenti un'espressione soave e spaventosa nello stesso tempo, che rammenta talvolta un angelo e talvolta una bestia. In questa mancanza di virilità vi è qualcosa di non umano: la gelida beatitudine di un volto sfiorato dalla polare atmosfera dell'assoluto, che conosce una sola cosa che abbia un vero rapporto con la vita: la morte. (Capitolo V, L'Incorruttibile, pp. 81-82)
- Se Robespierre ha studiato a fondo Rousseau, Saint-Just ha studiato a fondo Robespierre. (Capitolo XI, L'angelo della morte, p. 156)
- Mentre Robespierre congiunge la virtù al terrore, Saint-Just collega al terrore una forma di sconvolgimento sociale che ricorda molto la dittatura del proletariato. Il gran discorso dell'8 Ventoso, che porta il nome relativamente innocuo di «rapporto sulle persone incarcerate», distrugge tutte le speranze in una fine del terrorismo. Egli riprende il suo vecchio tema che aveva formulato in autunno: «Non dovete punire soltanto i traditori, dovete punire anche gli indifferenti. Dovete punire chiunque rimane passivo davanti alla Rivoluzione e non fa nulla per essa». (Capitolo XI, L'angelo della morte, pp. 159-160)
- Per Robespierre il terrore non è soltanto un metodo di lotta, è un dogma. Egli imperversa contro coloro che macchinano piani per abbattere la Repubblica, s'infuria però ancora di più contro coloro che non fanno male a nessuno, ma i cui principi sono erronei o i cui sentimenti repubblicani non sono abbastanza vivi. (Capitolo XIV, La burocrazia della morte, p. 198)
- Robespierre è il penultimo. Dopo di lui rimane soltanto il sindaco Fleuriot-Lescot. L'Incorruttibile ammanettato, che è riuscito ad alzarsi soltanto con l'aiuto degli sbirri, sale con passo fermo e veloce la gradinata. [...] Il boia gli si avvicina, gli strappa di colpo la fasciatura che gli avvolge la testa, scoprendo l'atroce ferita, la mascella che pende, quasi staccata dal viso. Dalla bocca spalancata sgorga un fiotto di sangue. Robespierre manda un urlo di dolore, selvaggio, stridente, che echeggia nella vasta piazza. L'ultimo ricordo che il mondo serba di Massimiliano Robespierre è l'urlo di una creatura straziata. L'Incorruttibile si eleva per l'ultima volta al disopra del popolo con una ferita mortale, mandando un indimenticabile grido di dolore. Poi gli sbirri lo afferrano, lo collocano sotto la mannaia, che cala. (Capitolo XVII, Dormite!, pp. 290-291)
Bibliografia
[modifica]- Friedrich Sieburg, Robespierre, traduzione dall'originale tedesco di Vittoria de Gavardo, Longanesi, Milano, 1968.
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