Giovanni Battista Carlo Giuliari

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Giovanni Battista Carlo Giuliari (1810 – 1892), presbitero e storico della letteratura italiano.

Citazioni su Giovanni Battista Carlo Giuliari[modifica]

Giuseppe Biadego[modifica]

  • Di solito, nelle opere d'uno scrittore non è tutto l'uomo; ma anche dalle opere emana spesso quanto basta per giudicare l'uomo. Gli scritti del Giuliari rivelano il sacerdote pio, zelante del proprio ministero per modo da anteporlo a qualunque miglior soddisfazione del letterato e dell'erudito, quale egli era, valentissimo: il cittadino schietto e coraggioso amico e difensore del suo paese in faccia allo straniero e in tempi difficili, perché, cattolico sincero, non voleva rinunciar nel tempo stesso ad essere italiano.
  • Il discorso letto nel 1866 dal Giuliari nella Cattedrale: L'Italia francata a libertà e nazione fu dall'Unità cattolica (1867, n. 34) giudicato degno di Garibaldi: il che (leggesi anche questo in altra scheda, pure autografa e inedita, del Giuliari) pòrse coraggio all'Autore di spedirlo all'illustre Generale, che lo ricambiava di gentile autografo responso. Il nero giornale credette certo di spaventar l'Autore ponendogli innanzi la figura del diavolo; e invece non sortì altro effetto che metterlo di buon umore! Il Giuliari sapeva bene distinguere.
  • Le sue opinioni, fortemente sentite e liberamente espresse, gli procacciarono (è facile imaginarlo) dispiaceri ed amarezze. Quando nel 1864 egli tradusse dal francese e pubblicò I principi del 1789 e la dottrina cattolica per l'ab. Leone Godard, ebbe gravi rabbuffi dal suo Vescovo; di che il buon Canonico si meravigliava, perché (egli annotava in calce ad una scheda inedita) il testo francese aveva avuto l'approvazione di una consulta di teologi romani. E a spiegazione del fatto concludeva: spiaceva ai gesuiti e tanto basta; essi valgono quanto e più della s. Sede Romana. Il Giuliari era bene ingenuo a maravigliarsi! Egli pretendeva troppo se voleva che i suoi avversari accettassero come canoni indiscutibili questi principi: cioè che i popoli non sono soggetti capevoli né di signoria né di proprietà; che i territori degli Stati non sono né possono essere in comune proprietà di chicchesia; che i popoli sono di se medesimi ed al comune loro bene, come a proprio fine, ordinati: e infine che i territori appartengono solo ai popoli e allo Stato, del quale il Principe è membro nobilissimo ma non signore e proprietario.

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