Giuseppe Rigutini

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Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, Vocabolario italiano della lingua parlata, edizione 1893

Giuseppe Rigutini (1829 – 1903), filologo, lessicografo e docente italiano.

Citazioni di Giuseppe Rigutini[modifica]

  • In quel tempo, per infino che durò, le mie letture [giovanili] erano di scrittori patriottici, in cui mi gettavo smaniosamente
    Come un frate affamato alla scodella.
    Le Prigioni del Pellico mi facevano piangere, e, a dispetto del suo autore, anche fremere; la Roma sotterranea del Didier mi accendeva il sangue; mi esaltavo nel polimetro il Veggente in solitudine del Rossetti, e per tacere di altri autori, mi facevano sobbalzare gl'incalzanti e concitati decasillabi del Berchet. Soltanto debbo aggiungere che la lettura del Guerrazzi non mi commoveva, e che i Promessi Sposi, letti qualche anno avanti, m'avevano fatto dormire, mentre ero andato in visibilio col Marco Visconti e con la Disfida di Barletta. Di questa cosa dimandai a me più tardi la ragione, e rimasi alquanto meravigliato quando mi parve di conoscere che due effetti eguali provenivano da due contrarie cagioni: la gran falsità del sentire e del significare dell'uno, la gran verità del sentire e del significare dell'altro; la prima inconsapevolmente da me avvertita tra mezzo ai Soloni, ai Focioni, ai Catoni e a tutta l'affettata aulicità delle forme guerrazziane; la seconda da me non ancora intesa, né possibile ad intendere da chi non abbia ancora studiato nel gran volume della vita, degli affetti, dei costumi e delle malizie umane, di cui il libro manzoniano è una mirabile rappresentazione.[1]
  • In quel medesimo anno [1850] accadde la morte di Giuseppe Pianigiani. Era professore di Meccanica, assai stimato, nell'Università, ma la stima e l'amore dei Senesi verso di lui crebbero a dismisura per i lavori della strada ferrata da Siena ad Empoli. Un po' per il costume, non certamente condannabile, di quella città di pregiar molto gli uomini e le cose proprie, un po' per le difficoltà, esagerate nella opinion pubblica, di quella strada e dal Pianigiani felicemente vinte, il professore ed ingegnere era giudicato da' suoi concittadini poco men che un Archimede, o certo alla pari di uno Steephenson[2]. Non si può adunque dire quanto luttuosa riuscisse a Siena la sua morte.[3]

I neologismi buoni e cattivi più frequenti nell'uso odierno[modifica]

  • Al si può o non si può? di prima è succeduto il si dice o non si dice? Prima, trovato un esempio in uno scrittore canonizzato, o come dicono i causidici, la vacca gialla, il vocabolo era al sicuro. Così tutta l'autorità ed ogni criterio filologico era posto negli scrittori. Oggi, come dicevo, le cose sono cambiate; e si dimanda soltanto, se si dica o non si dica. E così tutta l'autorità ed ogni criterio filologico è posto nei parlanti. (Parte prima, I Prefazio, p. 9)
  • Quando si dice uso parlato in Toscana, si ha da prendere quest'uso, non in una classe o in un altra di parlanti, e tanto meno fra quei leziosi che non mancano neppure fra' Toscani, anzi vi abbondano con nostra maggior vergogna; ma nel gran corpo della cittadinanza, e in quello che si chiama vero popolo. Così, quantunque in Toscana non manchi chi dice pepiniera, drenaggio, rubinetto, pendant, toccante, l'indomani, e cento e cento altre voci venuteci di fuori senza bisogno alcuno, questo vero popolo dice vivaio, fognatura, chiavetta, riscontro, commovente il giorno dopo o il dimani. (Parte prima, I Prefazio, p. 11)
  • Non è molto in un dei cartelli, affissi ai pubblici giardini di Firenze,[4] leggevo, fra le altre sconcezze, che era proibito d'introdurvi rotabili. Rotabile, secondo la grammatica nostra, significherebbe, nel caso, che può essere rotato, mosso in giro. Invece quel rotabile significava veicolo con ruote, come se non fosse bastato, anzi non fosse stato più vero, il dire veicolo. E con questi verbali in abile, ebile, ibile, contrarj alla ragione grammaticale di nostra lingua, metti pure i più comuni disponibile, in senso, di cui si può disporre, inservibile, di cui non ci si può più servire. Chi non accetta subito la bella ed utile parola acclimare, come derivata da clima; ma chi non sente offese le leggi di formazione, scrivendo con molti acclimatare, dal francese climat? Padroni pure i fabbricanti o venditori di lumi (se il vecchio lumaio sa loro troppo di lucignolo) di barattarsi il nome per decoro dell'arte e del commercio proprio, ma dicano alla buon'ora lampadisti, e non lampisti; perché lampista per noi significherebbe fabbricante di lampi, da star bene, se mai, dietro alle quinte di un palco scenico. (Parte prima, I Prefazio, pp. 12-13)

Note[modifica]

  1. Da AA. VV., Il primo passo. Note autobiografiche, Giuseppe Rigutini, Casa editrice A. Sommaruga, Roma, 1883, pp. 173-174.
  2. George Stephenson (1781 – 1848), ingegnere britannico, noto soprattutto per aver progettato la locomotiva a vapore.
  3. Da AA. VV., Il primo passo. Note autobiografiche, Giuseppe Rigutini, ibid., p. 182.
  4. Tanto è parso sconcio quel cartello, che il Municipio lo ha fatto togliere, e ve ne ha messo un altro di più cristiana dicitura. [N.d.A.]

Bibliografia[modifica]

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