Giuseppe Saredo

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Giuseppe Saredo

Giuseppe Saredo (1832 – 1902), giurista e politico italiano.

Citazioni[modifica]

  • I suoi Inni, sono un modello inimitabile di venustà greca maritata alle più caste e sublimi aspirazioni del cristianesimo.
    V'ha pure un'altra ragione che dà al Mamiani un seggio a parte fra i poeti italiani: voglio dire quella profondità dantesca nel pensiero, da cui da Parini in qua eravamo disassuefatti. La maggior parte dei nostri poeti, è forza il dirlo, s'occupa ben più del numero o della rima che del pensiero: non così il Mamiani.[1]
  • Malgrado l'età avanzata, il Mamiani è vegeto, giovanissimo d'intelletto e dotato di mirabile attività. Dalle prime ore del mattino sino alle più tarde della sera attende alle faccende del suo ministero; e si occupa con eguale prontezza dei grandi come dei minuti negozii che riguardano l'instruzione. Nell'interesse del paese noi speriamo che quest'uomo tanto benemerito, resterà almeno tanto alla direzione del pubblico insegnamento, quanto è necessario perché possa incarnare e condurre a compimento i suoi arditi e fecondi concetti; il suo splendido ingegno, il suo amore antico e provato alla libertà sono una guarentigia per tutti coloro i quali vogliono che, provvedendo a questo ramo importantissimo della pubblica amministrazione, si preparino generazioni capaci non solo di raccogliere il patrimonio intellettuale dei padri loro, ma che sappiano accrescerlo ed ampiarlo; ché questa è l'unica via aperta agli Italiani se vogliono consolidare il possesso del massimo dei beni, la loro autonomia interna ed esterna, acquistata con tanti stenti e con tanti dolori.[2]

La vita locale in Italia[modifica]

  • Parrà, a prima vista, che chiedendo se lo sviluppo della vita locale in Italia sia un bene od un male, io voglia crearmi delle obbiezioni fantastiche, per aver il piacere di confutarle agevolmente. Eppure, voi ben lo sapete, o signori, abbiamo una scuola di uomini politici e di pubblicisti – forse la più influente di tutte – che avversa ogni risveglio di autonomia comunale e provinciale, considerandolo come un ostacolo al progresso civile, e un pericolo per l'unità nazionale.
    Quali siano le ragioni di cui si vale la scuola centralista voi lo sapete: – L'Italia, dicono i suoi seguaci, è formata troppo da poco, perché la coscienza nazionale sia ben radicata in tutte le provincie: se non si stringe fortemente il vincolo che le lega, mettiamo a repentaglio la nostra unità, bisogna dunque combattere ogni tendenza alle autonomie locali, e dare al potere centrale una forza preponderante da rendere impossibile ogni risveglio di potenza municipale e provinciale. Quando avremo ben consolidala l'unità, allora provvederemo alle libertà locali. – (pp. 7-8)
  • Si parla sovente di conflitto fra l'interesse della società e quello degli individui. Più insensato sofisma non potrei immaginare. Di che si compone la società? D'individui. La società è un corpo, di cui gli individui sono le membra. Ora come il braccio può aver interessi opposti a quelli del corpo? O, come io, cittadino, posso avere interessi contrari a quelli della Società di cui fo parte? O si parla di interessi illegittimi; e in questo caso capisco che io sia [in] conflitto: ma se si tratta di interessi legittimi allora vi dico che essi sono in piena e profonda armonia con quelli della società. (p. 9)
  • [...] grandi furono soltanto quei popoli nel seno dei quali l'individuo fu potente. Paragonate le individualità dell'epoca dei Comuni italiani con quelle dei giorni nostri; e avrete il segreto della grandezza passata e della piccolezza presente.
    La conclusione è facile a prevedere: bisogna che le leggi tendano a un solo oggetto: – l'emancipazione dell'individuo. Quel governo è ottimo che meglio insegna ai cittadini a non aver bisogno di lui e a contare su sé medesimi. E un mezzo efficace e polente per raggiungere questo scopo, è lo sviluppo della vita locale. (p. 10)
  • Vi è un principio luminoso e pratico di filosofia civile di cui sicuramente siamo tutti convinti: ed e questo; che degli interessi dell'individuo il giudice più competente è l'individuo medesimo: – che agli interessi del Comune nessuno può cosi bene provvedere come il Comune: – Che all'interessi della provincia deve pensare la provincia: e che lo Stato deve occuparsi unicamente degli interessi generali. E si comprende. I ministri più oculati, più dotti più onesti conoscono meno del più umile dei cittadini ciò che conviene a quest'ultimo nella regola de' suoi interessi privati. – Degli interessi del Comune nessuno é giudice migliore dei cittadini che lo compongono: e il prefetto più capace e più devoto al loro bene sarà sempre meno competente di loro nel decidere ciò che loro conviene. (p. 11)

Note[modifica]

  1. Da Terenzio Mamiani, Unione tipografico-editrice, Torino, 1860, p. 24.
  2. Da Terenzio Mamiani, Unione tipografico-editrice, Torino, 1860, pp. 85-86.

Bibliografia[modifica]

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