Gloria Peritore
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Gloria Peritore (1988 – vivente), kickboxer e artista marziale mista italiana.
Tommaso Clerici, ultimouomo.com, 14 luglio 2022.
- Sono nata a Licata, un comune di poco più di 30mila abitanti in provincia di Agrigento, in Sicilia. La mia è sempre stata una famiglia sana, papà è un medico mentre mamma insegna educazione fisica a scuola. È stata lei a trasmettermi da subito la passione per lo sport, per il movimento. [...] Ma pur avendo una base familiare così unita e armoniosa, durante la mia adolescenza ho vissuto una relazione tossica con un ragazzo molto più grande di me, che aveva problemi con la giustizia. Nonostante fossi giovanissima mi sono ritrovata in situazioni ben oltre il limite, che ho dovuto affrontare. È stata un'esperienza distruttiva, mi sono assunta colpe che non erano mie perché mi sentivo debole, incapace di reagire. In realtà ero finita in una trappola psicologica che mi ha messo a dura prova, e le conseguenze sono state pesanti, mi hanno segnata. Ho avuto parecchi strascichi, perché fai fatica ad assolverti: per tanto tempo ho convissuto con attacchi di panico e ansie di diverso tipo che ogni tanto riaffiorano. Non è facile liberarsene. In realtà si deve realizzare di aver agito, e subìto, in balia della paura. È un'emozione che è importante imparare a riconoscere per poterla gestire, perché è quella che ti impedisce di chiedere aiuto, anzi, che non ti fa capire di averne bisogno. La consapevolezza è il primo, fondamentale passo per fuggire da situazioni del genere. E serve anche una buona dose di amor proprio. Se da adolescente mi fossi amata di più, questa storia sarebbe andata diversamente. Ecco perché oggi a quella ragazzina spaventata direi che non è giusto ciò che le sta accadendo, e soprattutto che non è colpa sua se sta succedendo, perché è una vittima.
- [Sulla kickboxing] Grazie a questa disciplina sono rinata, mi ha insegnato ad allenare il coraggio, ad affrontare le mie paure e a credere in me. La ragazzina timorosa della mia adolescenza esiste ancora, è dentro di me, solo che è cresciuta sotto diversi punti di vista. Rafforzarsi mentalmente non vuol dire diventare imperscrutabili, inscalfibili, superuomini o superdonne; piuttosto significa accettarsi e convivere con le proprie emozioni, saperle accogliere e gestire, ed è un aspetto che fa la differenza. Così puoi lavorarci e renderle un punto di forza.
- Qualche atleta potrebbe voler conquistare un titolo per prestigio, per soldi o magari per mettersi alla prova. Io combatto per una questione di rivincita personale.
- [Sull'essere una fighter donna] A Licata sono ancora vista con sorpresa e stupore dopo anni, nonostante nel frattempo sia diventata una specie di idolo locale. Nella quotidianità invece non ho mai avuto problemi. In generale ci tengo a curare la mia femminilità, mi piace far vedere come nella vita sia diversa rispetto a quando combatto, fuori dal quadrato sono un'altra persona. Invece spesso la gente fa fatica a crederlo: le discipline da combattimento non sono percepite come gli altri sport, in cui l'atleta quando non gareggia sveste quei panni. Di noi pensano che siamo sempre come ci vedono sul ring.
- Il ring è lo specchio dell'anima, perché lì sopra si vede veramente chi sei, e lo riveli anche a te stessa [...]. Non ci sono tante scuse: se sei una persona timorosa, oppure troppo aggressiva e che non sa controllarsi, insomma chiunque tu sia, dentro quelle corde viene fuori. È un ottimo strumento per poter lavorare su certi aspetti emotivi e caratteriali di una persona, è terapeutico. Impari a conoscerti profondamente perché ti trovi in situazioni estreme, dove reagisci in modo istintivo. Scopri una connessione con la tua parte più intima, e il confronto duro con un'avversaria ti insegna l'autostima e ad amarti per come sei. Per me può essere paragonato ad altre pratiche come la meditazione, perché ti costringe a guardarti dentro. Corpo e mente devono essere allineati per raggiungere l'obiettivo, questa è la chiave del successo nel fighting. E ti serve soprattutto nella vita. È una sorta di psicoterapia profonda, anche perché alcune questioni con sé stessi si risolvono inconsapevolmente, su altri piani rispetto a quello cognitivo.
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