André Scala
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André Scala (1950 – vivente), filosofo francese.
Citazioni di André Scala
[modifica]- Carmelo Bene sa perfettamente che udire non è andare dal suono al senso, e che non basta articolare la parola al rumore per sbarazzarla del senso. Sa che l'udire ci situa immediatamente nella regione del senso, e che per perdere il senso occorre anche perdere il suono del senso.[1]
I silenzi di Federer
[modifica]Chi si trovasse di nuovo a frequentare le gradinate di uno stadio di tennis dopo anni di assenza, si accorgerebbe ben presto di una differenza. Le palle vengono sempre scambiate in basso, nel campo, ma, ciò per cui si è là, l'essenza del successo dello sport, l'esperienza della presenza – il "prestigio della presenza" diceva Cocteau – la si avverte sempre più lontana o ridotta, non si riesce più nemmeno a scorgerla a occhio nudo.
Citazioni
[modifica]- Ma un giocatore tende a sottrarsi, a donare al tennis la sua presenza; egli zittisce, per quanto possibile, ogni linguaggio nel suo gioco e nel suo atteggiamento, svuota lo spazio del campo con il solo fatto di lanciare e di ricevere la palla. Questo giocatore, Roger Federer, cancella tutto ciò che può fare immagine nel suo stile, sa che sopravviverà nei gesti futuri che avrà ispirato, che appartiene a una storia, che non ha nulla di immortale, che la vita di uno sportivo, alla pari di quella dell'eroe, è breve. Se è un eroe, lo è a dispetto del nostro tempo. (p. 7)
- [Riferito agli Open di Francia] Capita, a Parigi, che il tennis venga associato alla primavera – non al suo risveglio, ma alla primavera inoltrata a cui manca solo l'afa implacabile dell'estate –, ai folti ippocastani dell'Avenue de la Porte d'Autueuil, alla cupola disabitata del giardino dei poeti che la costeggia e al nido sotto il tetto. (p. 10)
- A New York, l'udito non può essere un senso difensivo, tutti i rumori sembrano provenire da un cortile sul retro. Tutti a egual distanza, si producono ovunque salvo che nella lontananza o nella prossimità, mixati dalla strada stessa. (p. 14)
- [Su Pete Sampras] Sulle prime non si è notato il suo stile, il suo rovescio a una mano – quello che permette ogni cosa nella varietà –, il suo modo di piegare le ginocchia, il suo slice e d'improvviso un'altra cosa, il viaggio nel tempo, dal rovescio classico al colpo di diritto dei giorni nostri. No, non è questo ciò che si è notato da principio. Si è notato qualcosa a gioco fermo, mentre il giocatore attendeva la palla – ciò che gli specialisti chiamano rilassatezza, un movimento che, lì, quella sera, superava per sua stessa natura l'anticipo, la reazione, un movimento senza un punto fisso e soprattutto indifferente al gioco del suo avversario e tuttavia sempre giusto, sempre preciso. (pp. 14-15)
- I passi laterali di Pete Sampras hanno prodotto un'impressione inedita, un neofita avrebbe detto che egli compiva gesti indifferenti al gioco, che faceva qualcos'altro. Il ritmo liberava il movimento da ogni intenzione. Ciononostante tutto era giusto, adeguato, come se il tempo fosse più importante dello spazio (essere ben piazzato), l'atto fosse sottomesso al tempo. Sampras calcolava. Non si domandava: dove bisogna colpire la palla ma quando. Non attendeva la palla, e nemmeno si protendeva verso di essa. (pp. 15-16)
- Federer fa dell'arte di giocare a tennis un'invenzione costante, ossessionato dalla domanda: come giocare in uno stato di variazione continua? Che cos'è la variazione nel tennis? Non giocare mai un colpo che l'avversario s'aspetta, alternare velocità e lentezza, effetti impressi alla palla, direzione. Occorre dunque un ritmo, un ritmo impercettibile per l'avversario, sul quale non possa fare affidamento. i colpi che Federer gioca sembrano allo stesso tempo sopraggiungere e sopraggiungergli. (pp. 17-18)
- Tutti gli avversari di Federer notano la stessa cosa: egli cerca costantemente di sbilanciarti, occupa lo spazio in maniera sorprendente, ti obbliga a riflettere quando non occorre, sembra avere in ogni frangente più soluzioni. (p. 18)
- Si dice che la poesia sia cominciata con lo sport. (p. 20)
- L'atleta ha bisogno del poeta, diceva Pindaro: il poeta era necessario al campione perché l'impresa fosse celebrata con versi monumentali. (p. 20)
- Lo sport impartisce delle lezioni. Lo spettacolo sportivo è educativo, diverte a mala pena, non è fatto per cambiare le nostre idee ma per appagarci di quelle che offre. (p. 23)
- Per diventare televisivo, il tennis, dal canto suo, ha dovuto farsi comprensibile e noioso come un lavoro. Ma ciò non è bastato. Il punto di resistenza del tennis al suo destino televisivo non è stato la lunghezza e la durata interminabile delle partite, ma piuttosto il silenzio: il tennis è uno sport silenzioso, da qui la necessità di farne uno spettacolo non soltanto sonoro ma parlante. (p. 27)
- Gli sport sono un'estesa conversazione, un monologo del corpo sociale con se stesso; non un'immagine o un semplice riflesso, ma un discorso autoreferenziale. (p. 28)
- Un personaggio esalta e abbatte questo spirito d'impresa: il coach. Egli esalta e abbatte le individualità, ha il concetto di squadra, è l'esperto, e quando il suo interesse concerne più l'individuo che la tecnica si differenzia dall'allenatore. (p. 28)
- L'atteggiamento di Federer su un campo da tennis è classico, alcuni direbbero antico, superato, noi diremmo piuttosto inattuale. Coerente con il suo rifiuto del coach, egli gioca a tennis senza ansimare, né inviare segnali positivi o negativi verso le tribune. Sembra indifferente ai suoi atti, non fa smorfie né urla. (p. 38)
- Il tennis è uno sport in cui gli appassionati sono più necessari dei sostenitori. Il tennis non è tuttavia uno sport da esteta per il quale la vittoria conta poco, tutt'altro. L'appassionato soffre più del sostenitore perché qui non è in gioco solamente la squadra, la città, la maglia, ma il gioco in sé, qualcosa d'essenziale, non necessariamente eterno, bensì transitorio, mortale, che si manifesta in un gesto, in una postura in rapporto a questo gioco che viene ridefinito ogni volta, mai una volta per tutte. [...] La posta per l'appassionato di tennis è la definizione stessa di gioco. Fin dalle sue origini il tennis è stato uno sport di opposizione non soltanto tra due avversari, ma anche tra due modi di praticarlo, inizialmente tra i fini giocatori di pallacorda e i brutali giocatori di rackets (sorta di squash). (pp. 48-49)
- Il tempo di gioco nel tennis è indeterminato, la sua durata è continuità indefinita del fatto di giocare. (p. 53)
- Nel tennis non si può privare l'avversario della palla come nel calcio e nel rugby. il tennis è uno sport di combattimento a distanza; la palla, che in fondo è solo una sfera opaca, può essere ricevuta carica di tutte le intenzioni dell'avversario che se ne sta dall'altra parte del campo. La palla è l'altro privato della sua presenza. La distanza dona allo scontro un aspetto formale e visibile più agevole da percepire rispetto alla boxe. (p. 54)
- C'è qualcosa di irriconciliabile tra Nadal e Federer, qualcosa che non si fonda sui sentimenti espressi [...]. Si tratta di un antagonismo senza ragioni personali. Ciascuno possiede esattamente ciò che manca all'altro, come nella grande tradizioni dei duelli cavallereschi, ciascuno cerca di prendere il vantaggio decisivo. (p. 58)
- Nadal è la materia nera che di rado Federer restituisce alla luce. Per quel che lo riguarda, Nadal considererà di essere in generale meno forte di Federer, giocherà a fare il Davide contro Golia: sono meno forte ma alla fine lo batto quasi sempre; io sono, ed è uno dei miei vanti, il solo giocatore più debole di Federer che lo sconfigge regolarmente; io non penso a essere il migliore, penso alla vittoria, è tutto. (p. 59)
- Nadal, l'uomo di mare, il pirata... l'uomo dell'isola, dai colori vivaci come un uccello del paradiso, tornito come la palla, perché è con questa, più che con la racchetta, che egli fa il corpo. (p. 59)
- [Su Rafael Nadal] Ha imparato a cavarsela con quello che ha, ciò che non è presente non esiste, sarebbe molto più semplice se questo presente fosse un istante, ma dura quanto il suo gioco. Egli ringrazia la vita quando vince. Se Nadal gioca bene a tennis è perché allo stesso tempo ha imparato a vivere. (p. 60)
- Federer contro tutto ciò afferma la storia del tennis. Vede se stesso come parte di questo sport, e farne parte significa appartenere alla sua storia. Egli gioca a tennis con un senso storico. Si sente uno storico del tennis, riportando talvolta il tennis al suo passato (a Wimbledon ostenta un abbigliamento di un'altra epoca, il suo stile di gioco è classico). Nella convinzione che il passato non abbia ancora esaurito il suo corso, egli riapre quello del tennis per tentare di realizzarne le potenzialità inespresse, non per rivolgersi a esso con nostalgia. (p. 64)
- Federer infatti non crede che la memoria degli spettatori presenti sia il luogo di sopravvivenza del suo gesto, non è virtuoso in quel senso e, paradossalmente, in rapporto alla sola memoria degli spettatori, lui, lo storico assomiglia a quei saggi cinesi descritti da Henry Miller che praticano l'arte degli aquiloni senza preoccuparsi dell'impressione lasciata dagli splendidi ed effimeri movimenti della carta nel cielo. Da qui la difficoltà, per lui, di trovare nel suo gioco l'equilibrio tra la storia del tennis e la sua essenza che non ha altro domani al di là dei suoi colpi di racchetta. (p. 69)
- Con Federer, l'eccellenza non dipende direttamente dalla perizia, dalla tecnica, dall'odio, dalla lotta, dalla competizione, ma dall'amore del gioco per il gioco, egli conduce il gioco su un piano dove il desiderio è causa di tutto il resto. (p. 70)
- McEnroe è stato il primo a giocare palle incrociate, rapide, in demi-volée da metà campo, che confinavano l'avversario fuori dai limiti laterali del terreno di gioco. Questi colpi erano accarezzati, appena udibili, eseguiti con un ampio movimento del braccio accompagnato da un'estensione verticale, come se McEnroe attraverso questi colpi liberasse il proprio corpo da ogni pesantezza. (pp. 73-74)
- L'eleganza non è un ornamento, è necessaria al tennis di Federer. (p. 76)
- Il tennista non fabbrica la palla, la prende così com'è per esercitare su di essa la propria arte, avrebbero potuto dire gli stoici. Il tennista pone tutta la sua attenzione nel trattamento della palla e la guarda con indifferenza. Ogni tennista? (p. 77)
Note
[modifica]- ↑ Da La voce zoppa, in AA. VV., La ricerca impossibile; citato in Carmelo Bene, Opere, con l'Autografia d'un ritratto, Bompiani, Milano, 2002, p. 1506. ISBN 88-452-5166-7
Bibliografia
[modifica]- André Scala, I silenzi di Federer, traduzione di Alessandro Giarda, O Barra O Edizioni, Milano, 2012. ISBN 88-97332-37-4
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