Ippolita (gruppo)

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Ippolita, gruppo di ricerca indipendente.

Citazioni di Ippolita[modifica]

  • L’applicazione sullo smartphone (che deve essere rigorosamente di ultima generazione, pena l’incompatibilità) viene usata come surrogato simbolico della cura e sfrutta il desiderio dei cittadini di entrare in un circuito di assistenza dal quale si sono sentiti abbandonati. Lo stesso nome, “immuni”, di fronte alle migliaia di morti avute nella nostra regione, la Lombardia, risulta di cattivo gusto e rivela l’atteggiamento fideistico con il quale siamo chiamati a rivolgerci alla tecnologia.[1]
  • Veniamo dunque alla tecnologia digitale e diciamolo subito: non esistono tecnologie di controllo che siano anche «etiche». L’etica si sviluppa nella relazione e si radica nell’esperienza, non è qualcosa che si può embeddare nel codice (no, il free software non garantisce la neutralità della tecnica). Il controllo invasivo non è mai etico. E se è su base volontaria chiamatela servitù volontaria, non approccio etico.[2]
  • Il sogno americano risvegliato dai social è l'utopia liberale della conquista dell’Ovest. Una concezione di occupazione territoriale che procede attraverso l'oppressione sistematica delle minoranze e degli altri viventi. L'egoismo virtuoso dell’uomo bianco col fucile è legato a un'idea di comunità ristretta a forme familistiche ultraidentitarie. Questi bias (polarizzazioni, pregiudizi) sono la base culturale implicita nel sistema tecnico che ci è stato fornito e che avalliamo quotidianamente fingendo che sia "neutro". Le bolle dei filtri, nelle quali siamo convinti di espandere la nostra capacità comunicativa, sono luoghi in cui incontriamo solo ciò che è simile a noi, ciò che ci piace e che, tendenzialmente, rinforza le idee che già abbiamo. L'alternativa conflittuale è disponibile nel formato cancel culture.[3]
  • In questi giorni in cui assistiamo al capitolare giornaliero di centinaia di persone per la pandemia dovuta al Covid-19, è impossibile scrivere senza pensare alla morte di chi ci circonda, dei nostri affetti. La morte, queste morti, ci interrogano. Questa particolare situazione emergenziale porta con sé molte domande, tra le tante una in particolare risuona anche tra le pagine di questo libro: ci sono vite che contano più di altre? Quali sono le vite che contano? E quelle che non contano? O, per dirlo con le parole di Judith Butler, «quali vite sono degne di lutto e quali non lo sono?». Gli animali da allevamento, soprattutto, sono generalmente considerati indegni di lutto. Vicini a questa condizione sono i migranti che muoiono durante le traversate o in qualche campo di prigionia ai confini dell’Europa.[4]
  • Le Reti commerciali di massa non sono ispirate all'egualitarismo e nemmeno al desiderio di libertà, qualsiasi cosa significhi. Accedere a un'interfaccia uguale per tutti, senza differenze di genere, classe, etnia, religione, crea un falso senso di egualitarismo col fine di aumentare la sensazione di fusionalità di ognuno con un presunto "tutto" collettivo, ma le differenze permangono, anche se facciamo finta che non ci siano. La situazione è ben nota, come diceva Don Milani in Lettera a una professoressa "non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti eguali fra disuguali. [5]
  • "Il nostro esperimento letterario è stato fortemente influenzato dal metodo di sviluppo inaugurato da Linus Torvalds con il kernel Linux. Condividiamo i "codici", porzioni di testo nel nostro caso, prima che siano completi, in modo che tutti possano mettervi mano e migliorarli, fino alla versione da pubblicare. Anche nel rispondere alle tue domande, stiamo lavorando così: una continua traduzione reciproca, una forma di scrittura collettiva non gerarchica. Noi la chiamiamo "scrittura conviviale": ci ispiriamo al concetto di convivialità di Ivan Illich, ma anche al rizoma di Gilles Deleuze e al pensiero nomade di Rosi Braidotti".[6]
  • Il corpo digitale è un prolungamento del corpo analogico oltre i limiti organici. Siamo tutti cyborg, organismi cibernetici sottoposti a meccanismi di retroazione. Ma così come il mio corpo organico non mi appartiene del tutto (perché si ammala e invecchia a prescindere dalla mia volontà, per esempio; perché non ho scelto io il mio corredo genetico, e così via), così il corpo di “silicio” non è mio. Posso appropriarmene in parte, se sviluppo le competenze tecniche adeguate, ma rimarrà sempre un campo aperto, un campo di battaglia tra diverse potenze, noi compresi.[7]
  • Siamo certi che pensare le relazioni interpersonali come lavoro ci metta nella prospettiva migliore per cogliere quello che sta succedendo? O per risolvere il problema? È giusto essere pagati perché scriviamo dei messaggi a chi vogliamo bene? È vero, queste azioni generano del profitto per terzi ma le relazioni umane sono solo commerci? Quali potrebbero essere i vantaggi di un reddito di base legato all’uso dei social e della altre piattaforme digitali? Si accetterebbe di concepire la comunicazione e l'interazione con gli altri come un lavoro! Senza contare che chi ci offre certi servizi specifica nel contratto le condizioni a cui dobbiamo sottostare per usarli, dipende da noi accettare o meno. Credendo di essere riusciti a farci riconoscere un diritto, diremmo sì alle pratiche di profilazione commerciale, all'addestramento di massa attraverso le interfacce, alla quantificazione come principale filtro della nostra comunicazione e modo di interpretare noi stessi.[8]
  • La maggior parte delle persone che stanno su Facebook ritiene semplicemente di poter cedere gran parte delle proprie chiacchiere per le quali tutto sommato non sentono una grande affezione. Si tratta per l’appunto di chiacchiere, non di scritti che prevedano una codifica formale e sulla quale esercitare una responsabilità concreta.Eppure le nostre inutili ciance quotidiane costituiscono nel mondo dei social network il codice dei nostri legami sociali. Dare accesso a questo codice (in modo assoluto, libero, senza limitazioni di spazio, irrevocabile, perpetuo e gratuito) significa non avere inteso, o fingere di non voler capire, che cosa sia l’estensione del bio-potere foucaultiano alla società delle megamacchine digitali. (da Lipperatura il blog di Loredana Lipperini)

Open non è free. Comunità digitali tra etica hacker e mercato globale[modifica]

  • [...] si può affermare che la possibilità di livellare la struttura gerarchica insita nelle comunità dipende dalla capacità di scomposizione dei ruoli a opera del core di sviluppo. (p. 62)
  • Le relazioni tra una specifica équipe di sviluppo e il resto della rete sono spesso agevolate dalla presenza di individui chiave che aderiscono parallelamente a più progetti e sono capaci di travasare non soltanto le proprie competenze da un progetto all'altro, ma anche le informazioni e gli aggiornamenti sullo status di ciascuna elaborazione. (p. 62)
  • Mozilla è il primo progetto commerciale impiantato nell'Open Source e rappresenta uno dei più poderosi colpi inferti al dominio di Microsoft, nonché il primo passo delle comunità verso le contraddizioni del mondo economico. (p. 69)
  • Ormai dell'Open Source se ne sono accorti tutti: Linux entra nel salotto buono, ha titolato un noto quotidiano italiano, sottolineando come la libertà decantata dalla FSF fosse «utopica» e valutando invece positivamente la «felice declinazione» che l'Open Source ottiene nel mondo degli affari; si esplicita così l'importanza lessicale di «open» rispetto al pericoloso «free». La libertà strano a dirsi, fa paura al «libero mercato». (p. 91)

Il lato oscuro di Google[modifica]

  • A livello di microcosmo, i singoli individui devono esibire un reddito adeguato, ma anche una forma fisica non mediocre; viene loro richiesto di aumentare i consumi personali, anche per il benessere collettivo; sono spinti a migliorare la propria salute, incoraggiati a crearsi nuove opportunità di amicizia, frequentazione, e così via. L'insoddisfazione è una caratteristica strutturale. A livello macro, per rimanere nei parametri fissati da accordi internazionali, gli stati nazionali devono mostrare un continuo miglioramento dei loro risultati complessivi, soprattutto devono esibire una crescita economica senza flessioni, prestazioni finanziarie elevate sui mercati finanziari, bilance commerciali positive e così via. Nessuno di questi prerequisiti sembra essere negoziabile, e sembra riguardare tutte le società contemporanee, a prescindere dalla collocazione geografica. (p. 63)
  • Un algoritmo di ricerca è uno strumento tecnico che attiva un meccanismo di marketing estremamente sottile: l'utente si fida del fatto che i risultati non siano filtrati e corrispondano alle preferenze di navigazione che la comunità di utenti genera. In sostanza, si propaga un meccanismo di fiducia nell'oggettività della tecnica (nello specifico, la procedura algoritmica che genera il risultato dell'interrogazione) che viene ritenuta "buona" in quanto non influenzata dalle idiosincrasie e dalle preferenze di individui umani. Le macchine "buone", figlie di una scienza “oggettiva" e di una ricerca "disinteressata", non manipoleranno i risultati, non ci diranno bugie perché non possono mentire e comunque non avrebbero alcun interesse a farlo. La realtà è ben diversa e questa credenza si rivela un'ipotesi demagogica, dietro alla quale le macchine del marketing e del controllo accumulano profitti favolosi. (p. 107)

Citazioni su Ippolita[modifica]

  • "Your country can be proud to have the most sophisticated Facebook critics in the world. Read their work!"[9] (Traduzione: il vostro paese dovrebbe essere orgoglioso di avere i più sofisticati critici di Facebook nel mondo. Leggete il loro lavoro!)
  • Già autori di feroci quanto argomentate requisitorie contro i “signori del Web” (memorabili le dissacrazioni di Google e Facebook), nonché di puntuali ridimensionamenti di altri miti cari al “Popolo della Rete” (vedi la disincantata analisi dei limiti dell’ideologia dell’open e del free) i ragazzi e le ragazze del collettivo Ippolita (una comunità di hacker libertari) tornano a colpire con un nuovo pamphlet (“La Rete è libera e democratica”. FALSO!) appena uscito per i tipi di Laterza [...] con questo intervento, Ippolita alza decisamente il tiro, con l’obiettivo di smontare due luoghi comuni che per la stragrande maggioranza sono divenuti veri e propri dogmi: 1) la Rete è uno strumento intrinsecamente (cioè per natura) democratico; 2) disporre di più informazione significa automaticamente essere più liberi. A tale scopo gli autori ricorrono a tre argomenti (che corrispondono ad altrettanti capitoli del libro) che definiscono, rispettivamente, ontologico, epistemologico e storico geopolitico (implicita confessione del fatto che i loro percorsi formativi hanno seguito piste accademiche oltre che tecnopolitiche).[10]
  • Ippolita esercita sempre uno sguardo critico sulla vita dentro e fuori lo schermo, cercando di passare in rassegna corpus teorici sia mainstream che variamente critici verso le relazioni sociali dentro Internet. È espressione cioè di quella attitudine hacker che vuole aprire la scatola nera della tecnologia: punta alla condivisione della conoscenza come momento fondante di comunità di liberi ed eguali che assegnano tuttavia alla diversità un valore fondante di pratiche sociali e di stili di vita orgogliosamente oppositive allo status quo.[11]

Note[modifica]

  1. Da Pedagogia hacker trasgredire la norma tecnocratica, gliasinirivista.org, 19 giugno 2020.
  2. Da No, non esistono tecnologie di controllo "etiche", tlaxcala-int.org, 20 aprile 2020.
  3. Da Postfazione al volume di bell hooks Insegnare a Trasgredire del Gruppo Ippolita, ippolita.net, agosto 2020.
  4. Da "Afro-ismo". Prefazione alledizione italiana – di Ippolita, effimera.org, 17 luglio 2020.
  5. Dall'intervista a Francesca Sironi, Internet e parità di genere: i social ci rendono più eguali? «No, ci illudono». Parla Ippolita, espresso.repubblica.it, 23 ottobre 2015.
  6. Dall'intervista a Francesca De benedetti, Gli hacker-scrittori Ippolita: "Il software è più free ma noi siamo meno liberi", repubblica.it, 22 ottobre 2016.
  7. Dall'intervista a Marco Dotti, Anime elettriche, corpi digitali. Linee di fuga e tattiche di resistenza nella gabbia 2.0, vita.it, 27 aprile 2016.
  8. Dall'intervista a Benedetta Pinzari e Salvatore Cominu, Le Anime Elettriche del Capitale di Pinzari e Cominu, commonware.org, 2017
  9. Interview with Geert Lovink for La Repubblica by Francesca De benedetti
  10. da Internet l'illusione della libertà di Carlo Formenti su Micromega, 2012
  11. da Il bacio fatale di Internet di Benedetto Vecchi, Il Manifesto, 12-6-2014

Bibliografia[modifica]

  • Ippolita, Open non è free. Comunità digitali tra etica hacker e mercato globale, Eleuthera, Milano, 2005. ISBN 978-88-89490-04-4
  • Ippolita, Il lato oscuro di Google, nuova edizione riveduta e aggiornata, Milieu, Milano, 2018. ISBN 9788898600939
  • Ippolita, Luci e ombre di Google. Futuro e passato dell'industria dei meta dati, Feltrinelli, Milano, 2007. ISBN 978-88-07-71027-8.

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