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Isaia Sales

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Isaia Sales

Isaia Sales (1950 – vivente), saggista e politico italiano.

Citazioni di Isaia Sales

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  • [Sulle mafie] Se il contesto socio-politico sotto i Borbone le hanno fatte nascere, esse si sono consolidate e sono assurte a protagoniste della storia nazionale dopo l'Unità. Era nelle possibilità del nuovo Stato di renderle un residuo borbonico e feudale, e invece le ha fatte diventare soggetti influenti sulla storia nazionale.
    Se non è giusto considerare le mafie, dunque, come un risultato dell'Unità d'Italia, è più che giusto ricordare che l'unificazione italiana non è riuscita a superarle, anzi le ha ulteriormente legittimate. La classe che proteggeva i mafiosi sosteneva i governi nazionali, e i governi nazionali erano così consapevoli di questo sostegno che mai hanno ingaggiato una battaglia frontale contro i mafiosi. Le mafie hanno avuto bisogno che si formasse lo Stato nazionale per assumere un ruolo centrale che prima non erano riuscite a svolgere completamente sotto i Borbone. Il nuovo Stato e le sue classi dirigenti sentirono come una necessità governare il Sud servendosi degli ordinamenti in essere in quei territori (comprese le mafie) e riconoscendoli ufficiosamente. Il disprezzo che molti di essi provavano verso i ceti dirigenti e possidenti meridionali non li spingeva a rifiutarne l'alleanza.
    L'Unità d'Italia, dunque, consentì a fenomeni legati alla sopravvivenza di ordinamenti feudali di transitare nel nuovo assetto statuale. Era una legittimazione di necessità senza la quale non si sarebbe formata la nazione. L'Unità d'Italia, e in particolare il modo in cui si stabilirono i rapporti tra classe dirigente del Nord e quella del Sud, ha consentito l'influenza delle mafie nella storia politica ed elettorale del nostro Paese. Ma abbiamo dovuto attendere il 1982 (più di un secolo dopo l'Unità d'Italia) per varare una prima normativa antimafia degna della nazione che più di ogni altra aveva prodotto e allevato questa particolare criminalità. Forse le mafie possono essere considerate come il più grande insuccesso della storia unitaria dell'Italia.[1]
  • Caratteristica del movimento antimafia negli ultimi decenni è l'affiancamento, a chi è preposto all'azione di contrasto, di un originale movimento d'opinione prima inesistente. Che questo affiancamento civile abbia potuto generare forme di fanatismo, o di disconoscimento delle garanzie minime di uno Stato di diritto, è fuori dubbio. E vanno assolutamente riportate a sobrietà tutte le persone che operano nel campo, a partire dai magistrati. Ma non si può rimpiangere minimamente la situazione precedente.
    Per esempio, come si fa a non cogliere il valore dirompente dell'organizzazione dei familiari delle vittime? Il dolore privato si è trasformato in dolore pubblico, rompendo un altro tabù in base al quale la morte violenta doveva essere tenuta dentro le pareti domestiche. I familiari hanno invertito la rassegnazione e la dimensione privata delle loro tragedie, spingendo le Istituzioni a intitolare strade, aule, biblioteche ai loro cari caduti, scrivendo biografie, ispirando mostre, romanzi, film, opere teatrali, canzoni. Sulla base di esperienze fatte in altri contesti (le madri e le nonne dei desaparecidos in Argentina e in Cile), il movimento antimafia si è impegnato a che nessuna vittima innocente debba essere dimenticata. E quando il dolore privato si espone sulla scena pubblica, ci possono essere eccessi e qualche protagonismo di troppo (dovuto anche alla non totale elaborazione del lutto da parte di alcuni familiari). Ma meglio il valore dirompente e a volte non equilibrato del dolore pubblico che la rassegnazione privata. Nel Sud tutto ciò è ancora più significativo perché si è dimostrato che in queste terre ci sono state sì le mafie, ma anche chi le ha combattute. In Italia gli eroi civili del secondo dopoguerra sono quasi tutti meridionali, e la lotta antimafia rappresenta il più originale contributo della società civile meridionale ai valori condivisi della nazione.[1]
  • Scardinare lo Stato-nazione è stato il bersaglio principale della Lega. Questa strategia antiunitaria e antinazionale ha cambiato nome nel tempo. Si è chiamata “Repubblica del nord”, “Indipendenza della Padania”, “Secessione”, “Devolution”, “Federalismo”, ma la sostanza non si è mai modificata: un autonomismo divisivo, un regionalismo differenziante e anti-egualitario, basato su di una specie di “ius loci” (diritto di territorio) delle Regioni più sviluppate che si aggiungerà alla lunga catena delle diseguaglianze già in essere nella nostra società.[2]

Note

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