Krzysztof Kieślowski

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Krzysztof Kieślowski nel 1994

Krzysztof Kieślowski (1941 – 1996), regista, sceneggiatore, documentarista e scrittore polacco.

Citazioni di Krzysztof Kieślowski[modifica]

  • Direi che con noi la sorte non è stata troppo benevola. Mio padre me lo ricordo malato di tubercolosi finché non ne morì quando avevo sedici anni. Pressati dall'assillo finanziario dovevamo continuamente scegliere, non tra il bene e il male, ma come accade di solito nella vita, tra due mali, quello minore e quello maggiore. Avevo dodici anni e ci eravamo già trasferiti ben diciannove volte, da un paesino all'altro, da un sanatorio all'altro, seguendo mio pa-dre nelle sue cure. Con quei continui cambiamenti di ambiente, di scuole, di amicizie ci trovavamo ad affrontare situazioni sempre nuove. Una cosa che sarebbe diventata norma.[1]
  • Ma chi pensava al cinema? Io volevo fare il regista teatrale. Si era a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, l'epoca d'oro del nostro teatro: splendide scenografie, ottimi interpreti, buoni testi. Certo in quel periodo anche il livello del cinema era elevato, ma mi interessava di meno. Tanto più che la mia scuola di tecniche teatrali era straordinaria, come i suoi insegnanti, che non si soffermavano tanto sul modo di dipingere gli scenari (tecnica in cui del resto sono diplomato) o di cucire parrucche, quanto sulla "magia" del teatro, sul suo mistero. Ci spiegavano che nel rapporto tra l'attore e il teatro c'era qualcosa di straordinario, a cui noi tecnici davamo un contributo essenziale. Eravamo molto fieri di essere partecipi di quella magia. Ma per accedere ai corsi superiori di regia teatrale occorreva la laurea. Per una questione di affinità, decisi di conseguirla alla Scuola Superiore di Cinema di Łódź. Intanto finiva l'epoca d'oro del teatro. Quello che un tempo mi era parso straordinario esaurì il suo fascino.[1]
  • Trovandosi continuamente di fronte a situazioni spiacevoli l'uomo impara per forza di cose a vivere. Penso che la mia maturazione non sia, o non sia del tutto, da attribuire alla profonda moralità o saggezza dei miei genitori, ma a questo loro continuo far fronte alle avversità. Penso di aver non tanto appreso, quanto visto molto da loro. Il solito destino ingiusto: quando uno è abbastanza maturo da dialogare con loro, loro non ci sono già più. Mio padre morì quando avevo sedici anni e, in definitiva, non ho fatto in tempo a fargli nessuna domanda veramente importante. Più che sapere quello che pensava ne ho una vaga intuizione.[1]
  • Una cosa è certa, ad essere sinceri: non so filma-re i panorami, voglio dire che quando mi capita di farlo mi trovo a disagio. In senso più generale, ciò dipende dall'interesse sempre maggiore che ripongo nell'intimità dell'uomo e non sull'esterno. E quanto più mi attira l'intimo, tanto più mi avvicino, è ovvio. Mi devo fare sempre più sotto perché ciò che mi interessa è negli occhi, nella bocca, nella smorfia, nella parola. Si trova in tutto quello che è dannatamente intimo. E anche per questo motivo che ho abbandonato il documentario. Non mi consentiva di filmare l'intimità. L'intimità è quel qualcosa che l'uomo vuole occultare, e dunque la macchina da presa è sfrontata, usurpatrice, villana a volere entrarvi. Una cosa che non si deve fare, bisogna dar modo all'uomo di celare nell'intimità quel che ritiene giusto. Il film di finzione invece non comporta certe limitazioni e difficoltà. Come ho già detto, conta ciò che l'uomo sente e pensa veramente e non quello che racconta fuori o i1 suo comportamento con gli altri. Quindi mi avvicino a lui sempre di più anche mediante la macchina da presa. La macchina si fa sempre più sotto ed io piazzo obiettivi sempre più lunghi o piuttosto mi avvicino. E mi avvicinerei ancora di più se disponessi di buoni microfoni e di una macchina da presa più silenziosa, ma invece questa fa rumore... Non si può registrare un suono pieno, ed è questo a limitarmi rispetto alla lunghezza di campo. Non mi piacciono gli obiettivi lunghi, troppo statici, ma con quelli corti non posso avvicinarmi più di tanto per non far venire sul nastro il rumore della macchina. Perché macchina e microfono sono deteriori.[1]

Note[modifica]

  1. a b c d Da Małgorzata Furdal, Kieślowski, traduzione di Małgorzata Furdal e Roberto Turigliatto, Museo Nazionale del Cinema, Varsavia, 1989, pp. 13-35, citato in Perché siamo qui?, polimniadigitaleditions.com.

Altri progetti[modifica]