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Lisa See

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Lisa See (2012)

Lisa See (1955 - vivente) scrittrice statunitense.

Incipit di alcune opere

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Fiore di neve e il ventaglio segreto

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Nel mio villaggio mi definiscono «una che non è ancora morta»: sono una vedova di ottant'anni. Senza mio marito, le giornate sono lunghe. Non mi attirano più le prelibatezze preparate per me da Fiore di Peonia e dalle altre. Non pregusto più con desiderio e impazienza i lieti eventi che hanno luogo con tanta facilità sotto il nostro tetto. Mi interessa solo il passato, ormai. Dopo tutto questo tempo, posso dire finalmente ciò che prima - quando dipendevo dalla mia famiglia d'origine perché mi crescesse o da quella di mio marito perché mi mantenesse - mi era precluso. Ho una vita intera da raccontare; non ho nulla da perdere e rischio di offendere ben poche persone.
Sono abbastanza vecchia da conoscere anche troppo a fondo le mie buone qualità e i miei difetti, spesso difficili da distinguere. Ho sempre aspirato all'amore. Sapevo che non era opportuno per me desiderarlo o aspettarmelo, né da ragazza né da adulta, eppure lo volevo, e da tale anelito ingiustificato sono nati tutti i problemi della mia esistenza. Sognavo che mia madre si accorgesse di me e gli altri membri della famiglia imparassero ad amarmi. Per conquistarmi il loro affetto ero obbediente (la dote ideale per una donna), ma dimostravo una prontezza persino eccessiva nel fare quanto mi chiedevano. Sperando in una sia pur minima manifestazione di gentilezza nei miei confronti, mi sforzai di adeguarmi alle loro aspettative: cercai di avere i piedi fasciati più minuscoli della contea, e lasciai che mi venissero spezzate le ossa perché assumessero una forma migliore.

Le ragazze di Shanghai

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«Con quelle guance rosse nostra figlia sembra una contadina del Sud», brontola mio padre ignorando ostentatamente la minestra che ha davanti. «Perché non fai qualcosa?».
Mama fissa Baba, ma che cosa può dire? Sono graziosa - qualcuno direbbe anche carina -, però il mio viso non ha la luminosità della perla di cui porto il nome. Tendo ad arrossire facilmente. E poi le mie guance attirano il sole. Quando ho compiuto cinque anni, la mamma ha cominciato a frizionarmi il viso e le braccia con pasta di perle e ad aggiungere polvere di perle nel jook, la crema di riso che mangiavo al mattino, sperando che quella sostanza bianca mi permeasse la pelle. Ma non ha funzionato. Ora mi sento avvampare le guance, cosa che mio padre detesta. Mi faccio piccola piccola sulla sedia. Quando sono vicina a lui, vorrei sempre scomparire. Ma ancora di più vorrei scomparire se capita che giri gli occhi da mia sorella a me. Sono più alta di mio padre e questo lo irrita. Abitiamo a Shanghai, dove ciò che è più alto, automobile, muro o edificio, trasmette il chiaro e inequivocabile messaggio che il proprietario è una persona importante. Io non lo sono.
«Crede di essere tanto intelligente», dice ancora Baba. Indossa un abito di foggia occidentale, di buona fattura. Ha solo qualche filo grigio nei capelli. Da qualche tempo appare preoccupato, ma questa sera è di umore più cupo del solito. Sarà che il suo cavallo preferito non ha vinto, oppure che i dadi si sono rifiutati di uscire come voleva lui. «Ma se c'è una cosa che le manca è proprio l'intelligenza».
Questa è un'altra delle critiche abituali di mio padre nei miei confronti. L'ha presa da Confucio, che affermava: «Una donna istruita è una donna che non vale nulla». Di me dicono che sono un topo da biblioteca, definizione che anche nel 1937 non è un complimento. Ma, con tutto il mio acume, non so come difendermi dalle parole di Baba.

Le perle del drago verde

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Nella notte, una sirena della polizia geme in lontananza. Quel suono mi lacera dentro mentre l'incessante frinire dei grilli gli fa eco in un inesorabile coro di biasimo. All'altro capo della veranda coperta, mia zia piagnucola nel letto, uno strascico della disperazione e del dolore provocato da tutti i segreti che lei e mia madre si sono portate dentro per anni; stasera hanno litigati rinfacciandosi ogni cosa. Cerco di sentire cosa sta facendo mia madre, ma la sua stanza è troppo lontana. Questo silenzio fa male. Con una mano afferro le lenzuola e mi sforzo di concentrarmi su una vecchia crepa nel soffitto. Sto cercando disperatamente di essere forte, ma da quando mio padre è morto ho l'impressione di camminare sul bordo di un precipizio e ora qualcuno mi ha spinto giù e io sto cadendo.
Tutto quello che credevo di sapere sulla mia nascita, sui miei genitori, sui miei nonni e su me stessa non era che una menzogna, una menzogna colossale. La donna che pensavo fosse mia madre è mia zia, mia zia è la mia vera madre e l'uomo che amavo come un padre in realtà non era niente. Mio padre, il mio vero padre, è un pittore di Shanghai che mia madre e mia zia hanno amato fin da prima che nascessi. E questa, come direbbe zia May, è solo la punta dell'iceberg. Sono nata nell'anno della tigre e non ho intenzione di lasciarmi sopraffare dal senso di colpa, terribile e straziante, per la morte di mio padre, né tantomeno dall'angoscia per queste ultime rivelazioni; allora mi aggrappo ancora più forte alle lenzuola, stringo i denti e cerco di costringere le mie emozioni ad arretrare e ritirarsi di fronte alla ferocia della tigre. Però non funziona.

Come i fiori di notte

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Viaggiai verso ovest, da sola, sugli autobus meno cari che riuscii a scovare. Ogni chilometro mi portava più lontano da Plain City, nell'Ohio, dov'ero solo una cacatina di mosca sullo sfondo della vita provinciale di una piccola città. A ogni nuovo Stato sentivo allentarsi una delle funi che mi stringevano il cuore e m'impastoiavano braccia e gambe; eppure, avevo male dappertutto e non riuscivo a liberarmi dalle vertigini. Sopravvivevo a forza di aspirine, cracker e bibite gassate. Piangevo, piangevo senza mai smettere. L'ottavo giorno arrivai in California. Molte ore dopo aver varcato il confine, scesi dal pullman e mi strinsi addosso il maglione. Mi aspettavo sole e caldo, ma in quel pomeriggio di ottobre San Francisco era avvolta da una cappa di nebbia umida e orribilmente fredda.
Presi la valigia, uscii dalla stazione degli autobus e cominciai a camminare. Alla reception degli alberghi da quattro soldi in cui entravo mi dicevano che non c'era posto. «Vada a Chinatown», mi suggerivano gli impiegati. «Là troverà una stanza». Non avevo idea di dove fosse Chinatown, perciò quel consiglio non mi serviva a granché. E vi dirò una cosa su San Francisco: è piena di colline, si vede il mare praticamente da ogni lato e non c'è una sola strada, o almeno così mi sembrava allora, che si limiti a correre in un'unica direzione. Alla fine, in uno squallido buco, un tizio accettò i miei soldi (un dollaro al giorno, pagamento anticipato) e mi allungò la chiave di una camera.

Come foglie di tè

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«Non esiste storia senza coincidenze», commenta la mia a-ma, e questo, come al solito, sembra appianare ogni cosa dopo che Primo Fratello ha finito di raccontarci il sogno che ha fatto la notte scorsa. Non so quante volte mia madre sia ricorsa a questa massima nei dieci anni da che sono al mondo. Ho anche l'impressione di aver sentito diverse versioni del sogno di Primo Fratello. Un povero coltivatore porta le rape appena raccolte al mercato cittadino per barattarle con del sale. Mette un piede in fallo e precipita da un dirupo. L'episodio avrebbe potuto concludersi con una «morte orrenda» lontano da casa - il peggio che possa capitare a un akha -, e invece ecco che il coltivatore atterra sul campo di un ricco venditore di sale. Questi gli prepara il tè, i due cominciano a parlare e... La coincidenza avrebbe potuto essere qualsiasi cosa: il venditore di sale sposerà la figlia del coltivatore, o la rovinosa caduta di quest'ultimo lo salverà da un'inondazione. Stavolta, il coltivatore ha potuto contrattare con il venditore di sale senza doversi recare al mercato.
È un bel sogno, senza cattivi presagi, e lascia soddisfatti tutti quelli che siedono a terra, intorno alla buca per il fuoco. Come sostiene A-ma, ogni storia, ogni sogno, ogni minuto della nostra vita pullula di coincidenze fatidiche che si susseguono. Persone e animali e foglie e fuoco e pioggia: turbiniamo gli uni intorno agli altri, come chicchi di riso che vengono lanciati in cielo a manciate. Un singolo chicco non può decidere di cambiare direzione. Non può scegliere di volare a destra o a sinistra, né può scegliere dove precipitare: in bilico su una roccia, e quindi ancora recuperabile, o scagliato di rimbalzo nella fanghiglia, per diventare all'istante inutile e privo di valore. Il punto in cui si posano è il destino, e nulla - nessuna cosa, insomma - può cambiarlo.

Le madri di vento e di sale

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Seduta sulla spiaggia, un cuscino legato al fondoschiena, un'anziana donna raccoglie e smista le alghe che si sono depositate a riva. È abituata a passare il tempo in acqua, ma anche a terra presta attenzione all'ambiente che la circonda. Jeju, casa sua, è un'isola conosciuta per le Tre Abbondanze: il vento, le pietre e le donne. Oggi, la più capricciosa di queste, il vento, non è che una brezza leggera. Non una sola nuvola sbiadisce il cielo. Il sole le riscalda la testa, il collo e la schiena attraverso la cuffia e gli abiti. È così rilassante! La sua abitazione è appollaiata sulle rocce a picco sul mare. Non sembra gran cosa, solo due piccole strutture realizzate in pietra nativa, ma la posizione... I figli e i nipoti le hanno chiesto il permesso di convertire i due edifici in un ristorante con bar. Nonna, diventerai ricca. Non dovrai lavorare mai più. Una delle sue vicine ha fatto come richiesto dalla generazione più giovane. Ora la sua casa è una guesthouse con ristorante italiano. Sulla sua spiaggia. Nel suo villaggio. Young-sook non permetterà mai che accada alla propria casa. Non me ne andrei nemmeno per tutti i soldi in tutte le tasche di tutta la Corea, ama ripetere. Come potrebbe, del resto? La sua casa è il nido in cui nasconde la gioia, le risate, i dolori e i rimpianti di tutta una vita.
Non è da sola sulla spiaggia. Altre donne, all'incirca sue coetanee - tra gli ottanta e i novant'anni - selezionano le alghe che si sono adagiate sulla sabbia, infilando quelle smerciabili in piccole sacche e scartando le altre. Sulla passerella che separa la caletta dalla strada, giovani coppie - in luna di miele, probabilmente - camminano mano nella mano, le teste chine al punto da toccarsi, e a volte si baciano pure, davanti a tutti, in pieno giorno. Young-sook vede una famiglia di turisti, chiaramente arrivati dalla terraferma. I figli e il marito sono troppo appariscenti nelle loro magliette a pois e nei pantaloncini lunghi, manicotti, guanti, un cappello e una maschera di stoffa. I bambini del villaggio si arrampicano sulle rocce che si riversano sulla sabbia e in mare. Un attimo dopo sono già intenti a giocare nelle secche, ridacchiando e sfidandosi a vicenda a raggiungere per primi la roccia più profonda, a scovare un vetro di mare o un riccio, se sono abbastanza fortunati. Young-sook sorride tra sé e sé. Come sarà diversa la vita per questi giovani...

Bibliografia

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  • Lisa See, Fiore di neve e il ventaglio segreto, traduzione di Federica Oddera, Longanesi, 2006, ISBN 978-88-304-2287-2
  • Lisa See, Le ragazze di Shanghai, traduzione di Paola Mazzarelli e Sabina Terziani, Longanesi, 2009, ISBN 978-88-304-2707-5
  • Lisa See, Le perle del drago verde, traduzione di Costanza Rodotà, Longanesi, 2012, ISBN 978-88-304-3322-9
  • Lisa See, Come i fiori di notte, traduzione di Federica Oddera, Longanesi, 2015, ISBN 978-88-304-4198-9
  • Lisa See, Come foglie di tè, traduzione di Giuseppe Maugeri, Longanesi, 2020, ISBN 978-88-304-5141-4
  • Lisa See, Le madri di vento e di sale, traduzione di Giuseppe Maugeri, Longanesi, 2022, ISBN 978-88-304-5427-9

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