Marino Niola

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Marino Niola (1943 – vivente), antropologo, giornalista e divulgatore scientifico italiano.

Citazioni di Marino Niola[modifica]

  • [Il Cristo velato] di fronte a quel marmo che sembra sciolto, così sottile da rivelare prodigiosamente quel corpo che dovrebbe nascondere, l'estetica si trasforma in estatica e la vista in visione.[1]
  • Per svelare i segreti di Napoli occorre penetrare nelle sue terre di mezzo, nella sua geologia fisica e sociale, nei vuoti del sottosuolo ma anche negli ipogei dell'immaginario, dove Partenope continua ad annodare le sue trame.
    Napoli è la più misteriosa città d'Europa, a metà fra Oriente e Occidente, diceva Curzio Malaparte. In realtà, Partenope è la capitale dell'altra Europa, quella che il logos cartesiano non può penetrare se non imperfettamente. E che fa cortocircuitare incessantemente illuminismo e barocco, realismo e magia, liturgia e oleografia. Sta anche in questa differenza il suo mistero. Impossibile da illuminare con la sola luce della ragione. Ma attraversabile con quella della visione, della partecipazione, dell'emozione. E tuttavia Partenope non è accecata dalla sua stessa luce, che spesso e volentieri acceca quelli che la guardano da fuori. E le sue verità segrete esposte in evidenza, i suoi fantasmi, le sue anime in pena, le sue voci di dentro, il suo sole amaro, i suoi mille colori e le sue mille paure, le usa come altrettanti emblemi di una cabbala per figure.[2]
  • Per un antropologo il genius loci è l'oggetto stesso della ricerca. Ma non inteso come identità di superficie. Bensì come intrico oscuro delle radici che si avviluppano e si stratificano nelle profondità dimenticate del genius loci in una tenebrosa e profonda unità, come la chiama Baudelaire. Non mi interessa l'origine, vera o presunta, immaginata o inventata, ma la provenienza, l'Herkunft di Nietzsche, dove le identità sfumano lasciando il posto al mormorio remoto delle differenze che la costituiscono. E ci rendono al fondo stranieri a noi stessi.[3]
  • [...] io terrei molto a che Napoli non diventasse una città come le altre. Rinuncerebbe a se stessa. È come dire che Rio de Janeiro non dovrebbe essere più Rio de Janeiro. Può migliorare ma partendo da se stessa. Io non vorrei mai che Napoli diventasse un clone di Milano o di un'altra città. In questo sono abbastanza pasoliniano dando ai termini "tribù" e "ultimo villaggio", definizioni che lo scrittore attribuì a Napoli, un significato contemporaneo: non quello di sopravvivenza del passato ma una invenzione di un futuro che nasce da sé, non da un modello esterno.[3]
  • Tradizionale sinonimo di scarsa avvenenza, le cozze sono a tutti gli effetti un sottoproletariato acquatico, una folla indistinta, nera, aggrovigliata. Brutta, sporca, ma non cattiva. [...] Una moltitudine anonima fatta di mitili ignoti. Pronti però a buttarsi nel fuoco per la gioia delle nostre papille. Il loro sacrificio ha arricchito la cucina povera italiana di capolavori assoluti come pasta e fagioli con le cozze, come le tielle di Gaeta, gli sformati pugliesi con riso e patate. E, last but not least, la maionese di cozze della Conca di Alimuri immersa nello splendore della penisola sorrentina.
    Oggi questi molluschi low cost celebrano il loro trionfo e gli chef ne nobilitano le proprietà ipocaloriche innalzandoli alle glorie dell'alta gastronomia. Un contrappasso quasi dantesco, dall'indigenza del sugo alle vongole fujute fino al gran concerto di sapori dello spaghetto che piroetta nel piatto. E balla coi lupini.[4]
  • Un perfetto esempio di abbondanza frugale e di filosofia sostenibile. Anche perché una pizza veramente buona è fatta con la mozzarella del giorno prima, quella in via di disidratazione, che rischierebbe di andar sprecata. E che invece celebra nel forno i suoi ultimi splendori. Riciclo e non solo. Perché il risultato è esaltante. Croccante fuori ma soffice dentro, elastica ma salda, alta ai bordi e bassa al centro, né troppo umida né troppo asciutta, né troppo farcita né troppo scarna, né troppo cruda né troppo cotta. Un'arcana coincidenza degli opposti. Una proporzione aurea tra odore, sapore e fragranza che racchiude in qualche centimetro quadrato di pasta lievitata un intero trattato di gastronomia trascendentale.[5]
  • Una è il Calimero del mare, l'altra è la popolana più sexy degli abissi. Cozze e vongole sono la coppia simbolo del nostro mangiare alla marinara. Povere ma belle, fatte apposta per un palato colto e popolare come quello italiano. Pochi ingredienti tanto sapore. Sul gusto semplice di questi molluschi – quasi una combinazione presocratica di acqua, fuoco e aria profumata – il genio cucinario del Bel Paese ha compiuto esaltanti esercizi di gastronomia trascendentale. Impepata di cozze, sauté di vongole, linguine allo scoglio, risotto alle arselle, cozze gratinate. E su tutto i sontuosi spaghetti alle vongole, quintessenza del modo di mangiare, ma anche del modo di essere degli italiani. Morbido, sgusciante, gustoso, viscoso, di poca sostanza, di grande tolleranza. Il carattere nazionale sintetizzato in un piatto che più simbolico non si può. Un compromesso gastronomico in cui finiscono per ritrovarsi un po' tutti [...].[4]
  • Vi sono a Napoli dei luoghi sotterranei che funzionano come una sorta di camera di decompressione simbolica, dove le presenze che abitano il fondo del tempo e dell'immaginario abbiano, nel corso della loro risalita, l'opportunità di sostare per farsi riconoscere e nominare, per riaffiorare infine nel presente senza sconvolgerlo [...] Queste "anime antiche" appaiono allo stesso tempo come simboli, custodi e testimoni del tempo: un archivio. A quest'archivio, i luoghi da una parte, il rituale e il mito dall'altra, forniscono la scena, la scrittura drammatica e l'ordine del discorso. Un discorso capace di arditezze metafisiche incredibili, soprattutto quando riflette obliquamente sul continuo e sul discontinuo, sull'oblio e sulla memoria, affidando ai morti il ruolo che nella logica spetta alle astrazioni.[6]
Da Millennials, la Repubblica, 29 luglio 2016.
  • Più che una generazione, sono una specie in mutazione. Con il cambiamento epocale scritto nel nome. Li chiamiamo millennials, con una definizione che evoca le incognite delle grandi svolte, l'inquietudine del numero mille.
  • Nata nei primi anni Novanta come millennial generation, in origine l'espressione designava coloro che sarebbero diventati adulti con l'avvento del Duemila. Gli inventori, William Strauss e Neil Howe, avevano bisogno di un'etichetta semplice per classificare nella loro teoria delle culture generazionali i bambini nati fra il 1982 e il 2004. Ragazzi che hanno la stessa età, e lo stesso dna, di internet. Tanto è vero che li hanno identificati anche come generazione internet e, in seguito, come nativi digitali. Perché a disegnarne il profilo collettivo e a definirne il destino storico è la rete. Che ne ha fatto i protagonisti di un testacoda generazionale senza precedenti. Perché per la prima volta i figli della galassia virtuale hanno invertito i flussi di trasmissione della cultura e dei valori. Perché sono fatti a immagine e somiglianza del web, ne compartecipano l'orizzontalità, la simultaneità e l'assenza di autorità. E perché si sono fatti maestri di se stessi. Ma anche nostri.
  • La naturalità con cui i nativi stanno di casa nella tecnologia, li ha sparati molto più avanti dei loro genitori e insegnanti. [...] Addirittura oggi l'iniziazione funziona alla rovescia, nel senso che sono i nativi digitali a iniziare i loro genitori, portati dalle onde del web come migranti in cerca di approdi. Richiedenti asilo in un mondo nuovo e pieno di promesse, di cui i ragazzini custodiscono gelosamente le chiavi. Sono loro a decidere se e quando aprire cancelli e cancelletti a mamme, papà e insegnanti. È una lotta impari fra grandi che si arrampicano faticosamente, e volenterosamente, sulle scale impervie dell'alfabetizzazione tecnologica e la facilità irridente di pischelli che sembrano nati imparati e surfeggiano leggeri sulle onde del web.

Note[modifica]

  1. Da A spasso tra le ombre, in Vittorio Del Tufo, Napoli segreta, 3, Il Mattino, Roma, 2022, p. 5.
  2. Da A spasso tra le ombre, in Vittorio Del Tufo, Napoli segreta, 3, pp. 5-6.
  3. a b Dall'intervista di Ludovico Pratesi, Futuro Antico. Intervista a Marino Niola, arttribune.com, 25 maggio 2022.
  4. a b Da Miseria e nobiltà della strana coppia, La Domenica di Repubblica, 29 marzo 2009, p. 41, repubblica.it.
  5. Da Pizza napoletana: un trattato di alta gastronomia in pochi centimetri lievitati, repubblica.it, 10 settembre 2018.
  6. Citato in Antonio Emanuele Piedimonte, Napoli segreta, Breve viaggio esoterico nella città dei misteri tra leggende, miracoli e magie da Iside ad Internet, Edizioni Intra Moenia, Napoli, 2014, p. 60. ISBN 9788895178363

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