Matteo Strukul

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Matteo Strukul al Salone internazionale del libro di Torino nel 2014

Matteo Strukul (Padova, 8 settembre 1973), scrittore italiano.

Citazioni di Matteo Strukul[modifica]

  • Vlad III di Valacchia fu l'unico principe cristiano, seppur ortodosso, a rispondere e aderire alla crociata indetta da papa Pio II, nato Enea Silvio Piccolomini, che chiedeva disperatamente di organizzare una difesa cristiana contro lo strapotere ottomano di Maometto II, il Conquistatore. Convocati infatti, con la bolla Vocavit nos del 1459, i principi cristiani d'Europa a Mantova, il pontefice dovette ben presto affrontare una drammatica serie di rifiuti da parte di Firenze, Venezia, Milano e poi dai regni di Francia, Inghilterra e Spagna. Perfino il re d’Ungheria tentennò, aspettando. Solo Dracula, dunque, ebbe il coraggio di affrontare un nemico che, nei numeri, gli era almeno venti volte superiore. E lo fece in piena solitudine.[1]
  • Vlad fu per il suo popolo ciò che per i Cubani sarebbe stato qualche secolo dopo Che Guevara: un liberatore, un difensore, un condottiero pronto a tutto pur di battersi per la propria terra e, aggiungiamo, la religione cristiana. Un’icona, dunque.[1]

Incipit di alcune opere[modifica]

Serie di Mila Zago[modifica]

La ballata di Mila[modifica]

Chen strinse gli occhi. Due fessure sottili su cui gocciolava liquido rosso. Dai tagli profondi sulla fronte il sangue scendeva creando un velo che gli offuscava lo sguardo.
Una promessa di morte.
Le ferite gliele aveva inferte Zhang, il ragazzo che gli stava davanti.
Zhang lo guardava sorridendo. Teneva in mano un coltello Butterfly, la lama era rossa del sangue di Chen. Esplose in una risata isterica mentre si soffermava sui dettagli del piccolo negozio.
Annusò l'aroma delle spezie e spostò per un attimo gli occhi sulle confezioni colorate di cibo in scatola: i pacchi arancioni e viola di noodles Mie Gong Tan, quelli gialli e rossi del quick cooking, le scatole grigie di farina per le brioche al vapore Salapao, i pacchetti trasparenti dei vermicelli di riso Wai Wai, e quelli fatti con le patate dolci Yan Long.

Regina nera. La giustizia di Mila[modifica]

Laura aveva la testa che girava, girava, girava.
Si sentiva stanca, prostata.
Giulia le camminava al fianco, le gambe fasciate dai leggings neri. Aveva gli occhi gonfi e un'espressione annoiata in viso. Era davvero al limite.
Laura se ne rendeva perfettamente conto e le era grata per aver tenuto duro fino a quel momento.
Avevano aspettato almeno venticinque minuti davanti al nastro dei bagagli, con i numeri della roulette dipinti in rosso e verde. Il suo maledetto trolley beige non compariva mai. Poi, finalmente, era arrivato.
L'aveva artigliato con rabbia, aveva estratto veloce la maniglia e se l'era tirato dietro come un relitto.

Cucciolo d'uomo. La promessa di Mila[modifica]

Comincio a tirare i grilletti non appena vedo le luci della sala.
Lampi che squarciano l'aria davanti a me.
Il ruggito delle detonazioni.
Voglio scatenare l'inferno prima che gli uomini che ho di fronte si rendano conto che stanno morendo.
Non so se basterà, ma ci do dentro.
Il primo che imbottisco sta seduto sulla destra e , subito dopo aver spalancato gli occhi grandi come fanali gialli, vede il proprio petto esplodere in un vulcano scarlatto, mentre cerca di alzarsi portando la mano alla fondina.
I proiettili calibro .45 fanno il loro lavoro.
Mentre balla una specie di rap isterico sotto l'infilata delle pallottole, al tizio parte un colpo dalla Desert Eagle che ha strizzato nella mano, in un disperato, ultimo tentativo di difesa. Il proiettile che esce accidentalmente dalla canna gigantesca deflagra in un tuono, disintegrando una delle specchiere alle pareti del club.
Il vetro esplode in mille pezzi e una pioggia di cristalli schizza attorno a lui come acqua ghiacciata.
I suoi amici non restano a guardare.

I cavalieri del Nord[modifica]

Wolf sentì il sapore dolce e denso del sangue che gli allagava la bocca. Era riuscito a proteggersi con lo scudo. La lama della spada era calata su di lui, rapida e scintillante, come l'ala nera della morte. Il suo avversario pareva incarnare la furia.
Allo stato puro.
Ma, malgrado avesse parato il colpo, Wolf non aveva potuto evitare che lo scudo gli andasse a sbattere sul naso, aprendogli un lungo taglio scarlatto. Il dolore si propagò in onde sferzanti, quasi accecandolo.
Eppure, quel colpo formidabile lo aveva risvegliato dal senso di smarrimento e di paura che lo aveva attanagliato con denti affilati, rendendolo rigido nei movimento quasi fosse, d'improvviso, diventato una bambola di stracci.
Così, la sua reazione non si fece arrendere. Ruotò su se stesso di trecentosessanta gradi, mentre la spada, quasi un prolungamento del suo stesso braccio, fischiava bianca e perfetta, disegnando un arco nel cielo arrossato di scintille. Si trattò di un istante, pura poesia primordiale: e poi la lama andò a falciare il Russo, che finì per terra in mezzo alla neve.

Il sangue dei baroni[modifica]

La riforma si sarebbe abbattuta sull'università con violenza.
Proprio come la tormenta di neve che frustava la città in un vorticare velenoso di fiocchi fischianti.
Il pactum sceleris si era consumato. Definitivamente.
Le nuove generazioni: stuprate.
Carlo Alberto De Marchi sorrise, annusando, compiaciuto, il buon profumo di cera per mobili che aleggiava come un dolce auspicio sulla scrivania in mogano. Era stata lucidata proprio quel mattino. Sgranò gli occhi, lasciando che lo sguardo indulgesse morbidamente nello splendore dello studio: le librerie in legno scuro, i dorsi compatti dei volumi rilegati in pelle a sfilare impettiti sugli scaffali, le poltrone dalla ragginata tappezzeria in blu Savoia e argento, e poi lampade in vetro di Murano e una rastrelliera di stilografiche Meisterstuck che arricchivano il già notevole impatto visivo dello studio.

I Medici[modifica]

Una dinastia al potere[modifica]

Alzò gli occhi al cielo. Pareva polvere di lapislazzuli. Per un istante sentì la vertigine salire e rapirgli i pensieri. Poi, riposò gli occhi, spostando lo sguardo attorno a sé. Vide i muratori che preparavano la malta, mescolando la calce alla sabbia chiara dell'Arno. Alcuni di loro se ne stavano appollaiati sui tramezzi, consumando una veloce colazione. Svolgevano turni massacranti e capitava spesso che trascorressero lì intere settimane, dormendo fra impalcature di legno, lastre di marmo, mattoni e calcinacci.
A oltre cento braccia dal suolo.
Cosimo sgusciò fra i ponteggi in legno: sembravano i denti neri e affilati di una creatura fantastica. Avanzò facendo grande attenzione a non mettere i piedi in fallo. Quella visione di una città sopra la città lo affascinava e lo lasciava sgomento a un tempo.

Un uomo al potere[modifica]

L'aria era fredda. Lorenzo ispirò profondamente. In sella a Folgore, avvertiva la tensione crescere. Il suo amato corsiero, dal manto color carbone, lustro e lucente, tradiva il nervosismo, scalpitando sul selciato della piazza. Girava in tondo e Lorenzo lo tratteneva a fatica.
Un mormorio si alzò come una preghiera dalle tribune e dai palchi di legno. Sospiri piovvero dalle logge e dai balconi, dalle finestre e dai porticati. Gli occhi di Lorenzo andarono a quelli di Lucrezia. Quel giorno la nobile Donati indossava un abito magnifico: la cioppa aveva la tinta dell'indaco e pareva sfumare nelle iridi d'ossidiana. La gamurra d'un color grigio perla era tempestata di gemme e suggeriva, prepotente, la curva del seno. Avvolta in una stola di pelliccia di volpe bianca che le cingeva le belle spalle chiare, Lucrezia aveva acconciato in maniera magnifica la gran massa ribelle di capelli neri che sembravano onde d'un mare notturno.
Lorenzo si domandò se quel giorno sarebbe riuscito a renderle onore.
Portò la mano alla sciarpa che teneva attorno al collo. Lucrezia l'aveva ricamata per lui con le proprie mani. Ne ispirò il profumo di fiordaliso e gli parve di sprofondare nell'abbraccio dell'Empireo.

Una regina al potere[modifica]

La cattedrale di Santa Maria del Fiore incombeva sulla città. Sembrava sfidare il cielo. Caterina trotterellò verso quella meraviglia. Sua zia temeva potesse essere spaventata dall'imponenza della costruzione, ma lei non lo era affatto. Alzò i grandi occhi verso la cupola rossa, come se volesse misurarne l'altezza.
«Quant'è alta, zia?», domandò, lo sguardo rapito dal capolavoro di Filippo Brunelleschi.
Clarice osservò la piccola. «Dalla base alla lanterna sopra la cupola sono più di duecento braccia», rispose.
Caterina spalancò gli occhi. «Così tanto?». La zia annuì.
Il sole brillava nel cielo. La cattedrale sembrava catturarne i raggi e amplificare la propria magnificenza, ammantandosi d'una nuvola di polvere d'oro.

Decadenza di una famiglia[modifica]

Passitea aveva occhi grandi e di un colore talmente caldo da ricordare il miele selvatico. Sembravano occupare quasi per intero quel suo volto piccolo, dai tratti delicati, perfino fragili. Eppure, in quel suo essere minuta, riluceva in modo chiaro una resistenza ostinata.
Quando Maria la vide ne rimase affascinata.
Era giunta in carrozza da Palazzo Pitti in contrada Colonna, vicino alla chiesa dell'Annunziata, presso la casa che proprio i Medici avevano concesso a Passitea e alle sue diciotto compagne.
Cacciata da Siena per aver tentato invano di fondare un proprio ordine di consorelle, quella donna pia e dolce aveva ricevuto ogni aiuto da Firenze. E ora tentava di ottenere null'altro che un monastero dove condurre una vita santa e misericordiosa, mortificando la carne e aiutando le anime perdute di uomini e donne.
E Dio solo sapeva quanto ve ne fosse bisogno in quei tempi sciagurati, governati dal ferro e denaro, tradimento e inganno.

Saga delle sette dinastie[modifica]

Le sette dinastie[modifica]

Ducato di Milano, castello di Binasco

Voleva salire fino in cima alla torre. Sapeva che avrebbe impiegato un'eternità ma giurò a sé stesso che sarebbe riuscito nell'impresa. Un soldato si era offerto di aiutarlo ma lui lo aveva incendiato con lo sguardo.
A ogni scalino spingeva sui bastoni. Faceva forza sulle braccia. Non era certo una novità. Avanzava lento, con fatica, sulle gambe magre, rachitiche. Procedeva traballante, mentre masticava imprecazioni fra i denti, maledicendo sé stesso e ancor più i suoi genitori che lo avevano relegato in quell'inferno di dolore e inadeguatezza fin dalla più tenera età.
Quando infine superò l'ultimo gradino, era madido di sudore. Le braccia quasi gli tremavano per lo sforzo sovrumano. Si appoggiò ai merli delle mura, abbracciandoli, lasciando che i bastoni cadessero a terra.
Alta, massiccia, la torre svettava contro il cielo. Sorgeva in corrispondenza dello spigolo del castello, dominando la vista. L'aria iniziava a virare verso il rosso dell'aurora. Il vento freddo dell'inverno gli sollevò il mantello che poi ricadde. Fino alla raffica successiva, quando si alzò di nuovo. Filippo Maria se lo strinse sulle spalle, il collo in pelle di lupo gli carezzò le guance come una calda lusinga.
Binasco. Stava quasi a metà fra Milano e Pavia. Non era quello il luogo perfetto affinché il suo piano giungesse a compimento? Lui, che a quelle due città aveva sacrificato la sua intera vita?

La corona del potere[modifica]

Stato della Chiesa, Forlì, rocca di Ravaldino

Glielo avevano ammazzato, pensò. E avrebbero pagato per questo. Ludovico e Checco Orsi, i suoi assassini. E poi gli Ordelaffi e Lorenzo de' Medici, tutti complici di quell'omicidio. Avrebbe atteso e, giorno dopo giorno, nutrito la sua vendetta.
Caterina aveva ancora davanti agli occhi il corpo di Girolamo, dilaniato dalle mani rapaci dei cittadini di Forlì. Dopo che i fratelli Orsi lo avevano scaraventato fuori dalla finestra del palazzo, uomini e donne si erano lanciati come corvi sul cadavere e l'avevano fatto a pezzi. Alla fine quel che ne restava era stato messo sul canale d'un carro e portato via dai Battuti Neri, un pugno di confratelli che si occupava di seppellire quanti erano stati giustiziati dal boia. Poi, mentre il carro si allontanava con il suo carico di morte, la folla aveva fatto irruzione nel palazzo: uno sciame di mosche carnarie affamate di preda. Avevano devastato e rubato tutto quello che avevano potuto.
Prima di essere catturata, Caterina era riuscita a mandare messaggeri a suo fratello Ludovico, a Milano, e a Bologna dai Bentivoglio, ordinando infine a un servo di avvertire il suo fedele castellano Tommaso Feo, affinché rimanesse asserragliato nella rocca di Ravaldino.
Lei era stata rinchiuso con i figli Scipione, Ottaviano e Francesco nelle segrete del castello degli Orsi. E lì aveva aspettato ancora, impazzendo per il gelo e il dolore.

Le indagini del Canaletto[modifica]

Il cimitero di Venezia[modifica]

Era stata una notte da lupi.
Sante era in piedi sulla barca. Spingeva in avanti il grande remo.
Il cielo andava screziandosi di rosa. L'aurora si rifletteva sulla laguna e pareva rivelare la calotta molle di una gigantesca medusa, quasi quest'ultima riposasse sotto il ventre liquido di Venezia. Fino a qualche giorno prima, il grande specchio trasparente era stata un'unica lastra gelata. Era già accaduto. I vecchi raccontavano che altre volte i veneziani avevano dovuto rompere il ghiaccio per poter tornare a spostarsi sull'acqua. E ora, dei grandi banchi dei giorni precedendi, formatisi quando la cortina gelida si era ricoperta di venature scure fino a spezzarsi, restavano solo alcune placche galleggianti, simili alle tracce cangianti di un fantasma.
Faceva ancora un freddo terribile, malgrado la temperatura si fosse alzata. Il Rio dei Mendicanti era un unico nastro livido. Un vagabondo, avvolto in un vecchio tabarro scuro, talmente consunto da suggerire che le tarme l'avessero divorato un pezzo alla volta, barcollava su un lato del canale. Teneva in mano una lucerna che ondeggiava con il suo debole bagliore. Sante non se ne curò. Non era certo una sorpresa vedere un miserabile in un luogo come quello.

La giostra dei fiori spezzati[modifica]

I suoi occhi erano lampi nell'inchiostro della notte.
La donna fissò la lama bianca e affilata baluginare nell'aria scura, mentre la bocca le si deformava in un urlo muto.
L'acciaio morse la carne. La zanna di una belva.
L'assassino guardò il sangue esplodere in una pioggia possa che rese il suo desiderio più acuto e tagliente. Non poteva resistere a quella forza che gli guidava la mano.
Il manto candido della neve si macchiò d'un sipario scarlatto.
Un miracolo. Una visione policroma e prodigiosa.
La donna si acquietò sotto il continuo affondare del coltello. Eppure lui non riusciva a fermarsi, a rinunciare alla violenza, che lo chiamava a sé come una madre incestuosa.
Indugiò ancora. Vide il volto della donna sfiorire, una corona di petali sbiaditi. Vide le sue mani che si alzavano al cielo in un'ultima preghiera silenziosa e inascoltata, il corpo recidersi come un giunco sotto il suo braccio forte e nero che faceva strame di lei.
La donna cadde sul freddo sudario della neve.
Una creatura perfetta nella cruda bellezza dei colori esplosi.
Si piegò su di lei. Affamato. Complice.
Ebbro di sangue.

Giacomo Casanova[modifica]

Il leone alato da una parte. San Teodoro dall'altra.
La folla urlò inferocita. Una marea scomposta e annerita di collera in cui galleggiavano volti sporchi e miserabili, facce dipinte di smorfie e risa di scherno, occhi bistrati e nasi bianchi di cipria. Mercanti, calderai, osti e profumieri, serve e camerieri, puttane, ricchi signori e dame dal viso candido, poi ancora pezzenti, macellai e perfino bambini: tutti uguali, per una volta, tutti pronti a non perdere nemmeno un istante di quel gioco macabro e irresistibile.
Il condannato era davanti a loro. In piedi sul palco in legno.
Qualcuno alzò i pugni al cielo, qualcun altro gridò il proprio disgusto.
Stormi bianchi di gabbiani gridavano litanie sghembe sopra la forca. Pregustavano il pasto, il gozzo pieno di quel che l'uomo sarebbe divenuto: pattume e merda.
Il condannato aveva gli occhi sbarrati: lacrime si allungavano sulle gote e gli impastavano il volto sporco di muco e fango. Alle sue spalle, le gondole danzavano macabre nel bacino di San Marco; alla sua destra, oltre la gente urlante, le arcate bianche di Palazzo Ducale.
Il sole primaverile dondolò distratto, virando all'arancio, per poi immergersi nella laguna, incendiandola come ambra liquida. Il condannato girò lo sguardo di lato. Sopra un tavolaccio vide la bacinella di ferro contenente le tenaglie brune, grondanti di sangue. Nella possa rossa galleggiavano denti.
I suoi.

Inquisizione Michelangelo[modifica]

Si sentiva stanco e debole. Guardò le mani, imbiancate dalla polvere di marmo, le dita forti che per tuto quel tempo avevano assecondato il furore dell'anima, cercando le figure nella pietra, esplorando la materia con una conoscenza allenata dallo studio del corpo, dei muscoli, delle espressioni.
Sospirò. La sua casa era semplice e vuota. Come sempre. Era il suo rifugio, il porto sicuro nel quale trovare conforto. Guardò la fucina. Le braci rosse che lampeggiavano sanguigne sotto la cenere. Alcuni attrezzi gettati alla rinfusa su un tavolo da lavoro.
Si alzò in piedi. Spalancò la porta. Uscì. Di fronte a lui Macel de' Corvi: quel rione popolare, sporco, in cui le case parevano essere cresciute l'una sull'altra, quasi fossero eruzioni sulla pelle grigia di un cadavere.
Roma agonizzava davanti ai suoi occhi, ma quel che vedeva non era che il riflesso di un male più grande, un dolore dell'animo che pareva consumare la città. Giorno dopo giorno, un pezzo alla volta. Piegata al volere dei papi, sovrani temporali di un mondo che aveva smarrito ogni afflato di spiritualità.

Dante enigma[modifica]

Sentiva dentro di sé un dolore profondo, accuminato. Come se il respiro gli si fosse mozzato sotto il filo d'una lama. Guardò il cielo: una lastra azzurra che virava all'indaco. Di lì a poco sarebbe scolorata nel grigio. Il vento si stava alzando e i pennacchi dei cipressi si piegavano sotto il suo soffio freddo, quasi spietato. Il grano del campo pareva sferzato da un'invisibile frusta e l'oro del suo colore si corrompeva con il sopravanzare dell'ombra che andava spegnendo la luce d'estate.
Ben presto sarebbe scoppiato il temporale. Ne percepiva l'odore nell'aria, quel sentore d'acqua piovana che avrebbe cancellato ogni profumo.
Avvertì in quel mutamento repentino un'oscura premonizione, un amaro auspicio di morte, quasi una creatura demoniaca stesse allungando i propri artigli lucenti per lacerare la realtà e precipitare il mondo in una forra di sangue e dolore.
Sapeva che Corso Donati bramava la guerra. E con lui tutta Firenze. Arezzo si era fatta troppo spavalda. Arezzo, prostituta dell'imperatore, ghibellina, aveva provocato Firenze in ogni modo. I guelfi avevano atteso solo una scusa, uno sciocco capriccio per scendere in campo e annichilire i nemici di sempre. Sapeva che, mentre contemplava quel cielo ormai di stagno, i senesi erano sul punto di ripiegare dopo aver assediato Arezzo. Insieme ai fiorentini avevano perfino organizzato un palio sotto le mura della città, così da farsi beffe del nemico.
Siena la superba, pensò. Siena che credeva di poter mettere alla catena i lupi dell'imperatore.

Paolo e Francesca[modifica]

In cima alla torre, guardò la spianata sottostante: si stendeva ai piedi della collina, candida per la neve caduta. Si perdeva fino all'indaco del mare. L'acqua chiara, cerulea, tremava in lontananza. Uno stormo di corvi strillò nel cielo color stagno. Poi, neri e terribili, gli uccelli scesero in picchiata, planando sulla spianata, e dilagarono come una macchia d'inchiostro sulla cortina ghiacciata dei campi tutt'attorno.
Francesca aguzzò la vista, gli occhi celesti simili a lame di ghiaccio. Si strinse nel mantello di pelliccia di lupo. Il vento gelido si alzò, spettinando i suoi lunghi capelli color miele selvatico. La pelle, più bianca dell'alabastro, s'imporporò sulle gote. Era un giorno d'inverno e, malgrado suo padre fosse contrario a che lei salisse sugli spalti, aveva disobbedito, perché dal camminamento poteva vedere il mondo attorno, cupo eppure brulicante di vita.
Da quando, in città, i Traversari avevano scelto di avversarlo con ogni mezzo, suo padre Guido, capo dei da Polenta, aveva voluto che la famiglia si ritirasse entro le mura della rocca, costruita sulla cima di un colle aguzzo, a Bertinoro.
Francesca ispirò il profumo dell'inverno: la brezza gelida le portò l'odore intenso dei pini che punteggiavano il perimetro del castello e il sentore aspro del fumo dei camini. La vista delle quattro grandi torri circolari, agli angoli dell'ampio quadrato della rocca, le fece girare la testa. Soto di lei stava il borgo: i tetti spioventi delle case a formare un mare rosso di tegole. Allargò le braccia e per un attimo le parve di volare. L'aria ghiacciata le si insinuò sotto il collo di pelliccia, provocandole un brivido. Si sentì più viva che mai.

Tre insoliti delitti[modifica]

La città era flagellata dalla neve. Fiocchi grandi come farfalle bianche cadevano dal cielo color ferro. Turbinavano nel vento fischiante. Scendendo per l'Altstadt, la città vecchia, Marco incontrò le bancarelle del mercatino di Natale. Affollavano la piazza di fronte alla Elisabethkirche, la più bella chiesa gotica della città, e la contigua Marktplatz. I commercianti cominciavano a montarle già a inizio dicembre e fino all'epifania vendevano deliziose marmellate, giganteschi Würstel con la senape, bollente vino speziato - il Glühwein - biscotti allo zenzero, fette di torta alla panna e alla crema di burro.
Scese in tutta fretta verso la città nuova. Il profumo dei Lebkuchen, i dolcetti di pan di zenzero, gli ricordò che non aveva ancora mangiato, ma aveva altro a cui pensare. Attraversò la Biegenstrasse e si affrettò verso il grande portone della facoltà di Storia e Studi classici della Philipps-Universität Marburg. Il palazzo si trovava nella parte bassa della città, al di là del fiume Lahn, che in quei giorni era un nastro di acqua e ghiaccio.
Superato l'ingresso, salì le scale, raggiungendo il dipartimento di Storia medievale.

Citazioni presenti in alcune opere[modifica]

La giostra dei fiori spezzati[modifica]

  • Niente di più sbagliato, falso e lontano dal vero, perché l'uomo è in tutto e per tutto uno dei più grandi misteri che la natura abbia concepito nel proprio disegno. (Alexander Weisz)
  • Ci sentivamo invincibili. Ma non lo eravamo. Ci sentivamo innocenti. Ma non lo eravamo. Ci sentivamo sinceri. Ma non lo eravamo. Ci sentivamo invincibili... (Giorgio Fanton)

Note[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Matteo Strukul, Mila Zago. La ballata di Mila, Edizioni E/O, 2011. ISBN 978-8866320166
  • Matteo Strukul, Mila Zago. Regina nera. La giustizia di Mila, Edizioni E/O, 2013. ISBN 978-8866323129
  • Matteo Strukul, Mila Zago. Cucciolo d'uomo. La promessa di Mila, Edizioni E/O, 2015. ISBN 978-8866326090
  • Matteo Strukul, I cavalieri del Nord, Multiplayer Edizioni, 2015. ISBN 978-8863553666
  • Matteo Strukul, Il sangue dei baroni, Time Crime, 2016. ISBN 978-8866882879
  • Matteo Strukul, I medici. Una dinastia al potere, Newton Compton Editori, 2016. ISBN 978-8854194793
  • Matteo Strukul, I medici. Un uomo al potere, Newton Compton Editori, 2016. ISBN 978-8854195073
  • Matteo Strukul, I medici. Una regina al potere, Newton Compton Editori, 2017. ISBN 978-8854195080
  • Matteo Strukul, I medici. Decadenza di una famiglia, Newton Compton Editori, 2017. ISBN 978-8822707734
  • Matteo Strukul, La giostra dei fiori spezzati. Il caso dell'angelo sterminatore, Mondadori, 2017. ISBN 978-8804678977
  • Matteo Strukul, Giacomo Casanova. La sonata dei cuori infranti, Mondadori, 2018. ISBN 978-8804664543
  • Matteo Strukul, Inquisizione Michelangelo, Newton Compton Editori, 2018. ISBN 978-88-22721242
  • Matteo Strukul, Le sette dinastie. La lotta per il potere nel grande romanzo dell'Italia rinascimentale, Newton Compton Editori, 2019. ISBN 978-88-22733832
  • Matteo Strukul, La corona del potere. La saga delle sette dinastie, Newton Compton Editori, 2020. ISBN 978-88-227-4208-7
  • Matteo Strukul, Dante enigma, Newton Compton Editori, 2021. ISBN 978-88-227-5028-0
  • Matteo Strukul, Il cimitero di Venezia, Newton Compton Editori, 2022. ISBN 978-88-227-6433-1
  • Matteo Strukul, Paolo e Francesca, Nord-Sud Edizioni, 2022. ISBN 9788893082983
  • Matteo Strukul, Tre insoliti delitti, Newton Compton Editori, 2022. ISBN 978-88-227-7257-2

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