Niccolò Franco
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Niccolò Franco (1515 – 1570), poeta e scrittore italiano.
Priapea
[modifica]- Lunge ser Petrarchisti dal bel stile, | che le rime con gli huopi profumate, | perché voi mastri giudici stimate | il Caballino mio mandra e porcile. (II, vv. 1-4)
- Nell'opra, ch'ora io tesso al chiaro onore | del Dio degli orri, forza è d'invocare | come i bravi poeti soglion fare | da tutte Muse voi, lena e favore. || Piacciavi dunque o Dive, per amore, | la debil penna mia farmi rizzare, | e darmi, onde il parlar si possa ornare, | le vostre lingue in bocca per quattr'ore. || Da voi si guidi la barchetta mia, | che sotto l'ombra delle vostre gonne | pervenga al fin della profonda via. (III, vv. 1-11)
- Anzi vi dico che se mai mi tocca, | dove fra donne stassi ragionando, | lascio al Boccaccio la sua filastrocca. || E senza cerimonie parlando | appunto come viemmi in sulla bocca | a voi donne da fottere dimando. (VII, vv. 9-14)
- Perocchè quel non fottere e baciare, | ad un ch'aggia grandissimo appetito | a punto è come il bere e non mangiare. (XVII, vv. 12-14)
- Gran cosa è 'l cazzo, se 'l vogliam guardare, | che non ha piedi, ed entra ed esce fuore, | ch'è disarmato ed ha così gran core, | che non ha taglio, e puote insanguinare. || Gran cosa è poi, e gran miracol pare, | ch'è senza orecchi e sente ogni rumore, | che non ha naso e piacegli l'odore, | che non ha occhi, e vede dove andare. || Gran cosa, e ben da croniche e da annali, | che non ha mani e cerca di ferire, | che non ha gambe e vuole gli stivali. || Ma cosa più mirabile a sentire, | ch'entrando in corpo a furie infernali, | e sano e salvo se ne sappia uscire. (XLII, vv. 1-14)
- Tu mi minacci pur, Pietro Aretino, | ne sò con che, perché n'ho poca cura: | se con le chiappe mi vuoi far paura, | dillo in volgare, ch'io non so latino. || Il tuo cul so ben io ch'è un paladino | e che rompe ogni lancia ben sicura: | sò che è sì fatto che non ha misura, | e cosa da stancar Atene e Arpino. (LXII, vv. 1-8)
- [Su Pietro Aretino] Have un difetto, ch'io ne torno pazzo, | ma dir si può più tosto bizzarria, | che mai non canta se non vede il cazzo. (XCVIII, vv. 12-14)
- Pietro Aretino, sendo ermafrodito, | che presta il culo, e poi sel fa prestare, | questa sentenza non vuol egli dare, | come colui che è già, moglie e marito. (CLXX, vv. 5-8)
- Credono molti, ch'io mi dia a mangiare | quanti tartufi mena l'orto mio, | e che di quì si generi il disio, | ch'io mai non farei altro che ficcare. (CLXXX, vv. 1-4)
Bibliografia
[modifica]- Niccolò Franco, Priapea; in Luigi Tansillo, Niccolò Franco, Il Vendemmiatore, poemetto in ottava rima di Luigi Tansillo, e la Priapea, sonetti lussuriosi-satirici di Niccolò Franco, J.C. Molini, Parigi, 1790.
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