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Raffaello Fornaciari

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Raffaello Fornaciari (1837 – 1917), filologo italiano.

Grammatica storica della lingua italiana

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La lingua italiana non è originale come la greca e la tedesca, ma proviene dalla lingua latina; onde appartiene alle lingue derivate. Quando i Romani estesero la loro signoria sulle terre conquistate in Italia e fuori, vi portarono anche la natìa lingua, la quale negli ultimi secoli dell'impero occidentale si trovava stabilita non pure in tutta Italia, ma ancora nella penisola de' Pirenei, nella Gallia e nei paesi del Danubio da Traiano sottomessi e popolati di colonie. Questa lingua però non era il latino quale è scritto in Cicerone o in Tacito, ma quale lo parlava il popolo (lingua rustica), cioè un volgare, che secondo i bisogni e le occasioni si andò ampliando sempre più e allontanandosi dalla lingua scritta usata dai signori e dai letterati, quanto più quella lingua perdea vita e mobilità.

Citazioni

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  • La lingua italiana è la più pura tra le lingue romane, e può dirsi a buona ragione, la figlia più somigliante alla madre. Valutando le voci che essa contiene, si trova a un dipresso che nove decimi sono d'origine latina, dell'altro decimo le più appartengono alla lingua degli antichi Germani, poi alla greca ed all'araba, alcune al persiano, al celtico, allo slavo; altre sono di origine ancora incerta ed oscura, e risalgono forse all'antiche favelle italiche, come l'etrusca, la ligure, l'osca, l'umbra ecc. (Introduzione, pp. 2-3)
  • La lingua italiana, non meno che le lingue romane sue sorelle, ha perduto molte delle flessioni e delle forme latine. Riuscendo al popolo troppo gravosa la pronuncia delle parole secondo le severe leggi della quantità, e non sapendo esso acconciarsi all'uso di tante flessioni molteplici; gli avvenne di guastare il suono e il significato delle parole; onde, per la necessità della chiarezza, supplì al difetto col mezzo di voci ausiliari. Parte di queste restano separate, altre si affiggono, ma tutte perdono o modificano il loro primitivo significato, per pigliarne uno più astratto e generale, talché corrisponda a quelle forme grammaticali di cui fanno le veci. (Libro II, cap. I, p. 35)

Bibliografia

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