Rebecca Ghilardi
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Rebecca Ghilardi (1999 – vivente), pattinatrice artistica su ghiaccio italiana.
Le favole di Rebecca
Intervista di Silvia Guerriero, SportWeek nº 51 (1072), 18 dicembre 2021, pp. 78-83.
- [Sulla campagna pubblicitaria Versace on ice, «[...] fare la modella ti è venuto facile?»] Alla fine sì ed è stato magico: già farmi fare unghie, capelli e trucco era bellissimo. Io vivo acqua e sapone, gli amici mi hanno detto "ma eri veramente tu?". Anche se là il confronto era impietoso, ero circondata da modelle vere come Stella Maxwell, quelle belle, bionde, alte: meno male che avevo i pattini, almeno qualche centimetro l'ho guadagnato.
- [«Ecco, non ti fa arrabbiare che ti fai il mazzo da 14 anni e diventi famosa per uno spot?»] Eh... non mi sorprende. La vedo così: è una carta in più che abbiamo giocato per farci conoscere, perché [il pattinaggio] è uno sport che se inizi a seguire ti piace, così magari lo facciamo scoprire ai più giovani e li portiamo sulla pista.
- [...] mi piaceva [il pattinaggio] ma non ero una di quelle bambine che si strappava l'anima per andare. Poi facevo danza, nuoto, cavallo, roller... mille cose che pian piano ho mollato finché ho scelto il pattinaggio, e il pattinaggio ha scelto me. [«Quando hai capito che poteva diventare un lavoro?»] Quando ho dovuto scegliere fra scuola e sport, in terza media. Era il momento di fare il salto di qualità e avevo bisogno di più ore per allenarmi, anche al mattino. Però andavo dalle suore, in una scuola privata piuttosto rigida: non erano disposti a venirmi incontro. [...] l'ho fatta da privatista, poi ho continuato alle serali diplomandomi al Linguistico.
- [«Qual è il rapporto che si crea tra le coppie del pattinaggio?»] Non è sempre facile la convivenza quotidiana ma il bello, arrivando dal singolo, è che hai sempre qualcuno che ti spinge e ti aiuta. All'inizio facevo fatica perché ero abituata a contare solo su me stessa. Filo [Filippo Ambrosini] invece è molto più emotivo, è uno che si relaziona più di me che sono piuttosto fredda. Ci siamo trovati a dover matchare questi due caratteri totalmente diversi e diventare complici, che è l'aggettivo con cui ci definiamo.
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