Gaspare Invrea

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Gaspare Invrea, più conosciuto con lo pseudonimo di Remigio Zena (1850 – 1917), scrittore e poeta italiano.

Incipit di alcune opere[modifica]

Confessione postuma: quattro storie dell'altro mondo[modifica]

Confessione postuma[modifica]

Mi perdoni, Monsignore reverendissimo, se nello stato di turbamento ineffabile nel quale mi trovo, ardisco rivolgermi a lei, chiedendo aiuto e consiglio. Prima di confidarmi ad altri, che forse riderebbero di me trattandomi d'allucinato e di visionario, dalla sua carità paterna imploro quella pace al mio Spirito che altri non saprebbero darmi; e nel nome di Nostro Signore Gesú Cristo l'imploro fiducioso, in memoria della benevolenza tutta speciale onde lei si compiacque onorarmi per tanti anni, e che fu il tesoro della mia adolescenza e della mia giovinezza, fin dal giorno che, per grazia divina indegnamente ascritto alla milizia della Chiesa, tremando e giubilando, offersi la prima volta il santo Sacrifizio.

La cavalcata[modifica]

Un fatto che ha dell'inverosimile succede in casa vostra, durante la vostra assenza; quando vi si palesa, ne sapete meno di prima: non soltanto ne avviluppa una tenebra lo scopo e le modalità, ma pure le persone che l'hanno ideato, manipolato, e nell'ombra spiano ogni vostra mossa per ricominciare. Ladri? non sembra, almeno fino ad ora; dilettanti di burlette eccentriche ovvero d'un eteroclito carbonarismo nuovo risuscitato per passar mattana da chi ha tempo da perdere? piuttosto; ma comunque sia, la curiosità s'impossessa di voi, vi dà la smania e la febbre, tanto piú si acuisce quanto meno riescono efficaci i tentativi di sollevar la cortina, e allora, nel subitaneo assillo di averne il cuor netto, offrendo quel tenuissimo barlume ottenuto che ad altri piú esperti e sagaci di voi deve bastare a rischiarar la strada, a chi ricorrere se non al vigilante Argo della salute pubblica?

L'invitata[modifica]

Nessun dubbio che i fenomeni d'occultismo esposti otto o dieci anni fa dal professor Zamit e da madamigella Alma nel teatro Marrucino di Chieti fossero strani e incomprensibili, specie quelli che si riferivano alla trasmissione del pensiero, ma se il pubblico rimaneva stordito e c'era da scommettere che piú d'uno sarebbe venuto una volta o l'altra coll'acquasantino in saccoccia per scongiurare l'influsso diabolico, alcuni ufficiali della guarnigione non si adattavano cosí presto ad accettarli senza benefizio d'inventario.

La pantera[modifica]

- Abbattete la porta! – gridò ai suoi giannizzeri il delegato di P.S. appena giunto sul pianerottolo davanti all'uscio della signora Bernabei, nel tramestio d'una casa intera svegliata di soprassalto dal primo sonno, in mezzo al crescente susurro degli inquilini che si erano riversati per le scale a crocchi e gruppetti, uomini e donne, grandi e piccoli, e si sporgevano dalle ringhiere, salivano, scendevano da un piano all'altro, tutti ostinatamente curiosi e trepidanti d'ansietà.

L'ultima cartuccia[modifica]

- Accusato, alzatevi. Come vi chiamate?
- Faraone Raffaele.
- Vostro padre?
- Ferdinando.
- Quanti anni avete?
- Ventitré.
- Dove siete nato?
- A Sant'Eufemia di Marmore, provincia d'Aquila.
- La vostra professione?
- Sergente nel Reggimento Lancieri di Parma.
- Avete inteso l'atto d'accusa e la sentenza della commissione d'inchiesta? Sapete di qual reato siete chiamato a rispondere?
- Lo so.

La bocca del lupo[modifica]

Il meglio, nelle cose proibite dal governo, è di non mischiarcisi mai; per esempio, a forza di suppliche e di raccomandazioni, una mattina finalmente il re fece alla Bricicca la grazia dei tre o quattro mesi che le restavano ancora, ed è uscita in libertà dopo un anno di prigionia per l'affare del lotto clandestino, ossia del seminario, come diciamo noi a Genova, ma intanto col suo volersi imbarazzare in certi negozi, fu essa che finí per uscirne colla testa rotta.

Le pellegrine[modifica]

Dite, dite: in qual paese
Se ne andò la carovana
Dei poeti, che mi apprese
Al suonar della diana
Quella nenia, quel peana
Che ho cantato in gioventù?
Per qual vento o qual fiumana
Se ne andò la mia tribù?

Poesie grigie[modifica]

  • Divorata dal livido avoltoio, | Fatta un sacco d'ossami, | Grida Mimì al suo Rodolfo: «muoio, | Dimmi ancora che m'ami!» | E fa aprir le finestre e nei giardini | Di Nervi - ultima tappa – | Vede appesi gli aranci e i mandarini. (da Hotel de la pension anglaise)[1]

Inno semi-barbaro[modifica]

Oh sorelle armoniose
Degli elleni dattili
Pioggia mistica di rose
Diluvio di lagrime
Oh fanciulle vittoriose
Dei canuti secoli,
Rime, fremito di vento,
Susurro d'un bacio,
Voi sorriso, voi lamento,
Voi soave nenia,
Tintinnabulo d'argento,
Faville di musica.

Et in Arcadia ego[modifica]

In mezzo alle tue vacche, o montanina
D'alpe canavesana,
Sembri una delicata figurina
Di Watteau, in porcellana.
Hai pavonazzo il volto: stamattina
Soffia, la tramontana,
Ma sotto i vecchi panni s'indovina
La carne bianca e sana.

Imbiancando la stecca[modifica]

Quindici a nove! — Amici, io che cammino
Come voi nel peccato,
Faccio talvolta un sogno inargentato,
Sfinge del mio destino.
Penso di farmi un giorno certosino
E scordare il passato,
Scendere in coro tutto incappucciato,
Dir vespro e mattutino.

In job[modifica]

Responde mihi! È un simbolo,
Una leggenda, un mito,
Quella mortale angoscia,
Quel dolore infinito
Che com'onda di fiume
Sgorga dal tuo volume,
Sì che atterrita ho l'anima
E la mia mano trema
Quando sfoglia le pagine
Dell'eterno poema?

Note[modifica]

  1. p. 81

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]