Santiago Posteguillo

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Santiago Posteguillo alla Fiera del Libro di Madrid 2009

Santiago Posteguillo (1967 – vivente), scrittore e professore universitario spagnolo.

Incipit di alcune opere[modifica]

Saga di Scipione l'Africano[modifica]

L'Africano[modifica]

Roma, anno 519 dalla fondazione della città, 235 a.C.

Il senatore Publio Cornelio Scipione camminava per il Foro. Portava i capelli corti, quasi rasati, com'era costume nella sua famiglia. Poco meno che trentenne, avanzava a testa alta, in modo che tutti vedessero il suo viso serio e asciutto, dai lineamenti marcati. Quello sarebbe stato un giorno importante per lui, ma in quel momento i suoi pensieri erano rivolti a un altro avvenimento significativo: Nevio portava in scena la sua prima opera teatrale. Erano trascorsi solo cinque anni dalla prima rappresentazione a Roma, una tragedia di Livio Andronico, a cui il senatore aveva assistito senza esitare. Roma era divisa fra chi considerava il teatro un'usanza straniera, disprezzabile, frutto delle influenze greche che alteravano il corso del pensiero e dell'arte romana nella loro forma più pura, e chi invece aveva accolto quelle prime rappresentazioni come un enorme salto in avanti per la vita culturale della città. Quinto Fabio Massimo, senatore esperto e temuto, di cui tutti parlavano come del futuro console della Repubblica, era fra coloro che osservavano il fenomeno con timore e freddezza. Il senatore Publio Cornelio Scipione, al contrario, avido lettore di opere greche, conoscitore di Menandro e Aristofane, era fra gli appassionati sostenitori del teatro.

Invicta Legio[modifica]

Sette anni prima della battaglia di Zama Lilibeo, Sicilia, agosto del 209 a.C.

Avanzava barcollando da una parte all'altra. Dal gladio, una spada ormai arrugginita e senza filo, che accompagnava con un suono metallico gli ondeggiamenti del proprietario, e dalla vecchia cotta di cuoio tutta sporca si intuiva che quell'ubriacone era o era stato un legionario romano. Con sguardo offuscato stava cercando un posto dove alleggerirsi e scaricare parte del liquido trangugiato. Come un cane si arrestò accanto a due enormi pali di legno che, inermi, s'innalzavano davanti a lui.
«Oh... questo è un... bel posticino...» disse farfugliando a voce alta e scoppiò a ridere. Quella risata echeggiò stridente, fra le tende che lo circondavano il luogo. Fece per urinare, ma non aveva ancora iniziato che si sentì sollevare da terra con una forza inusitata. Con il membro scoperto, da cui ancora sprizzava il mediocre vino filtrato, fu gettato a diversi passi di distanza. Mentre rotolava al suolo, l'uomo lanciò un urlo di dolore. Quando il suo corpo si fermò, appoggiò le mani inzuppate di urina sulla polvere della strada che gli s'incollò alla pelle come una crosta di miseria. Si alzò e cominciò a imprecare rabbiosamente contro l'aggressore.
«Per Castore e Polluce... per tutti gli déi! Sei matto? Io ti ammazzo!»
Il suo rivale non pareva affatto impressionato. Si avvicinò piano, la spada sguainata, pronto a infilzarlo come un cinghiale allo spiedo da arrostire a fuoco lento sulle braci incandescenti di un falò.

Il tradimento di Roma[modifica]

Un anno prima della battaglia di Panion. Viaggio dall'Africa al Sud d'Italia. Da marzo a giugno del 201 a.C.

Publio Cornelio Scipione era divenuto l'uomo più potente do Roma, il più lodato e il più temuto. Intanto, in Oriente, Filippo V di Macedonia, l'Egitto tolemaico e, ancora una volta, il temuto Antioco di Siria iniziavano una guerra per il controllo di Fenicia, Grecia e mare Egeo. Ma Roma restava indifferente a tutto ciò; quello che importava era che Scipione, dopo la sua schiacciante vittoria su Annibale e la conquista dell'Africa, fosse acclamato dalle sue legioni, dai suoi ufficiali, dall'Italia intera, con il soprannome di Africanus e riconosciuto come il più grande generale di tutti i tempi. Era la prima volta che un generale acquisiva il soprannome da un territorio conquistato: una prassi che da quel momento in poi, e per i secoli a venire, sarebbe stata copiata da uomini di minor merito e perfino da imperatori.
Publio Cornelio Scipione Africanus salpò da Utica, nel Nord dell'Africa, con gran parte del suo esercito, non appena fu siglata la pace con Cartagine. Il generale romano intraprese il suo ritorno a Roma approdando per una prima tappa a Lilibeo, sulla costa occidentale della Sicilia. Lì fu ricevuto come un eroe dai cittadini, esausti dopo anni di interminabili lotte che avevano impoverito la regione e prosciugato i campi; ma quelle dimostrazioni di gratitudine non furono nulla rispetto a ciò che avrebbe trovato poi. Da Lilibeo proseguì via mare con l'intera flotta e le sue legioni fino a Siracusa, dove si fermò in modo da lasciare che le turmae di cavalieri siciliani facessero ritorno alla loro città natale dopo la magnifica in Africa. I cavalieri di Siracusa sotto il comando di Lelio, giunto insieme alla cavalleria di Massinissa, rappresentavano la grande forza grazie alla quale, a detta di molti, Scipione aveva ottenuto l'impossibile vittoria contro Annibale.

La fine di Scipione[modifica]

Accampamento generale romano in prossimità di Elea, Asia Minore, inizio di dicembre del 190 a.C.

Attilio era seriamente preoccupato per la salute di Publio Cornelio Scipione. Non sapeva che fare. Conosceva l'effetto delle febbri sul generale, che aveva assistito in precedenti occasioni, ma si era sempre ripreso dopo pochi giorni; questa volta, invece, dopo una settimana la febbre non era ancora calata e il generale era debolissimo. Inoltre, lui doveva occuparsi anche dei feriti delle grandi battaglie navali ancora in convalescenza e dei nuovi arrivi, uomini provenienti dalle pattuglie di ricognizione che si addentravano nel Sud della regione e che erano state attaccate. In una campagna militare, tutti si faceva incredibilmente complicato.
Per fortuna Aretè si era rivelata un grande supporto, sia fisico, aiutando a pulire le ferite e bendando braccia e gambe dei legionari, sia psicologico, dandogli un gran sollievo nel mostrarsi disponibile ad aiutarlo come poteva. Ad ogni modo, Attilio era di natura generosa e soprattutto grato agli Scipioni per la fiducia che gli avevano dimostrato, così non esitò a fornire all'Africanus la miglior cura di cui disponeva in quel momento. Sapeva quale sarebbe stata la conseguenza. Sapeva che non appena il generale l'avesse vista, Aretè non sarebbe più stata sua. Ma non esitò. Inoltre i legionari la guardavano con occhi sempre più desiderosi e lui non avrebbe potuto proteggerla per sempre. La sua natura vinse così il suo egoismo. E forse anche gli è di quella giovane la stavano proteggendo in modo speciale.

Saga di Traiano[modifica]

L'Ispanico[modifica]

Mogontiacum, Germania Superiore
18 luglio del 96 d.C., quarta vigilia
Due mesi prima del giorno stabilito per l'assassinio dell'imperatore Domiziano

«L'imperatore di Roma non può essere ucciso» rispose loro Traiano.
I senatori serrarono le labbra, senza osare replicare. Marco Ulpio Traiano, governatore della provincia germanica, lesse la paura sui loro volti, e capì che la decisione era già stata presa. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarli. Erano spacciati: la guardia pretoriana era invincibile e Roma ormai andava alla deriva verso un'inevitabile guerra civile. Lui si trovava tra due fuochi e non poteva fare nulla. Nulla.
Traiano li fissò uno per uno. Quei patrizi non si erano spinti fino ai confini dell'Impero per ascoltare la sua opinione. A loro interessava sapere da che parte sarebbe stato. Lui però doveva provare a impedire quella follia: se la congiura fosse fallita i senatori sarebbero andati incontro a morte certa. Stavano mettendo in gioco la loro vita e, per loro, l'eventualità di una guerra civile sarebbe stata solo il minore dei mali. Non potevano capire: non avevano trascorso anni sul limes come lui. Ciò che mancava loro era la lungimiranza. Ma l'ultima cosa che Roma poteva permettersi era uno scontro tra le sue legioni. Stavano camminando sul filo del rasoio e i senatori, noncuranti degli attacchi di Germani, Daci e Parti, volevano sapere se Traiano fosse a favore o contro Domiziano. Sembrava che, ai loro occhi, tutto il resto non esistesse. E invece esisteva. I confini dell'impero erano in pericolo, ma loro riuscivano a vedere solo gli orrori che si consumavano negli anfratti più reconditi del palazzo imperiale. Traiano sembrava l'unico a mantenere lucidità su quella delicata questione.

Circo Massimo[modifica]

Roma
Febbraio del 101 d.C.

«Solo tu puoi salvarla! Solo il grande Plinio può riuscirci!» disse l'uomo singhiozzando, prostrandosi davanti al potente senatore di Roma e abbracciandogli le ginocchia in segno di massima sottomissione, mentre continuava a ripetere quelle parole che risuonavano come un lamento di sofferenza eterna. «Solo Plinio può salvare mia figlia! Solo Plinio!»
Il vecchio Menenio vide il senatore chinarsi su di lui e tirarlo per le braccia per aiutarlo a sollevarsi.
«Non è necessario che t'inginocchi perché io intenda il tuo dolore» disse Plinio accompagnando l'amico accanto a un solium e invitandolo a sedersi, mentre lui faceva lo stesso su una sella situata di fianco. Nell'atrio dell'enorme domus romana di Plinio, protetti all'interno del grande cortile porticato, udivano solamente il gorgoglio della fontana situata al centro. Plinio, uno dei senatori più potenti dell'Impero, aveva ottenuto quella residenza dopo una brillante carriera come avvocato prima, e come senatore poi, passando attraverso tutte le tappe dei vari incarichi pubblici del cursus honorum. Era uno dei pochi sopravvissuti agli anni di follia di Domiziano e ora godeva di un'ottima posizione presso il nuovo imperatore Traiano. Menenio, invece, apparteneva a un'antica famiglia patrizia che poco a poco aveva perduto influenza a Roma, al punto che ora il pater familias si trovava obbligato a umiliarsi di fronte a un suo pari, a un altro senatore, per tentare di salvare la figlia sulla quale incombeva la più terribile delle minacce.
«Solo tu puoi salvarla» ricominciò a insistere Menenio. «Tu sei in buoni rapporti con il nuovo imperatore. Traiano ti ascolterà. So che se sarai tu a difenderla, la ragazza avrà almeno una possibilità.»

L’ira di Traiano[modifica]

Drobeta, Mesia Superiore
Febbraio del 105 d.C.

La tormenta stava peggiorando. La pioggia cadeva incessante sui legionari che lavoravano sulla gru del diciottesimo pilastro sul fiume. L'imponente struttura del ponte in costruzione si elevava maestosa sul Danubio, ma l'opera non era ancora conclusa. Ora era possibile percorrere via terra, dalle rive della Mesia Superiore, camminando sulla parte finita del ponte, due terzi della larghezza del fiume, poiché gli archi di legno che univano i primi diciassette pilastri erano già stati completati. Ne mancavano ancora due: il diciottesimo, che era quasi terminato, e il diciannovesimo, di cui era stata preparata solamente la tura sulla quale i legionari muovevano senza sosta una grande vite di Archimede.
«Per Marte! È un'assurdità» esclamò un optio che dirigeva l'unità al lavoro sulla vite. «Sta piovendo troppo forte! Dobbiamo fermarci!»
Ma Cincinnato, al comando sulla tura del diciannovesimo pilastro, scosse la testa. «Ho ricevuto l'ordine di proseguire, che piova, tuoni o grandini! Continuate, per Ercole!» Era bagnato fino alle ossa e maledisse tra sé e sé la famiglia di quel folle architetto. Un uomo comune con un po' di buonsenso avrebbe certamente interrotto i lavori durante la tormenta, ma l'architetto non era affatto un uomo comune. Il problema era che stava piovendo con una tale intensità che pur estraendo acqua dall'enorme vite di smaltimento questa continuava a riempirsi. Sarebbe stato logico, a quel punto, fermarsi e riprendere una volta cessata la tormenta.

La legione perduta[modifica]

Città di Yu-yang
Confine nord dell'impero (Cina), vicino alla Grande Muraglia
Primo anno del regno dell'imperatore An-ti (106 d.C.)

«Voglio raccontarti una storia incredibile, figlio mio. Mi ascolti?»
«Sì, padre» rispose il giovane seduto accanto al letto dell'anziano che parlava con difficoltà, piegato dal dolore provocato dalla lunga malattia che lo stava consumando.
«Bene» continuò il vecchio. «Ascolta con attenzione, allora, perché si tratta della storia dell'origine della tua forza. E, ricorda, ciò che ti dirò è un segreto. Nessuno, qui nel confine nord dell'Impero Han, conosce questa vicenda.» S'interruppe un momento per recuperare le forze. «Tutto cominciò più di cento anni fa. Anzi, perfino prima. Circa... centosessanta anni fa[1], sì... Era l'epoca dell'imperatore Yuan-ti. Oggi, figlio mio, il mondo è suddiviso in quattro grandi imperi: il nostro Impero Han, il regno degli Yuegzhi[2], l'Impero An-shi[3] e quello Da Qin[4]. Però, a quei tempi, gli Yuegzhi non erano potenti come lo sono oggi, e nel lontano Da Qin - questo è molto importante, figlio - il potere era spartito fra tre uomini tanto forti quanto ambiziosi. No, nessuno conosce questa storia, nemmeno i saggi del Taixue, l'accademia imperiale, nemmeno i ministri dell'imperatore bambino e dell'imperatrice vedova a Loyang; però noi, la nostra famiglia, abbiamo da sempre trasmesso questo racconto di generazione in generazione; fino a questo momento, ragazzo, poiché anche tu dovrai conoscerlo, prima che io muoia.
«Quei tre uomini si chiamavano Cesare, Pompeo e Crasso. Il primo combatteva nel Nord di Da Qin o Roma, come loro chiamano il "quarto impero". Cesare voleva controllare la regione e mantenerla sotto il suo comando, lottava contro guerrieri che la gente di Da Qin conosceva con il nome di Galli. Pompeo, il secondo di quei governanti, dominava le regioni più remote di Da Qin, che loro chiamavano Hispania, proprio lì dove il mondo finisce. Il terzo uomo, Crasso, per eguagliare il potere degli altri due, decise di inoltrarsi fino ai territori più orientali del suo impero, nella regione da loro chiamata Siria, vicino ad An-Shi. Crasso, che era il più anziano dei tre, sapeva di avere poco tempo per sconfiggere i suoi avversari: volle quindi lanciarsi alla conquista dell'impero An-shi, o Partia, come lui e gli altri guerrieri lo chiamavano. Se fosse riuscito a controllare i fiumi e le montagne di An-shi, sarebbe divenuto il più potente dei tre e avrebbe poi conquistato tutto il Da Qin, sicuro del fatto che, una volta sottomesso l'Impero An-Shi, Cesare e Pompeo sarebbero stati definitivamente battuti. Così Crasso, grazie all'accordo con gli altri due uomini che, troppo presi dai propri problemi, non intuirono il suo piano, riunì un potente esercito e attraversò il fiume che segna il confine tra Da Qin e An-Shi.[5] Ti sto raccontando questa storia come mio padre fece con me, e prima di allora il padre di mio padre, fino ad arrivare al tuo trisavolo, che visse a quei tempi e fu un importante ufficiale dell'esercito di Crasso. Ancora oggi, se chiudo gli occhi, figlio mio, mi pare di vederli, tutti quegli uomini, quell'immenso esercito che si muove come se fosse davanti a me, come se io stesso fossi stato lì. Chiudi gli occhi anche tu, figlio mio, e ascolta il resto della storia.»

L'ultima vittoria[modifica]

Merv, estremo oriente dell'Impero partico
43 a.C., dieci anni dopo il disastro di Carre

Druso era riuscito a convincere Sillace, ufficiale dell'esercito partico ora incaricato della difesa del confine orientale dell'Impero in qualità di mry di Merv, che la legione aveva bisogno di costruire una palizzat aper proteggersi dagli attacchi degli Unni. I Parti si erano sempre sentiti al sicuro, ma dopo un attacco nemico che aveva causato centinaia di perdite tra i Romani, Druso gli aveva fatto notare che da morti sarebbero serviti a ben poco per difendere il confine. Chissà se davvero li aveva convinti, o se accadde perché i Parti erano troppo impegnati a risolvere le proprie guerre interne - Surena era stato avvelenato per ordine del re dei re Orode e quest'ultimo era stato a sua volta assassinato da Fraate, uno dei suoi figli, che si stava accaparrando tutto il potere dell'Impero partico -; in ogni caso, la richiesta di Druso venne accettata senza troppa attenzione o voglia di discutere da parte di un Sillace sempre più preso dal corso degli avvenimento all'interno della Partia che da ciò che accadeva sul confine su cui doveva vigilare.

Saga di Iulia Domna[modifica]

Iulia. Storia di un'imperatrice[modifica]

Roma, 950 ab urbe condita

Il mio nome è Elio Galeno, educato a Pergamo e ad Alessandria. Per anni sono stato il medico della famiglia imperiale di Roma e testimone di molte vicende degne di nota durante la mia lunga vita. Di fatto, ho presenziato alla caduta di una stirpe di imperatori e all'ascesa di un'altra. Ho accompagnato le legioni di Roma in varie campagne contro i barbari, nel Nord, oltre il Reno e il Danubio, e perfino nelle remote terre dell'Oriente. Ho assistito a ben due cruente guerre civili, allo spargimento di molto sangue durante i combattimenti tenutisi sia negli anfiteatri di mezzo mondo che in un'infinità di campi di battaglia. Infine, la mia più terribile esperienza è stata senz'altro la scoperta degli effetti devastanti della peste. Ciononostante, nella mia vita ho avuto anche la fortuna di partecipare ad avvenimenti di tutt'altra rilevanza. Gli storici ufficiali dell'impero e coloro che si occupano di trascrivere i fatti salienti della vita degli uomini illustri riporteranno senz'altro ognuno di questi eventi, affinché essi permangano nella memoria collettiva, per i posteri. Eppure, mi resta un dubbio: e Iulia? Qualcuno ricorderà la sua storia? In appena dieci anni Iulia passò dall'essere un'adolescente sconosciuta proveniente dalla città di Emesa, nel Sud della Siria, all'augusta imperatrice di Roma che riuscì a realizzare un cursus honorum senza pari.

L'Imperatrice che sfidò gli Dei: Il destino di Iulia Domna[modifica]

«Iulia è l'origine di tutti i mali. Iulia condurrà Roma alla sua fine.»
Vesta parlava con veemenza. Era stata lei ad aver preteso quella riunione nell'Olimpo.
Giove ascoltava infastidito. Temeva un altro litigio tra gli dei, come quello scoppiato durante la guerra di Troia o la terribile persecuzione di Ulisse da parte di Nettuno. E quegli scontri erano talmente faticosi da sopportare...
Giove aveva appoggiato a terra la sfera che solitamente reggeva nella mano destra per accarezzare il collo della grande aquila adagiata ai suoi piedi. Sosteneva però il suo scettro nella mano sinistra, per conservare la maestosità di rappresentante del potere assoluto di fronte alle altre divinità radunatesi quel mattino. Stava tentando di mantenere un equilibrio tra l'indifferenza e la dignità che gli spettava durante quella lunga arringa di Vesta contro l'imperatrice madre dell'Impero romano.
«Poco prima che Iulia Domna salisse al potere» continuò la dea del focolare domestico, notando l'evidente disinteresse del dio supremo «il mio tempio nel cuore di Roma fu distrutto da un incendio. Si è trattato di un chiaro avvertimento di ciò che stava per accadere. Quella donna è una straniera, e come tale non può conservare il potere di Roma, deve essere allontanata... distrutta. Come facemmo in passato con Cleopatra e Berenice.»
Giove sospirò. I riferimenti alla tragica fine della regina d'Egitto che tentò di dominare l'elite romana attraverso le sue relazioni con Giulio Cesare e Marco Antonio, e quella di Berenice, amante dell'imperatore Tito, anch'ella privata bruscamente del potere, rivelarono le intenzioni di Vesta riguardo a Iulia Domna. Era evidente quale fosse il desiderio della dea del focolare domestico: l'allontanamento e la morte dell'imperatrice.

Roma sono io. La saga di Giulio Cesare[modifica]

La donna parlava al neonato mentre lo cullava: «Ricorda sempre la storia della tua origine, del principio, della nascita della gens Giulia, la famiglia di tuo padre. Io, tua madre, provengo da un'antica stirpe, la gens Aurelia, il cui nome deriva dal sole; al mio sangue si è unito quello di tuo padre, e la nostra gens, a differenza delle famiglie arricchitesi attraverso corruzione e violenza, è la più nobile di tutta Roma. La dea Venere giacque con il pastore Anchise, e dalla relazione nacque Enea. Successivamente, Enea fu costretto a fuggire da una Troia in fiamme, incendiata dai Greci. Scappò insieme a suo padre, sua moglie Creusa e suo figlio Ascanio, che qui a Roma viene chiamato Iulo. Il padre e la moglie di Enea perirono durante il lungo viaggio dalla lontana Asia fino in Italia. Qui, Iulo fondò Alba Longa. Anni dopo, la bella principessa Rea Silvia di Alba Longa, diretta discendente di Iulo, venne posseduta dal dio Marte e da quell'unione nacquero Romolo e Remo. Romolo fondò Roma. La tua famiglia è imparentata direttamente con Iulo, dal quale prende il nome la gens Giulia.
In questo mondo, dove tu stai facendo i tuoi primi passi, ci sono i patrizi, la maggior parte senatori, e tra questi alcuni uomini molto ricchi che, negli ultimi anni, grazie alla crescita di Roma, hanno alimentato le loro immense fortune; per questa ragione si credono degli eletti, esseri speciali, come se fossero stati scelti dagli dei. Essi si sentono al di sopra dei cittadini, del popolo di Roma e perfino dei socii, nostri alleati in Italia. Questi vili senatori si fanno chiamare optimates, ottimati, "i migliori"; ma, figlio mio, solamente la tua famiglia discende direttamente da Iulo, figlio di Enea, solo tu hai il sangue di Venere e Marte che ti scorre nelle vene. Solo tu sei speciale. Solamente tu. E prego Venere e Marte che ti proteggano e ti guidino, sia in tempi di pace sia in guerra. E ti dimostrerai forte come Marte e vittorioso come Venere. Ricordalo sempre, figlio mio: Roma sei tu.»
E Aurelia ripeté a suo figlio di appena pochi mesi quella storia molte altre volte ancora, come un'orazione; e così, senza che lui potesse rendersene conto, quelle parole si fissarono nella sua mente sin da piccolo e lo accompagnarono per anni. Restarono nel suo animo, nei suoi ricordi, come fossero state incise nella pietra, plasmando il destino di Giulio Cesare.

Note[modifica]

  1. Quindi nel 53 a.C.
  2. Impero kusana, a nord dell'India
  3. Impero partico
  4. Impero romano
  5. L'Eufrate

Bibliografia[modifica]

  • Santiago Posteguillo, L'Africano, traduzione di Roberta Marasco, Piemme, 2006, ISBN 978-8868368821
  • Santiago Posteguillo, Invicta Legio, traduzione di Claudia Acher Marinelli e Adele Ricciotti, Piemme, 2008, ISBN 978-8868368838
  • Santiago Posteguillo, Il tradimento di Roma, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2009, ISBN 978-8856664805
  • Santiago Posteguillo, La fine di Scipione, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2009, ISBN 978-8856664812
  • Santiago Posteguillo, L'Ispanico, traduzione di Giuliana Calabrese, Piemme, 2013, ISBN 978-8856625066
  • Santiago Posteguillo, Circo Massimo, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2017, ISBN 978-8856659566
  • Santiago Posteguillo, L'ira di Traiano, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2017, ISBN 978-8856659580
  • Santiago Posteguillo, La legione perduta, traduzione di Claudia Acher Marinelli e Adele Ricciotti, Piemme, 2019, ISBN 978-8856669985
  • Santiago Posteguillo, L'ultima vittoria, traduzione di Claudia Acher Marinelli e Adele Ricciotti, Piemme, 2019, ISBN 978-8856669992
  • Santiago Posteguillo, Iulia. Storia di un'imperatrice, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2019, ISBN 978-8856673463
  • Santiago Posteguillo, L'Imperatrice che sfidò gli Dei: Il destino di Iulia Domna, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2020, ISBN 978-8856673463
  • Santiago Posteguillo, Roma sono io. La saga di Giulio Cesare, traduzione di Adele Ricciotti, Piemme, 2022, ISBN 978-8856685350

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