Sergio Nazzaro

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Sergio Nazzaro

Sergio Nazzaro (1973 – vivente), scrittore e giornalista italiano.

Citazioni di Sergio Nazzaro[modifica]

  • È più pericoloso scrivere di criminalità organizzata o dei meccanismi culturali editoriali che regolano la pubblicazione di libri e articoli sul tema? Una domanda che mi sono posto più volte dopo aver vissuto il silenzio e la scoperta, soprattutto della camorra, nei mass media. Vivi giorni, anni, decenni nel silenzio, di poi sembra che tutti scoprono che ci sono morti ammazzati. E non basta il classico colpo di spugna del: "basta che ora se ne parla, basta che ci sia coscienza del problema" per cancellare un silenzio colpevole. E pochi sembrano accorgersi che il silenzio, trasformatosi in megafono, cala ancora una volta nella forma primaria di cappa di silenzio su moltissimi scrittori e giornalisti che si occupano di criminalità organizzata nei diversi territori italiani. Strano a dirsi, eppure è così. Il silenzio muta forma, ma non sostanza.[1]
  • Prendere un treno, di quelli che partono puntuali dalla capitale e poi si perdono – come se il tempo non fosse importante oltre una certa linea invisibile. Aspettare in una stazione di campagna desolata e tetra. L'unico mezzo di comunicazione, un vecchio bus. Tornare qui è stancante, snervante. Poco più di 160 chilometri, e oltre tre di viaggio. Non torno da molto a casa, ma le mura scrostate, le scale di marmo consumato, i finestroni traballanti, sono sempre tutti lì. Immobili. E puntualmente mi chiedo come sono finito a vivere qui, dalla Svizzera dove sono nato. Una domanda automatica, che si ripete e ho il timore che si ripeterà per sempre.[2]
  • Siani si interrogherebbe se vale ancora la pena scrivere l'ennesimo articolo della collusione mafie politiche, e sentirebbe la mano scricchiolare, stanca, perché tante, troppe volte ha scritto le stesse, solite storie di malaffare. Opterebbe sicuramente per un articolo sugli effetti della più grave crisi del dopoguerra. Come certi delitti di camorra, come certe collusioni, anche la crisi economica non ha colpevoli mentre intorno la gente muore o semplicemente impazzisce. Chissà a 53 anni se le rughe disegnano falsi sorrisi, o non si sorride proprio più, e la criminalità organizzata disegnata come una potente macchina da guerra, non sia solo una macchina di morte improvvisata dove tutti muoiono per nulla, per pochi soldi.[3]
  • Signor Presidente, perché non si dimette? Mi scuserà se sono troppo diretto, ma è inutile girare intorno alle parole. Sono qui che vorrei scriverle delle mie osservazioni, a patto però che poi non mi venga scagliato l'anatema del vilipendio contro il Capo dello Stato. Non le nascondo che ogni mattina che mi alzo vorrei poter scagliarlo io l'anatema del Vilipendio contro la Mia Persona ai danni della Repubblica Italiana, ma sa sono sicuro che non avrebbe molto effetto, diretta pratica quotidiana di comprendere che il potere è unidirezionale, in Italia soprattutto.[4]

Castel Volturno[modifica]

  • Francesca era uscita per lavorare in un bar di Atrani, ma è finita in Sicilia. Abbandono, incuria, visione del Sud. Esci la mattina e sei trascinato lontano a morire. Buone intenzioni che non si avverano mai. E se questo è possibile per un borgo suggestivo, innocente, sotto l'attenzione continua degli occhi del mondo perché è una meta turistica rinomata, cosa può mai accadere a Castel Volturno, al litorale Domizio, negli insediamenti abusivi di cemento che non diventano mai una costiera di qualsivoglia natura, neanche meta turistica, ma solo dimenticanza? (p. 6)
  • Rif.1° sbarco del 04.08.2011 di 367 immigrati + 1 cadavere. L'intestazione della squadra mobile della questura di Agrigento è secca, precisa. Non è un linguaggio burocratico, ma la realtà dei fatti. Quando approda una barca si fa il conto dei vivi e dei morti. Ma lo sbarco del quattro agosto ha molti più morti di quanti ne vengano scaricati. Perché tracciare tutto il viaggio di questa barca? Non è certo il Titanic, di cui si festeggiano anche i cento anni del viaggio inaugurale senza che nessuno si chieda il perché. Ci si commuove alla vista della terza classe, i viaggiatori poveri del Titanic, ma voltiamo lo sguardo altrove per le imbarcazioni cariche di migranti. Nessun festeggiamento, nessuna collisione da commemorare. Il canale di Sicilia è un cimitero d'acqua e di relitti. L'acqua sciacqua la coscienza, e copre lo sguardo. Lo sbarco del quattro agosto del 2011 non porta soltanto migranti e un cadavere, ma sacrifici umani. (p. 12)
  • Ero molto affezionato a mia sorella, ma ho scelto di andare all'università. Mia sorella è rimasta a casa, perché è così quando si è poveri. Vergogno me. Si dice così? Non è una colpa essere nati poveri, è una colpa dover scegliere. (p. 23)
  • Come ti devo dire, a Castel Volturno è un inferno, ma comunque ci stanno le sue regole e il suo ordine. Ora tu non puoi crederci, ma anche noi facciamo parte dell'ordine che ci sta. Lo creiamo noi. Perché se no, non tiri a campare. Se permetti tutto, allora si muore tutti quanti insieme. Quindi facciamo ordine, mettiamo i panni sporchi da parte, e si va avanti un altro giorno. Almeno se ne sono andati con una spada nel braccio. È quello che volevano ed è quello che gli ho dato. Non è che la notte mi sogno gli occhi spalancati di quei due. Io non faccio melodramma, io faccio la mia parte. (p. 90)

Dubai Confidential[modifica]

  • Dove mi trovo adesso? Nel deserto di Dubai, vicino al confine con l'Oman. Quasi posso intravedere lo skyline, i suoi grattacieli che cercano di toccare il cielo. Hassan mi offre una sigaretta. Qui le stecche di Marlboro costano solo 9 euro. Ti viene proprio voglia di farti venire un cancro ai polmoni. Guardo l'orologio. Aspetto un alto funzionario di ambasciata. La nostra. Mentre tutto il mondo porta soldi a paccate, il consolato italiano di Dubai dispone di solo sei persone. E il console va in giro a piedi, o quasi. Non ha una macchina ufficiale con autista. Il funzionario, Claudio, lo avevo conosciuto a Dubai, durante una cena. La tavola era piena di gente, il conto, come al solito alla mia azienda. Non mia, io ero l'uomo sul terreno. Quello dei consigli nel buio, dalle soluzioni poco ortodosse e dalle notizie sempre fresche. Possibilmente compromettenti. (p. 15)
  • Noi, alla stregua di spacciatori, andavamo a prendere nuova droga sul mercato. Case che promettevano rendimenti del 100%. E non ci mettevi neanche tutti i soldi. Non era del tutto vero, perché il rendimento sarebbe salito anche del 500%, ma non lo avremmo mai potuto dire troppo ad alta voce. La fila a San Giovanni Rotondo da Padre Pio non sarebbe stata nulla in confronto a quella davanti ai nostri uffici. La prospettiva era fare soldi, tanti soldi mediando. Già, la parte interessante del gioco era che noi ci mettevamo di mezzo. Vuoi qualcosa, bé chiedi, paga e ti sarà dato. (p. 36)
  • "Sai cosa? L'Islam dovrebbe avere le Edizioni Paoline. Dovreste vendere anche voi immagini sacre, libri, oggetti. Cosi fate del buon marketing per l'Islam. La gente non solo non capisce ma si spaventa. In Italia ti puoi comprare anche un Gesù di due metri se vuoi. Invece qua per entrare in una moschea devi aspettare il giorno giusto". "Lo so, ma se un kifar vuole capire l'Islam, deve fare dei sacrifici, avere pazienza". (p. 58)
  • Ogni giorno gli operai dei cantieri futuristici di Dubai fanno chilometri ammassati uno addosso all'altro in bus senza aria condizionata. Qualche volta c'è un piccolo ventilatore, come quelli che vendono i cinesi sulle spiagge di Formia durante l'estate a rinfrescare tutti. Fanno una vita pessima e qualcuno muore per il caldo durante i mesi estivi. Sfruttati da un sistema che non gli riconosce nulla, gli operai ricevono la loro misera paga in ritardo di mesi. Il sistema Italia applicato in Medio Oriente. (p. 115)
  • Osservo il panorama del Creek. Il traffico delle merci è sempre lì, in movimento. Sull'acqua o sulla banchina, le merci sembrano animate di vita propria. Sono all'ultimo piano di un parcheggio costruito venti anni prima. Nessuno sospetterebbe che è anche uno dei punti più panoramici di Dubai. Il parcheggio puzza di benzina, grasso, olio. Per arrivare in cima bisogna prendere un ascensore lurido. Ci immergiamo nel dedalo delle strade che compongono la parte vecchia di Dubai. Strade strette, caldissime, perennemente in ombra. Moltissimi operai della notte sono affacciati alle finestre, pigramente. I balconi sono affollati di vestiti stesi, plastica colorata, condizionatori d'aria rumorosi. Un immenso Souk che si moltiplica su se stesso. Entriamo in un altro palazzo grigio e tetro, che non riesce a rianimarsi neanche con tutto il sole che splende. Le mattonelle acqua marina, consumate e logore, decorano ogni piano. Non filtra la luce, mentre all'esterno si sfiorano i quaranta gradi. (p. 135)

Giustizia e Potere: Luigi de Magistris[modifica]

  • L'intervista è uno dei mezzi che prediligo nel giornalismo. Si ha la possibilità di domandare ma soprattutto di ascoltare. Le domande. Molte altre se ne sarebbero potute fare, sicuramente. Immedesimarsi nel lettore, dal precario all'avversario politico, e porre le loro domande, prima che le mie. Perché tutti, dal precario all'avversario politico, meritano indistintamente il rispetto del lettore. Per far ciò le domande devono essere dirette, non compromesse, sincere, interessate e curiose. Ho avuto piena libertà di porre questioni, senza esclusioni di temi. E non volevo risposte che mi annoiassero, perché avrebbero annoiato anche il lettore. E tra il lettore e l'intervistato, io propendo per chi paga di tasca propria un libro. (p. 377)
  • Da comune cittadino, ed anche da giornalista scrittore mi sono stancato di sentire la solita litania di sempre, quando la Giustizia cerca di fare luce sui politici e gli apparati di Stato. La solita litania di "come vi permettete!" l'abbiamo sentita durante Mani Pulite, l'abbiamo sentita durante le avventure dei "Furbetti del Quartiere", durante l'emergenza rifiuti in Campania con Bassolino e la Iervolino, e di poi anche con Cosentino e i suoi aggregati. Perché c'è una sola differenza tra i lettori, quelli che vanno dal precario all'avversario politico o l'alleato politico: quando la Giustizia chiama, risponde soltanto il primo. E la parola responsabilità non è mai presa in considerazione, perché nessuno si dimette mai. (p. 377)
  • Guardo il panorama sporcato dal cemento che arriva fino al mare, penso al turismo che dura solo quaranta giorni e non tutto l'anno. Osservo il mare calmo di mattina e non riesco a trovare una riposta al fatto che con tre lauree si debba lavorare come commessi. Non tutte le domande hanno risposte. Ma un senso sì. (p. 377)

Io per fortuna c'ho la camorra[modifica]

  • Eppure nel silenzio si sono consumate tante storie di dignità, di disperazione, di sopravvivenza. Già, nel frattempo che si aspettava qualcuno che ci veniva a salvare, o che almeno stava a sentire. L'ascolto avrebbe impedito l'accadere di tanta morte? Non avrebbero potuto giustificare il loro immobilismo: ascoltando. Riescono oggi, come sempre, a giustificarsi, senza mai assumersi la responsabilità. Mai. E migliaia, milioni di cittadini a capo chino hanno continuato a vivere sotto il ricatto della Camorra per anni e per molti anni a venire continueranno a farlo. Stretti nella paura dell'isolamento, dell'incredibile assurdo silenzio che circonda la morte che quotidiana si affaccia a Sud, dove il sole ha sempre freddo. E allora bisogna far sì che la violenza diventi sempre più violenta, pazza, assetata di sangue, per avere lo spazio di un trafiletto. L'omicidio deve diventare il più orrido e torbido possibile, altrimenti non ha diritto ad essere raccontato. Ma la morte non dovrebbe sempre indignare, essere narrata? (p. 18)
  • Il boato. Gli occhi si aprono, il momento del sonno in cui non ti ricordi dove sei. Non proprio un boato, ma una botta secca forte, intensa. Come se venisse da dietro il cuscino. I momenti prima di riprendere coscienza e conoscenza sembrano ore. La bocca è secca, e non pronuncia parola. Poi l'angoscia. Un'altra bomba. Nel cuore della notte. Immobili, basta ascoltare il silenzio per comprendere il significato della paura. Il respiro è silenzioso, quasi che muoversi di più possa far capire che si è svegli, che hai sentito, che sei testimone. (p. 23)
  • Ma per fortuna c'ho la Camorra e allora si spara nel mucchio in mezzo alla strada. O si scatena la rissa contro la polizia, dopo un furto nelle strade di Napoli, e relativo inseguimento. Chiarisco: il delinquente che pochi giorni prima era stato arrestato, viene subito rilasciato per aver patteggiato la pena. Patteggiare una pena è più facile che patteggiare un aumento di stipendio. (p. 38)
  • Morire, in fin dei conti non fa così male. Ma fa paura. Tantissima paura. Poi è solo un colpo, e il buio. E Dio, se c'è, provvede al resto. Le ultime parole di Teresa. Parole ora, avrebbe potuto solo gorgogliare. Altro che parole. Un pensiero, sì, forse sarà stato solo un pensiero prima che scomparisse la paura e poi sopraggiungesse il nulla. (p. 77)
  • Giovanna Curcio è morta il 6 luglio intorno alle 5 di pomeriggio, bruciata viva in una fabbrica di materassi, nel Sud Italia. Nella nostra nazione di contratti a progetto non desta stupore che una giovane di 15 anni lasci la scuola e che trovi una fabbrica di materassi in uno scantinato di un palazzo. Nessuno se ne stupisce. Operaie sfruttate per pochi euri. Eppure di scantinati adibiti a fabbriche ce ne sono in quantità industriale al Sud. Ma nessuno, a quanto pare, proprio nessuno le vede. Sapete, questi posti, gli scantinati, sono luoghi interessanti, alla fine ti ci affezioni pure. D'inverno, mentre piove ti senti al sicuro. D'estate con il caldo, ci trovi un poco di fresco anche. E il padrone scende da sopra per rimproverarti. Senso del potere, scendere da sopra. E quando esci dal lavoro, risali sul marciapiede, ti accorgi che hai passato un altro giorno della tua vita, sotto il livello della strada. (p. 110)
  • "Buona fortuna Crockett, buona fortuna". Ciro è un poliziotto del commissariato di Castel Volturno. Quasi venti anni di servizio in terra di camorra. Mi accoglie con le parole che chiudevano un suo intervento sul giornale del sindacato di polizia. "È come vivere in gigantesco Fort Alamo, e per quanto grande sia, sempre Fort Alamo è. E per noi che ci viviamo, che dobbiamo rimanerci, veramente è il caso di dire: buona fortuna Crockett". (p. 137)
  • Fatto sta che zi' Mario è caduto male, molto male. Qualcuno ha vomitato prima di riuscire a dare una mano al padrone della ditta che bestemmiava come un ossesso: zi' Mario era finito su un tubo dell'impalcatura. Il tubo di ferro gli era entrato dritto nel culo. Anche per cadere devi essere fortunato. Comunque zi' Mario lo hanno tirato su e lo hanno portato di corsa al pronto soccorso. Per la precisione lo hanno lasciato fuori, con uno degli albanesi che alla vista del primo infermiere ha detto: incidente di macchina. (p. 154)
  • "Ma non hai paura di avere a che fare con questa gente?" "Perché dovrei? Mi pagano, sono clienti, e i camorristi veri sono signori, pagano puntuali e non fanno storie. L'avvocato del camorrista lo devi trattare bene, noi siamo la loro possibilità di trovare un cavillo, un timbro mancante e il processo va a rotoli. Noi ci rileggiamo le carte fino a notte fonda per vedere di fargli risparmiare qualche anno dietro le sbarre. Vedi, quelli che stanno dentro per crimini seri, conoscono la legge almeno quanto un bravo avvocato. Ormai hanno passato così tanto tempo dentro e tra le carte processuali che conoscono tutti i minimi dettagli. Quindi sanno anche quanto possono chiedere a un avvocato, in termini di risultati. Se sei un boss riconosciuto di un clan, ma veramente credi che puoi uscire? Poi basta far fare alla legge italiana, che ci mette del suo, ed ecco il miracolo quando meno te lo aspetti. Però un bravo avvocato si prende il merito anche lì". (p. 181)

L'insoluto[modifica]

  • Chiudi gli occhi e vedi meglio, stai zitto e parli meglio, ascolti e dilaga dentro di te un infinito che cancella la pochezza su cui si costruiscono le giornate
  • Noi siamo obbligati a trovare le parole che corrispondano alla sincerità delle cose. È una gran fatica perché abbiamo a disposizione questa specie di cesta piena di parole, e però poi dobbiamo sceglierle con cura.
  • Ascoltare è molto più importante che farsi ascoltare.
  • La suggestione è cosa molto più vera di qualunque realtà.
  • Qualche volta il torto ha avuto ragione. Se ragionassimo con il metro del sentimento comune, del sentimento diffuso, mi sono infilato in tutti i torti possibili.

MafiAfrica[modifica]

  • Indagine su un motorino al di sopra di ogni sospetto. Uno dei tanti abbandonati. Legato con una catena. Ad un palo della luce. Lo scheletro arrugginito. Una storia finita. O quasi. Un pezzo alla volta che scompare. (p. 11)
  • Un filmato di quelli accelerati, i fotogrammi veloci mischiati con una musica di sottofondo. Evocativa. Mani che si avventano. Poi, solo lo scheletro, arrugginito. Forse, dopo, neanche più il palo. Distrutto, bruciato. Alla base. Penzolante. Tenuto sospeso dai fili elettrici. L'immagine perfetta. Il palo è alla mercé del vento. Ma non cade. Mentre tutti si rendono conto che c'è un motorino abbandonato, mi guardo intorno. Castel Volturno. Il mare è vicino. Anche se non si vede. L'odore. Intorno case abbandonate. Sventrate. Come se ci fossero state delle esplosioni. Ma pochi le hanno udite. Canneti, arbusti, polvere, rifiuti, cartelli. Tutto nasconde la vista del mare. Osservo il motorino. Anche gli africani, dopo i casalesi, hanno fatto una scelta. Casale di Principe sede legale. L'Africa sede legale. La sede operativa La Domitiana, Castel Volturno, e le sue terre, strade sterrate tutt'intorno. Mentre i casalesi hanno combattuto le loro guerre con gli altri clan vicini per difendere e imporre la sede operativa, gli africani non ne hanno avuto bisogno. Decenni di permanenza. Inesorabile. Protetta. Utile. A testa bassa hanno subito colpi, lamentele, repulisti generali, promesse di miglioramento e promesse di esodi biblici. Hanno accettato tutto, in silenzio. E sono rimasti. Sempre pochi a rendersene conto, gli altri in ritardo. In ritardo a cercare nel vocabolario aggettivi e sostantivi iperbolici, costrutti intelligenti, paradossi eccentrici, aforismi, per colpire la fantasia. Trovare una bellezza nell'inferno, che non c'è. (13)
  • Amico bello, non sono arrivato qui su un gommone. Tu capisci? Ho scelto Jean come nome perché è elegante. Nome italiano no, io nero che mi chiamo Salvatore o Antonio. Sanno che è falso. Sono arrivato a Napoli con il treno. Semplicemente, cosa credi che sono disperato? L'Italia è sempre stato il paese più facile dove stare. Basta entrare e rimanere. (p. 42)
  • Strage di Okija, Nigeria: la foresta del male presenta le sue viscere ai militari mandati dalla capitale: corpi umani sparsi tra gli alberi, teschi ad ornare piante e sentieri, corpi appesi ai rami, disposti uno vicino all'altro all'interno delle capanne. Il primo giorno di ricognizione fa contare diciassette teschi e trenta cadaveri. Qualche giorno dopo il numero sale a oltre cinquecento corpi sparsi nella foresta del male. Tutti uccisi. Per volere degli dei. I teschi formano disegni divinatori nella terra. I sacerdoti dormono nelle capanne con i morti. Dovunque corpi su corpi. Un sacrificio Muti lungo anni e di proporzioni mai viste prima in Nigeria. I soldati e la polizia arrestano trentacinque sacerdoti, alcuni hanno quasi cento anni di età. (p. 58)
  • Gli italiani vogliono sesso e droga e lo diamo a loro. Non facciamo male a nessuno. (p. 73)
  • "È mai avvenuto un sacrificio umano in Italia, a Castel Volturno?" Rivolgo la domanda a bruciapelo a Osubor Benedict. Mi guarda. Non si scompone di molto. Riposa la forchetta nel piatto. È domenica. Mi ha invitato a pranzo dopo le funzioni della sua chiesa. Nello scantinato si affollano uomini e donne a preparare i piatti. "Devi capire che i sacrifici fanno parte della cultura nigeriana..." "Conosco già questa parte, voglio sapere se è mai avvenuto un sacrificio umano qui da noi, sul territorio italiano" "No" "Perché?" "Finché si spaccia, si fa prostituzione, va bene. Non c'è problema. Ma se facciamo qualcosa in più, allora la situazione diventa di fuoco. Immagina se un giorno c'è un sacrificio umano qui a Castel Volturno. Il giorno dopo c'è la guerra nelle strade, ci darebbero la caccia come agli animali. Certe cose vanno bene, si possono tollerare, le tollerano i bianchi. Altre no" "E perché in Inghilterra, in Irlanda ci sono stati sacrifici umani?" "Perché c'è la piena integrazione. Qui ancora non c'è piena integrazione." (p. 121)
  • Volevo vedere la merce. Ero stato accompagnato in una piccola sala. Pareti spoglie. Colore bianco opaco. Le poltroncine di legno con la gommapiuma. Ero rimasto lunghi minuti in silenzio. Teso. Poi ad un tratto era entrata Sonia. La merce. Dietro di lei una suora di colore. Sonia, ventidue anni, prostituta dall'età di sedici. Aveva denunciato i suoi sfruttatori. E come tutti i sfruttatori, il giro di cui facevano parte portava molto lontano. E promettevano vendetta. La testimonianza di Sonia aveva innescato una grande operazione. Mesi e mesi di lavoro. Centinaia di arresti. Un metro e sessanta di altezza. Un seno prosperoso che le aveva procurato sempre molti clienti. Pelle liscia, colore nero denso. Occhi luminosi. Al momento della sua denuncia aveva fatto guadagnare oltre centomila euro al nuovo gruppo che l'aveva presa in consegna. In soli otto mesi. Ecco la merce. Il punto di partenza. Quello che spesso si dimentica. (p. 208)

Note[modifica]

  1. Da Strozzateci Tutti, p. 256.
  2. Da Padre, p. 89.
  3. Da Passaggio di testimone, p. 65.
  4. Da Lettere ai politici, p. 37.

Bibliografia[modifica]

  • Sergio Nazzaro, Castel Volturno. Reportage sulla mafia africana, Einaudi, Torino, 2013. ISBN 9788858407455
  • Sergio Nazzaro, Dubai Confidential, Elliot, Roma, 2009, ISBN 9788861921016.
  • Sergio Nazzaro, Giustizia e Potere: Luigi de Magistris, Editori Riuniti, Roma, 2009, ISBN 9788835980209.
  • Sergio Nazzaro, Io, per fortuna c'ho la camorra: ventiquattro ore in terra di camorra, Fazi, Roma, 2007. ISBN 9788864110073
  • Sergio Nazzaro, L'insoluto. Piccolo dizionario biografico per ricordare l'Italia di oggi, Città Nuova Editore, 2017. ISBN 9788831175302
  • Sergio Nazzaro, Mafiafrica, Editori Riuniti, Roma, 2010, ISBN 9788835980339.
  • Sergio Nazzaro, Padre, Elliott Edizioni, 2009. ISBN 9788861920804
  • Sergio Nazzaro, Passaggio di testimone. Undici giornalisti uccisi dalla mafia e dal terrorismo, Navarra Editore, 2012. ISBN 9788895756776
  • Sergio Nazzaro, Strozzateci Tutti, Aliberti Editore, 2010. ISBN 9788874246137

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