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Simona Mafai

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Simona Mafai nel 1976

Simona Mafai (1928 – 2019), politica italiana.

Le siciliane

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  • Chi sono infatti «le siciliane»? La studentessa ventenne, assessore comunista alla pubblica istruzione al comune di San Giuseppe Jato o la ragazza che uccide il fidanzato perché si è rifiutato di sposarla? La diciassettenne di Montalbano Elicona che rifiuta il matrimonio riparatore dopo il rapimento o la tredicenne di Custonaci, che si uccide col fucile del padre perché è rimasta incinta e non ha avuto il coraggio di dirlo a nessuno? La ragazza ladra arrestata alla guida di una 500 rubata, componente di una banda di ragazzi rapinatori a Catania o la pittrice presidente del consiglio d'istituto del liceo artistico di Palermo? Parlare di donne siciliane vuol dire parlare di una realtà complessa e contraddittoria, come complessi e contraddittori sono la Sicilia stessa e i fenomeni sovrastrutturali e di costume che costituiscono tanta parte della questione femminile. (pp. 7-8)
  • L'elemento a mio parere dominante di questa linea di tendenza è la posizione decisamente nuova della donna siciliana rispetto al lavoro. Questo, ancora dopo l'ultima guerra, veniva considerato un fatto degradante per la donna e per la famiglia le cui donne lavoravano. Al di sotto dell'insegnante, ogni lavoro veniva ritenuto poco adatto alla donna; ed anche per quel che riguardava l'insegnamento, la famiglia che tratteneva a casa la ragazza diplomata era ritenuta più «affettuosa» di quella che consentiva alla figlia di alzarsi all'alba e affrontare ore di treno o di corriera. Uno slogan anticomunista del 1946 invitava a non votare PCI perché «i comunisti vogliono far lavorare le donne», messaggio che assumeva, per chi lo aveva inventato e lo diffondeva, lo stesso valore minaccioso e traumatizzante delle chiese che i comunisti avrebbero trasformato in sale da ballo e dei bambini che lo Stato avrebbe strappato alle madri. Esso trovava evidentemente un particolare riscontro nella società siciliana di allora, e nella mentalità dei suoi abitanti, uomini e donne. Difficile pensare che un analogo slogan potesse avere successo in Lombardia o in Emilia. (pp. 8-9)
  • «L'omu porta beni, ma la fimmina lu manteni». La divisione dei ruoli tra uomo e donna, in una concezione di questo tipo, è un elemento indispensabile, mutando il quale crolla la costruzione complessiva. È proprio la donna tra l'altro, notano due giovani sociologhi sui Quaderni siciliani[1]che tiene i fili delle relazioni parentali, annota le ricorrenze che servono a consolidare questi vincoli, conteggia i servizi dati e ricevuti. Ma in tal modo la donna non esiste per se stessa, ma solo in quanto fa parte di una famiglia; succube o dominatrice dentro di essa, non importa, o almeno è un elemento secondario. Il fatto decisivo è che la donna siciliana al di fuori della famiglia non può essere concepita. (p. 49)
  • In tutta la letteratura siciliana, moderna e contemporanea, la donna è rappresentata, e non poteva essere diversamente, anima e cuore della famiglia, nel bene e nel male. Ricordiamo per tutte la serena e dolente Mena Malavoglia, sant'Agata, che vive la sua esistenza aderendo a ogni piega delle poche felicità e dei molti dolori della sua famiglia, fino al momento in cui sale «nella soffitta della casa del nespolo, come le casseruole vecchie» e si mette «il cuore in pace, aspettando i figlioli della Nunziata per far la mamma». (p. 49)

Note

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  1. Lillo e Tano Gullo, in Quaderni siciliani, nn. 9-10, 1974.

Bibliografia

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  • Simona Mafai, Le siciliane, in Simona Mafai et al., Essere donna in Sicilia, Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 7-81.

Voci correlate

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