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Sveva Alviti

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Sveva Alviti nel 2024

Sveva Alviti (1984 – vivente), attrice e modella italiana.

Intervista di Walter Veltroni, corriere.it, 23 agosto 2024.

  • Dormivo in un letto a castello, fatto di materiale molto chiaro, per terra un tappeto rosso, in un angolo un cavalluccio di legno, un mucchio di Barbie. E mia sorella Sara, alla quale sono sempre stata molto legata. Vivevo nel quartiere di Monteverde a Roma, da bambina. Tutto mi sembrava enorme, la mia stanza e la strada che vedevo dalla finestra. L'ho lasciata presto, forse troppo presto, quella stanza. Ma i miei vivono ancora lì e mi piace tornarci. Riconosco i suoni, quello dell'acqua del rubinetto o del caffè che prepara mia madre. In quella casa mi sento protetta, avvolta, difesa.
  • Il tennis è stato la mia delizia e la mia croce. Ma non so se sia questo l'ordine giusto. Ero, e sono rimasta testardamente, una ragazza sensibile. Mi piaceva giocare, ma negli ultimi tempi non avevo più la gioia di farlo. In quello sport bisogna essere glaciali, io non lo ero. Brava, ma fragile. Andavo in crisi quando giocavo con quelle che, nelle graduatorie, erano meno forti di me. L'eventualità di perdere con loro mi faceva deragliare. Una volta feci 25 doppi falli, in una assurda partita che poi vinsi. Ma quel giorno posai la racchetta e decisi che non era cosa per me. In quei giorni, davanti al mio liceo, arrivò una signora che distribuiva dei volantini di un'agenzia che promuoveva concorsi di bellezza. Non so perché decisi di partecipare e vinsi tutti i livelli. Per capire che tipo ero, io non sapevo neanche cosa fossero le scarpe col tacco. Ero tennista nell'animo. Però quel vento mi prese e mi ritrovai davanti all'offerta di un'agenzia, quella di Naomi Campbell per capirsi, che mi proponeva un contratto di un anno come modella, a New York.
  • Sono sbarcata a New York e mi sono ritrovata in una città veloce, repentina, spietata. Mi sono ritrovata da sola. Mi hanno messo in un appartamento in cui c'era solo il letto per terra e poco altro. Sono passata dalla mia stanza a quel deserto. Luccicante, ma deserto. Ho festeggiato i miei diciotto anni da sola. A cena, quella sera, c'era il mio agente americano e una ragazza italiana che faceva da interprete. Sia chiaro: so benissimo che tante mie coetanee hanno avuto vite più difficili della mia. E sto solo raccontando, non certo lamentandomi. Perché poi tutto mi è servito per essere la Sveva che sono.

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