Tommaso Moro
San Tommaso Moro, al secolo Thomas More (1478 – 1535), scrittore e politico britannico.
Citazioni di Tommaso Moro
[modifica]- Datemi o Signore [...] un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettete che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama io. Datemi, o Signore, il senso del ridicolo. Concedetemi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un po' di gioia e possa farne parte anche ad altri.[1]
- Gli uomini, se qualcuno gli fa un brutto tiro, lo scrivono nel marmo; ma se qualcuno gli usa un favore, lo scrivono sulla sabbia.[2]
- [Ultime parole] Questa non ha offeso il re.
- This hath not offended the king.[3]
- [Subito prima di essere decapitato per ordine del re Enrico VIII] Rimango fedele servitore del re, ma prima di Dio.[4]
Utopia
[modifica]Avendo di recente l'invittissimo re d'Inghilterra Enrico VIII, ornato di tutte le doti di principe eccellente, avuto questioni di non poca importanza col serenissimo Carlo principe di Castiglia, m'inviò nelle Fiandre come ambasciatore, a trattarle e comporle, e con me, con lo stesso mandato, l'incomparabile Cuthbert Tunstall, che il re poco fa, con generale soddisfazione, ha nominato vicecancelliere.[5]
Citazioni
[modifica]- Ciò che è beneficio per alcuni è venefico per altri. Non si può donare a Tizio senza derubare Caio. (I, p. 52)
- I ricchi sono spietati, malvagi e del tutto inutili alla società, mentre i poveri sono uomini semplici, dediti ad una quotidiana fatica ch'è di grande utilità per lo Stato. Molto più che per essi. (I, p. 51-52)
- Quando in pochi si dividono tra loro la ricchezza, accumulando quanti più beni possono, la maggior parte della popolazione è destinata alla miseria. (I, p. 51)
- Il fondamento essenziale di una società sana è nell'equa spartizione dei beni. (I, p. 51)
- Nonostante le dozzine di norme approvate di giorno in giorno, nessuno è in grado di procurarsi sempre ciò che gli serve né di difendere ciò che gli appartiene, e nemmeno in molti casi di distinguere le cose proprie da quelle altrui. (I, p. 51)
- Se un re è talmente odiato e disprezzato dai suoi sudditi da non riuscire a dominarli se non riducendoli alla miseria attraverso la violenza, l'estorsione, la confisca d'ogni bene, allora è meglio che abdichi. (I, p. 46)
- Voi lasciate che crescano fin da ragazzi in condizioni tali da essere fatalmente destinati ad una vita criminale, poi li punite. In altre parole, punite quei ladri che voi stessi avete creato. (I, p. 32)
- Ed è più facile che uno spirito fiero scelga di fare il ladro anziché il mendicante. (I, p. 31)
- Le pecore, queste miti creature, alle quali basta solitamente così poco cibo, stanno diventando talmente voraci ed aggressive, a quel che ho appreso, da divorare persino gli uomini. Ingoiano campi, case, città. In tutte le regioni del regno nelle quali si produce una lana più fine, quindi più costosa, nobili e proprietari terrieri – e perfino alcuni abati, nonostante la loro santità – si danno da fare per recintare le terre e destinarle al pascolo, impedendone la coltivazione. Così, non bastando loro le rendite e i prodotti che gli avi ricavavano dai poderi, e non sentendosi sufficientemente appagati dal privilegio di vivere negli agi senza essere di alcuna utilità agli altri, mandano in rovina borghi e case, lasciando in piedi solo le chiese perché servano da stalla alle greggi. (I, p. 30)
- Uomini, donne, bambini, vedove, orfani, genitori con prole, famiglie numerose ma non ricche – poiché l'agricoltura richiede la forza di molte braccia – sono costretti a lasciare le proprie case, senz'avere un posto in cui rifugiarsi, dopo avere svenduto per niente le loro povere cose. E dopo avere girovagato e speso tutto, che cosa resta loro da fare se non rubare – per poi essere, giustamente, s'intende, giustiziati – o darsi all'accattonaggio? A parte il fatto che anche per gli accattoni e per i vagabondi è previsto il carcere. Ed è inutile cercare lavoro, poiché non c'è più bisogno di loro. (I, p. 30)
- Servi, operai e perfino contadini, cittadini insomma di tutte le classi, manifestano gusti stravaganti nel cibo e nel vestire. Pensate a quanti bordelli ci siano, inclusi quelli che si celano dietro le insegne di taverne e birrerie, e a quale spreco di denaro conducano i giochi d'azzardo, i dadi, le carte, le bocce, il tennis, gli anelli e così via. Non è anche questo un incentivo a rubare? Liberatevi dunque da questi mali rovinosi e ordinate che i centri rurali vengano ricostruiti da chi li distrusse, o siano comunque affidati a gente che voglia riattivarli. Impedite che la corsa dei ricchi all'accaparramento possa continuare, ponete fine a questo loro privilegio. Riscattate la gente dall'ozio rilanciando l'agricoltura e riformando il mercato della lana. Date agli sfaccendati qualcosa di utile da fare. La miseria rende ladri, e quelli che per ora sono soltanto dei disoccupati saranno presto anche ladri. È inutile, se non sradicate tali mali, punire i ladri ricorrendo a una giustizia più eclatante che giusta o efficace. In definitiva, voi lasciate che crescano fin da ragazzi in condizioni tali da essere fatalmente destinati ad una vita criminale, poi li punite. In altre parole, punite quei ladri che voi stessi avete creato. (I, p. 31-32)
- [In Utopia] la parentela della natura tiene le veci di alleanza, e meglio e più saldamente si legano fra loro gli uomini con sentimenti amichevoli anziché con trattati, con lo spirito anziché con parole. (II, "Sui trattati")[6]
- Così facilmente s'acquisterebbe il vivere, se il desio di accumulare denari non impoverisse gli altri.
- Egli [Platone], uomo sapiente, capiva chiaramente che l'equa distribuzione dei beni è la condizione sine qua non perché un paese sia ben governato ed è evidente che ciò non si può realizzare in uno Stato in cui i beni sono proprietà di singole persone.[7]
- Ma giudicarono che non fusse convenevole voler con forza e minacce sforzare alcuno a credere quello che tu credi per vero.
- Mi sembra che dovunque vige la proprietà privata, dove misura di tutte le cose è la pecunia, sia alquanto difficile che mai si riesca ad attuare un regime politico basato sulla giustizia o sulla prosperità.
Incipit di Secondo Libro di quel parlamento che fece Rafaello Hytlodeo de l'ottimo stato de la republica Utopiense
[modifica]La isola degli Utopii, larghissima, nel suo mezzo si stende dugentomila passi e per lungo tratto non si stringe molto, ma ver la fine d'amendue i capi si va ristringendo, i quai piegati in cerchio di cinquecentomila passi, fanno l'isola in forma de la nuova luna. Questi suoi corni dal mare combattuti sono distanti uno da l'altro circa undeci miglia, e il mare, tra queste braccia dai venti difeso, fa come un piacevol lago e commodo porto, di onde per suo bisogno manda le navi agli altri paesi; la bocca da una parte con guadi e secche, da l'altra con aspri sassi, mette spavento a chi pensasse d'entrarvi come nimico. Quasi nel mezzo di questo spacio è un'alta rupe, la quale per ciò non è pericolosa, sopra la quale in una torre da loro fabricata tengono il presidio; molte altre rupi vi sono nascoste e perigliose.
Citazioni su Tommaso Moro
[modifica]- Austero nella virtù, santo ne' costumi, senza che ne soffrisse la gentilezza del suo carattere, o ne venisse minorata quella vispa allegria a cui per natura inclinava, soleva egli scherzare fra le vicende della fortuna or prospera or avversa, né mai lo si vide orgoglioso allorquando in alto seggio seduto, o mesto dopo essere ricaduto nella povertà e nel ritiro. (David Hume)
Note
[modifica]- ↑ Dalla Preghiera del buonumore; citato in Messaggero di Sant'Antonio, maggio 2010, p. 38). (Apocrifo moderno, come dimostrato da Germain MARC'HADOUR nel suo articolo Prière de Thomas More, un apocryphe, pubblicato su Moreana Vol. 1 – N° 4 – novembre 1964, pagg. 44-45.
- ↑ Da Storia di re Riccardo III; citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009, p. 797. ISBN 9788811504894
- ↑ Moro pronunciò queste parole spostando la propria barba in modo che non venisse scalfita nella decapitazione. Citato in Francis Bacon, Apophthegms New and Old, 1625, n. 22; citato in Elizabeth M. Knowles, The Oxford Dictionary of Quotations, Oxford University Press, 1999, p. 457. ISBN 0198601735
- ↑ Citato in Claudio Sabelli Fioretti, L'uomo che non c'è, Alberti Editore.
- ↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
- ↑ Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
- ↑ Da Utopia, traduzione di Andrea Balduzzi, Fabbri, 2001, p. 231.
Bibliografia
[modifica]- Thomas More, Secondo Libro di quel parlamento che fece Rafaello Hytlodeo de l'ottimo stato de la republica Utopiense, traduzione di Ortensio Lando, in "Utopia", a cura di Luigi Firpo, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1971.
- Thomas More, Utopia, traduzione di Andrea Balduzzi, Fabbri, 2001.
Voci correlate
[modifica]- Un uomo per tutte le stagioni – film 1966
Altri progetti
[modifica]- Wikipedia contiene una voce riguardante Tommaso Moro
- Wikisource contiene opere di Tommaso Moro
- Commons contiene immagini o altri file su Tommaso Moro