Tonino Perna

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Tonino Perna

Tonino Perna (1947 – vivente), economista, sociologo e politico italiano.

Fair trade[modifica]

  • Il capitalismo finanziario, esasperando il processo di autolegittimazione dell'accumulazione di capitale, ha creato un baratro tra i «punti alti» del sistema (le grandi istituzioni finanziarie, i mercati borsistici ecc.) e il resto della società. Un baratro che può portare alla catastrofe, ma può anche provocare una presa di coscienza per rifondare il rapporto tra economia-denaro-società. (cap. II, 3; p. 47)
  • Se tutte le merci, dunque, sembrano destinate a seguire il cammino della regina (la moneta), a passare attraverso successive metamorfosi per liberarsi di tutta la materialità del valore d'uso, per divenire puro elemento funzionale, fungibile e interscambiabile, dobbiamo ricordare che questo processo non è a somma nulla, ma comporta una crescita simmetrica di valori d'uso negativi, di danni crescenti per l'uomo e per l'ambiente. Ne deriva che è diventata urgente la separazione, il divorzio, tra il «destino della merce» e il «futuro dell'uomo». (cap. II, 4; p. 50)
  • Il sistema capitalistico nella fase della moneta-segno è diventato una sorta di grande casinò dove tutti possono tentare la fortuna e salire sul palco dei vincitori. (cap. II, 5; p. 54)
  • Solo rimettendo in discussione il mercato capitalistico, le sue regole e le sue cosiddette «leggi», è possibile rispondere al bisogno di giustizia e di senso che cresce in ogni angolo della Terra. Ma, per essere fondante, questa ricerca deve partire dai soggetti sociali che hic et nunc cercano risposte alla disgregazione socioculturale, al degrado ambientale, al disastro provocato dalla mercificazione globale. Altrimenti, non faremo altro che lavorare, sia pure involontariamente, per estendere l'area della «mercificazione» a un nuovo bisogno. Per l'appunto: l'etica. (cap. III, 1; p. 59)
  • Pur tenendo conto di questi limiti e contraddizioni, la straordinaria crescita delle ONG, specie nel Sud del mondo, va letta come una delle risposte sociali agli effetti destrutturanti del mercato mondiale, ma non rappresenta ancora una alternativa globale alla polarizzazione ed esclusione sociale prodotta dal modello di sviluppo dominante. (cap. III, 3; p. 64)
  • In sostanza, possiamo affermare che gran parte del mondo del non profit è il frutto di un processo di secolarizzazione della fede rivoluzionaria e degli ideali e bisogni espressi dal movimento ecologista e femminista. Qui sta, a un tempo, la sua forza e la sua debolezza, come cercheremo di dimostrare. [...] È l'interiorizzazione dei valori capitalistici che porta alla fine dell'esperienza dell'impresa non profit. (cap. III, 4; pp. 68 sg.)
  • Non è un caso che fu proprio un gruppo di cattolici ad avviare, nel 1967, attraverso diverse esperienze sul campo, agendo in maniera pragmatica, sbagliando e riprovando, il primo nucleo di fair trade, che in pochi anni si sarebbe esteso a tutta l'Europa settentrionale. E non è un caso che questa «innovazione» nel modo di concepire la solidarietà internazionale sia nata proprio in Olanda, il paese in cui per primo, in Europa, si sentì il fervento del Concilio Vaticano II. Il cosiddetto «nuovo catechismo olandese», che tanto clamore e paura suscitò al vertice della Chiesa di Roma, era il frutto di un movimento di credenti portatori di grandi istanze d'impegno sociale e di libertà di espressione. È in questo clima di fervore e creatività del mondo cattolico olandese, poi esteso ad altri paesi europei, che va collocata la prima esperienza dei giovani di Kerkrade.
    Se da questo seme, lanciato trent'anni fa, è nata una grande pianta, è dovuto al fatto che quel gruppo di credenti non si poneva l'obiettivo di salvare il mondo o di realizzare una grande a a tutti i costi, ma partiva da una domanda semplice e sempre attuale: che cosa posso fare io, nel mio quotidiano, per contribuire a rendere meno ingiusto questo sistema economico? (cap. IV, 1; pp. 81 sg.)
  • Ciò che accomuna Owen, il socialismo cristiano e i socialisti romantici è l'idea che più che prendere il potere bisogna trasformare il mondo con la strategia dell'esempio e con i cambiamenti nella vita quotidiana. Questa strategia è stata messa fuori gioco dalla crescente egemonia che il marxismo ha avuto su tutti i momenti di opposizione, sugli intellettuali di sinistra e sulla concezione del potere. (cap. IV, 2; p. 85)
  • In trent'anni di storia il movimento del fair trade ha innestato, sul nucleo culturale originario, altri contributi provenienti dal movimento ambientalista e dal movimento per i diritti umani. [...] Resta comunque forte il «focus primario» che ha fatto nascere il movimento per un commercio equo: la libera associazione dei produttori e dei consumatori per la ricerca di un prezzo dei prodotti del lavoro umano che risponda di più ai bisogni vitali e meno alle cosiddette leggi di mercato.
    Questo obiettivo di fondo avvicina il movimento del fair trade ad alcune istanze che furono patrimonio del «socialismo utopistico», in particolare al pensiero proudhoniano che metteva al centro del suo programma la libera associazione tra piccoli produttori. Cambia però la strategia per arrivare a questo obiettivo comune. Per Proudhon, come per altri esponenti del «socialismo utopistico», bisognava eliminare la proprietà e abbattere lo Stato per realizzare l'anarchia positiva, cioè una società a economia decentralizzata e non autoritaria, in cui i lavoratori sarebbero stati i soli padroni della loro produzione, nonché i soli padroni di tutta la società. Diversamente, il movimento del fair trade punta a incidere sia sul mercato capitalistico, sia sulle istituzioni, attraverso un meccanismo di campagne di sensibilizzazione e lobbying, e, nello stesso tempo, costruendo hic et nunc delle alternative concrete. (cap. IV, 2, p. 86)
  • Gli oltre 3 500 world shops oggi presenti in 14 paesi europei rappresentano il primo serio tentativo di «demercificazione» nell'era della globalizzazione, di recupero del valore sociale della produzione, di creazione di una grande rete di relazioni tra i produttori del Sud e i cittadini del Nord (ma anche come vedremo, tra produttori e consumatori in determinati mercati locali). (cap. IV, 3; p. 90)
  • L'idea del giusto prezzo – sosteneva Sombart – domina la vita economica fino alla fine dell'epoca del primo capitalismo. Se nel Medioevo era dominante una teoria dei prezzi su base etica, dal Rinascimento fino alla nascita della scienza economica moderna si afferma gradualmente una teoria dei prezzi su base «naturalistica», vale a dire su una concezione di «prezzo secondo natura». (cap. IV, 5; p. 97)
  • La prima questione che il movimento del fair trade ha affrontato è quella della riduzione dello scarto informativo tra produttori e consumatori, e quindi del margine di extraprofitto che ne ricavano le imprese multinazionali, i veri protagonisti del commercio internazionale. (cap. IV, 5; p. 99)
  • Solo poche organizzazioni dei produttori del Sud del mondo potrebbero resistere, a medio termine, all'azione disgregatrice del mercato capitalistico su scala mondiale, alla sua congenita spinta alla polarizzazione di conoscenza, informazione, know-how ecc. Se invece il movimento del commercio equo concorresse a creare istituzioni capaci di «regolare» – sul piano sociale e ambientale – il mercato mondiale, sicuramente il quadro cambierebbe. Il reale rispetto della clausola sociale e ambientale nel commercio internazionale segnerebbe una vittoria, per i movimenti popolari, pari a quella segnata in Europa dal movimento dei lavoratori con la nascita del welfare state. (cap. V, 1; p. 114)
  • In sintesi, si può dire che la sfida per il fair trade consiste non nel far entrare nel circuito della moda i prodotti del Sud del mondo, stravolgendone il patrimonio culturale, ma nel fare diventare un «bisogno» la scelta etica del consumatore. (cap. V, 3; p. 123)
  • La verità è che nel rapporto produzione-consumo si cela un conflitto reale d'interessi e di bisogni divergerti. La nascita di grandi organizzazioni dei consumatori in tutto il mondo non ha forse una base materiale nel conflitto produzione-consumo che è intrinseco al modo di produzione capitalistico?< br />Con lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate, con la crescita del valore aggiunto alla produzione e commercializzazione, lo scarto informativo, tra venditori e consumatori, tende ad aumentare inesorabilmente. Lo sganciamento spaziale dei luoghi della produzione rispetto a quelli del consumo rafforza questo processo, procurando, nello stesso tempo, più profitti alle grandi imprese e maggiori perdite (in termini di reddito, qualità, salute ecc.) al consumatore. (cap. V, 4; p. 128)
  • La storia del fair trade (come della finanza etica, del microcredito ecc.) che abbiamo analizzato in questo volume ci mostra come sia possibile ottenere grandi effetti, sul piano socio-economico e culturale, a partire da scelte minoritarie nell'area del consumo o del risparmio. Mentre si continua a predicare che per uscire dalla fame e dalla miseria i Sud del mondo hanno bisogno di grandi investimenti, di aumentare la produttività, di lavorare di più e meglio, le esperienze della finanza etica ci fanno toccare con mano come, attraverso un uso sociale della moneta, sia possibile con piccoli capitali rispondere a grandi bisogni. Così, la pratica del fair trade ci dimostra come le condizioni di vita delle popolazioni dei Sud del mondo non migliorano in base a in aumento delle esportazioni, ma modificando radicalmente le ragioni dello scambio. E ancora, il fair trade ci fa vedere come la scelta etica di una minoranza cosciente di consumatori del Nord possa migliorare le condizioni di vita dei produttori dei Sud del mondo, molto di più dei grandi e costosi programmi di sviluppo finanziati dalle grandi istituzioni internazionali. (cap. VI, 3; p. 157)

Bibliografia[modifica]

  • Tonino Perna, Fair trade. La sfida etica al mercato mondiale, Bollati Boringhieri, 1998. ISBN 9788833910925

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