Utente:Raoli/Tiziano

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Template:Rif/22 P. Aretino

lettera a Tiziano, maggio 1544

[...] appoggiate le braccia in sul piano de la cornice de la finestra, [...] mi diedi a riguardare il mirabile spettacolo che facevano le barche infinite, le quali piene non men di forestieri che di terrazzani, ricreavano non pure i riguardanti ma esso Canal Grande, ricreatore di ciascun che il solca [...] E mentre queste turbe e quelle con lieto applauso se ne andavano a le sue vie, ecco ch'io, quasi uomo che fatto noioso a se stesso non sa che farsi de la mente non che dei pensieri, rivolgo gli occhi al cielo; il quale, da che Iddio lo creò, non fu mai abbellito da così vaga pittura di ombre e di lumi. Onde l'aria era tale quale vorrebbono esprimerla coloro che hanno invidia a voi per non poter esser voi. Che vedete, nel raccontarlo io, in prima i casamenti, che benché sien pietre vere, parevano di materia artificiata. E di poi scorgete l'aria, ch'io compresi in alcun luogo pura e viva, in altra parte torbida e smorta. Considerate anco la maraviglia ch'io ebbi dei nuvoli composti d'umidità condensa; i quali in la principal veduta mezzi si stavano vicini ai tetti degli edificii, e mezzi ne la penultima, peroché la diritta era tutta d'uno sfumato pendente in bigio nero. Mi stupii certo del color vario di cui essi si dimostrano: i più vicini ardevano con le fiamme del foco solare; e i più lontani rosseggiavano d'uno ardore di minio non così bene acceso. Oh con che belle tratteggiature i pennelli naturali spingevano l'aria in là, discostandola dai palazzi con il modo che la discosta il Vecellio nel far dei paesi! Appariva in certi lati un verde-azurro, e in alcuni altri un azurro-verde veramente composto da le bizarrie de la natura, maestra dei maestri. Ella con i chiari e con gli scuri sfondava e rilevava in maniera ciò che le pareva di rilevare e di sfondare, che io, che so come il vostro pennello è spirito dei suoi spiriti, e tre e quattro volte esclamai: "Oh, Tiziano, dove sète mo?".


P. Pino

Dialogo di pittura, 1548

Bronzino è un perito maestro, e mi piace molto il suo fare, e li son anco parzial per le virtù sue, ma a me più sodisfa Tiziano, e se Tiziano e Michiel Angelo fussero un corpo solo, over al disegno di Michiel Angelo aggiontovi il colore di Tiziano, se gli potrebbe dir lo dio della pittura, sì come parimenti sono anco dèi propri...


L. Dolce

Dialogo della pittura, 1557

A Tiziano solo si dee dare la gloria del perfetto colorire: la quale, o non ebbe alcun degli antichi; o, se l'ebbe, mancò, a chi più a chi manco, in tutti i moderni: perciocché, come io dissi, egli cammina di pari con la natura: onde ogni sua figura è viva, si muove, e le carni tremano. Non ha dimostrato Tiziano nelle sue opere vaghezza vana, ma proprietà convenevole di colori; non ornamenti affettati, ma sodezza da maestro; non crudezza, ma il pastoso e tenero della natura: e nelle cose sue combattono e scherzano sempre i lumi con l'ombre, e pèrdono e diminuiscono con quell'istesso modo che fa la medesima natura.


G. Vasari

Le vite, 15682

Ma è ben vero che il modo di fare che tenne in queste ultime [opere] è assai diferente dal fare suo da giovane. Con ciò sia che le prime son condotte con una certa finezza e diligenza incredibile e da essere vedute da presso e da lontano, e queste ultime, condotte di colpi, tirate via di grosso e con macchie di maniera, che da presso non si possono vedere e di lontano appariscono perfette. E questo modo sì fatto è giudizioso, bello e stupendo, perché fa parere vive le pitture e fatte con grande arte, nascondendo le fatiche.


G.P. Lomazzo

Idea del Tempio della pittura, 1590

Ma fra tutti risplende come sole fra piccole stelle Tiziano, non solo fra gli italiani, ma fra tutti i pittori del mondo, tanto nelle figure quanto nei paesi, aguagliandosi ad Apelle, il quale fu il primo inventore dei tuoni, delle pioggie, dei venti, del sole, dei folgori e delle tempeste. E spezialmente esso Tiziano ha colorito con vaghissima maniera i monti, i piani, gli arbori, i boschi, le ombre, le luci e le inondazioni del mare e dei fiumi, i terremoti, i sassi, gli animali e tutto il resto che appartiene ai paesi. E nelle carni ha avuto tanta venustà e grazia, con quelle sue mischie e tinte, che paiono vere e vive, e principalmente le grassezze e le tenerezze che naturalmente in lui si vedono. La medesima felicità ha dimostro nel dar i colori ai panni di seta, di velluto e di broccato, alle corazze diverse, agli scudi e ai giacchi e ad altre simili cose...


C. Ridolfi

Le meraviglie dell'arte, 1648

Viene parimente tenuto che in questo luogo [chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, pala di San Pietro Martire] Tiziano dasse il maggior saggio della sua virtù. Considerisi la collocazione di qualunque cosa ivi rappresentata o la qualità del colorito impareggiabile, ammirandosi in quella veramente divina pittura una mistione dei colori che dimostra la stessa verità, onde ogni parte rappresenta in modo la simiglianza della natura, che alletta l'occhio con industrioso inganno; o pur considerisi la figura del santo martire, nel cui volto si ammirano i pallori della morte, o la fierezza del barbaro omicida, non men dotto per l'intelligenza delle parti e de' muscoli a' luoghi loro rassegnati, o agli effetti della paura del fuggitivo compagno, a segno che, nell'entrar che si fa in quell'augusto tempio, par in effetto di vedere un fatto naturale e il proprio sito d'una boscaglia, ove di lontano nelle cime de' monti allor che, sparita l'aurora bianca e vermiglia, incomincia a sorgere a poco a poco il sole, strisciando di dorati tratti l'azzurrino cielo, avendo tolta per apunto quella veduta da' monti del Cenedese, che vedeva dalla propria abitazione.


Ch. de Brosses

Lettres familières écrites d'Italie en 1739-1740 [1929]

Alla Scuola della Carità [a Venezia], la Vergine Maria che sale i gradini del tempio, dipinto del primo periodo, e con esso il San Pietro martire [distrutto], passano per i due più belli di Tiziano. A me [la prima delle due opere] ha dato più piacere dello stesso San Pietro martire; e il San Lorenzo dei Gesuiti me ne ha dato più che l'una e l'altro. Tuttavia questo, che appartiene alla seconda maniera di Tiziano, grazie ai colori la spunta di parecchio sul San Lorenzo, il quale non è che della sua terza maniera, quando ormai il colorito si era fatto troppo vago e negligente.


A.M. Zanetti

Della pittura veneziana e delle opere pubbliche de' veneziani maestri, 1771

Pochi e comuni colori erano su la tavolozza di Tiziano: onde la maggior vaghezza de' dipinti suoi nasceva da' contrapposti [...] Un bianco candido panno vicino a una figura ignuda ne accendea tanto la tinta, che dei più vivi cinabri parea impastata, quando niente più aveavi adoperato Tiziano che la semplice terra rossa, con un poco di lacca verso i contorni e nelle estremità. Simile effetto faceano alcuni oggetti assai scuri, di tinte forti, e neri talora; e oltre all'imbellire il vicino colore, dava l'uno e l'altro campo molta forza a quelle figure, che, come prima abbiam detto, erano lavorate con sole insensibili mezze tinte, senza ombre gagliarde. Quindi fu che la vaghezza delle opere di Tiziano mai non oltrepassò la verità; e tanto più era ed è universalmente gradita quanto più congiunta al gran principio della natura [...] Credesi che Tiziano col tempo mutasse maniera; ma, sia con pace di chi lo scrisse, non può questo propriamente dirsi. Il 'mutar maniera' è termine dell'arte con cui significar si vuole cangiamento d'azione nell'immaginare: cosicché alla molta forza e calore sottentri la vaghezza e l'allegria, e per il contrario, o per altra simile variazione. Tiziano, uscendo dalla scuola di Gian Bellino, qualche principio ritenne di quel modo di pensare. Vide dopo Giorgione, e si sciolse allora in lui l'impedito ingegno dai troppo rigidi precetti. Nel momento istesso diè principio a quello stile che conservò sempre fino alla senile età, in cui, mancando la pazienza e la vista, non possono condursi le opere con molto amore. Quindi ei si ridusse a dipingere a colpi di pennello, unendo a fatica le tinte; ma non si cangiò perciò mai il carattere de' suoi pensieri e il metodo dell'arte sua: né si può dire se non che lo stile di Tiziano fu, secondo i varii tempi, più e meno amoroso e ridotto.


A.R. Mengs

Opere, 1783

Era Tiziano sommamente facile nel maneggiare il pennello, non mai negligente, anzi i suoi tocchi sono molto disegnati. L'effetto e la forza del chiaroscuro ne' suoi quadri non consiste nell'oscurità delle ombre o nella chiarezza de' lumi, ma nella disposizione de' colori locali [...] Ebbe Tiziano molto poco d'ideale nel disegno. Nel chiaroscuro n'ebbe abbastanza per intender la natura, non però tanto come Correggio, poiché il di lui chiaroscuro non è che all'ingrosso e generale. Nel colorito fu molto più ideale per aver ben conosciuto il carattere e il grado di ciascun colore, come anche il luogo proprio d'applicarlo. La scienza di porre un panno rosso in preferenza d'un azzurro ecc. non è sì facile come si crede; e questo è quello che seppe far Tiziano a maraviglia. Egli intese anche benissimo l'armonia de' colori, che è una parte ideale, e che non si vede nella natura se prima non è compresa dalla immaginazione. Lo stesso dico del chiaroscuro, poiché la degradazione de' lumi non ha in pittura la stessa forza che nella verità: il medesimo accade per l'armonia e per i colori, dove la pura imitazione non serve a niente. Perloché Tiziano essendosi reso tanto eccellente in queste parti, si conchiude che ebbe in esse molto ideale. In quanto alla invenzione fu molto semplice, e ordinariamente non vi pensò al di là del necessario, e per conseguenza non vi pose niente d'ideale.


W. Goethe

Italienische Reise, 1786-1787

La mia antica dote caratteristica di contemplare le cose con l'occhio del pittore che più m'impressiona, mi ha condotto a una riflessione. E chiaro che l'occhio si forma sugli oggetti che abbiamo più familiari da giovani, ed è da dire che i pittori veneziani vedevano le cose sotto un aspetto più limpido, più sereno che chiunque altro al mondo. Noi, che per lo più abbiamo dovuto vivere in zone fangose o polverose, senza colori, cupe di aspetto, e per di più molto spesso rinchiusi in appartamenti angusti, noi non riusciamo a formarci un'idea di quelle tinte calde, brillanti. Quando mi trovo a vagare sulla laguna alla luce di un sole splendido, e contemplo i miei gondolieri curvarsi sul remo e poi emergere, con i colori vivaci dei vestiti, dal verde del mare nell'azzurro dell'aria, posso veramente sostenere di aver sott'occhio un dipinto di scuola veneziana: la luce del sole fa brillare i colori; le onde sono così lievi che - si direbbe - potrebbero a loro volta fungere da luce; e lo stesso si può asserire delle tinte del mare, dove tutto è chiaro, limpido, traslucido, sia l'onda spumeggiante sia gli sprazzi luminosi, fra i quali occupo un punto insignificante. Tiziano e Paolo Veronese possedevano al massimo grado tale chiarezza, tale limpidità di colori; e quando questa fa difetto nelle loro opere, si può affermare senza tema di smentite che esse soffrirono oppure vennero restaurate.


L. Lanzi

Storia pittorica della Italia, II, 1795-1796

...egli non fu di que' veneti che scompagnarono la prestezza dalla riflessione e dalla diligenza, ancorché della sua prestezza ancora si deggia scrivere e parlar con riserva. Ebbe certamente franchezza di pennello, e senza scapito del disegno la usò nelle pitture a fresco che restano in Padova, e che in qualche modo compensano la perdita fattane dalla Capitale: qui nulla vi è in questo genere di conservato, fuorché un S. Critoforo in Palazzo Ducale, figura stupenda pel carattere e per l'espressione. Non è da cercarsi la stessa franchezza ne' quadri a olio. Egli non ne facea pompa, e molta fatica durava per giungere alla perfetta intelligenza: anzi, sbozzate prima le opere con certa libertà e coraggio, lasciavale così da banda per qualche tempo, e tornava poi con occhio fresco ed attento a purgarle d'ogni difetto. La nobil casa Barbarigo fra un tesoro di sue pitture condotte a finimento ha pure alcuni di questi abbozzi. Nel perfezionare i lavori si sa che durava fatica grande, e che avea insieme premura grande di nascondere tal fatica; e nelle sue cose trovansi certi colpi sì spiritosi e sicuri, che incantano i professori, che risolvon le parti lungamente ricercate e che imprimono in ogni oggetto il vero carattere di natura. Così praticò nell'età migliore: ma verso il fine della sua vita, che gli fu tolta dalla peste quando un solo anno gli restava a contare un secolo, la vista, e la mano indebolite lo condussero a una maniera men fine, dipingendo a colpi di pennello e unendo a fatica le tinte.


J. Burckhardt

Der Cicerone, 1855

Il tratto divino in Tiziano è tale, che egli attribuisce agli uomini e alle cose quell'armonia dell'esistenza che, secondo la loro natura, in loro dovrebbe essere contenuta o che già in loro vive, ma ancora oscuramente e senza ben apparire. Tutto quello che nella realtà è disgregato, disperso, contingente, egli lo rappresenta compiuto, libero, felice [...] Con grande evidenza ciò si manifesta nei ritratti [...] di fronte ai quali ci si dimentica quasi sempre di domandarsi come mai il maestro abbia potuto dar vita, soltanto in base a tratti fuggenti e nascosti, a simili esistenze grandiose.


E. Delacroix

Journal, 1854 e 1857

Tiziano è uno di coloro che si avvicinano maggiormente allo spirito degli antichi [...] in tutti gli altri si direbbe che ci sia un grano di pazzia: lui solo è equilibrato e padrone di sé, della sua esecuzione, della facilità che non lo domina mai e di cui non fa sfoggio. [...] Egli commuove, credo, non per la profondità delle espressioni, né per una grande comprensione del soggetto, ma per la semplicità e la mancanza di affettazione. In lui le qualità pittoriche sono portate al punto massimo: quel che dipinge, è dipinto: gli occhi guardano e sono animati dal fuoco della vita. Vita e ragione sono presenti ovunque.


H. Taine

Voyage en Italie, 1866

Ha avuto il dono unico di fare Veneri che sono donne reali, e colossi che sono uomini altrettanto veri: voglio dire, il talento d'imitare le cose così da vicino perché l'illusione abbia a prenderci, e di trasformarle così a fondo da svegliare il sogno dentro di noi. Nella stessa beltà nuda ha espresso la cortigiana, l'amante d'un patrizio, la figlia del pescatore indifferente o voluttuosa, e al tempo stesso una potente figura ideale [...] Grazie a tale comprensione della realtà, il campo dell'arte si trova decuplicato: il pittore non è più costretto, come i maestri classici, a semplici, impercettibili variazioni delle quindici o venti gamme di tipi canonici; l'infinita varietà della natura, con i suoi alti e bassi, gli è aperta, i contrasti più forti gli stanno a portata di mano, ciascun'opera è altrettanto ricca che nuova, e lo spettatore trova in lui, come in Rubens, un'immagine completa del mondo, una fisiologia, una storia, una psicologia in iscorcio. Ai piedi del piccolo, sublime Olimpo su cui siede qualche figura greca [...] il pittore ha preso possesso della grande terra popolata dove si rinnova incessante lo sboccio delle cose. L'accidentale, l'irregolare, tutto gli serve: sono una parte delle forze che fanno colare la linfa umana; le bizzarrie, le deformazioni, gli eccessi presentano un loro interesse così come la fioritura e gli splendori; suo unico bisogno è di sentire ed esprimere la spinta irresistibile della vegetazione interna che solleva la materia bruta e la drizza con forme vive sotto il calore del sole.


G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe

Tiziano, la sua vita e i suoi tempi, II, 1878

Vano sarebbe il voler ritrovare la poesia e la freschezza dei Baccanali in queste ultime creazioni del pennello di Tiziano. Lo splendore e la fiamma degli anni giovanili avevano abbandonato insieme con l'uomo l'artista. Le sottigliezze infinite di pensiero e di mano che costituiscono tutta la leggiadria del Baccanale e dell'Arianna sono interamente sparite nella Calisto; ma qui trovansi pure eloquenti contrassegni di un'arte più formata e piena di esperienza, che i Baccanali non hanno. E nondimeno assai più piacevole e di gusto migliore è la eleganza dello stile primiero di quello dell'ultimo periodo. Brillanti, splendidi sempre, sono senza dubbio tutti i lavori del nostro grande Maestro; ma nella ricchezza e nella splendidezza della prima età è però un qualche cosa di sì misteriosamente ed incomparabilmente leggiadro, che questo eccede di gran lunga l'arte dell'ultimo periodo dell'artista [...] Lo stile ultimo del Pittore cadorino, quantunque nelle forme e nelle proporzioni come nel colorito conservi tuttavia una grande bellezza, manca però di quel profumo di giovinezza, di vita e, quasi diremmo, di salute, che è sì maraviglioso nello stile primitivo. Mai più che a questa sua avanzata età, non era Tiziano pervenuto ad una sì perfetta conoscenza de' segreti della natura: mai meno che ora non eragli mestieri di ricorrere al modello: ciò che dalla sua mente si concepiva, usciva dalla sua mano, quasi come dal cervello di Giove usciva Minerva. La potenza del Vecellio era il prodotto di lunghi anni di esperienza, che rendevano ogni tratto del suo pennello sicuro ed espressivo. Ma gli anni lo avevano, nel medesimo tempo, fatto compiutamente realista, e la pratica avevagli dato questa facilità di riprodurre con grande maestria il vero a grandi tratti, ma non è sempre fedele nel rendere i particolari, come si trova nello stile, più studiato e forse più timido, del primo periodo della sua splendida carriera. Sarebbe per altro un errore il credere che l'apparente facilità di queste pitture del suo ultimo tempo fosse il prodotto di una mera rapidità di concezione e di esecuzione: che anzi pensiamo, che il nostro Pittore dedicasse ad esse e tempo e studio più di quello che non si crede, ma che, specialmente in questi dipinti, si ha una delle sue maggiori destrezze, quella di saper celare questo sforzo che egli continuamente faceva, sotto le sembianze della più grande naturalezza e spontaneità di esecuzione.


B. Berenson

The Venetian Painters of the Renaissance, 1894

Nonostante la natura più massiccia e non così raffinata, Tiziano, per una generazione dalla morte di Giorgione, non fece che calcarne le tracce. Fra i due maestri, una differenza di qualità è percepibile sin da principio, benché lo spirito che li anima sia identico. Le opere che Tiziano dipinse dieci anni dopo la morte del compagno hanno moltissime qualità giorgionesche; ma insieme, anche qualcosa di nuovo: quasi fossero eseguite da un Giorgione più maturo, più padrone di sé, e dotato di un più vasto e sicuro dominio del mondo. Intanto non rivelano il menomo affievolirsi di spontaneità nella gioia di vivere; se mai, un senso cresciuto del valore e della dignità della vita stessa. [...] E' singolare come il modo di dipingere del vecchio Tiziano assomigli a quello di alcuni fra i migliori francesi della fine dell'Ottocento. Questo lo rende più interessante, specie quando, a un simile trattamento pittorico, va unita la potenza di creare tipi di bellezza come la Sapienza al Palazzo Ducale di Venezia, o il Pastore e la ninfa di Vienna. Il divario fra il vecchio Tiziano, autore di queste tele, e il giovane Tiziano dell'Assunta e del Bacco e Arianna, è lo stesso che fra lo Shakespeare del Sogno di una notte d'estate e lo Shakespeare della Tempesta. Tiziano e Shakespeare cominciano e finiscono allo stesso modo, e non casualmente. Entrambi figli del Rinascimento, si svolsero in modi analoghi; e costituirono ciascuno la più alta e completa manifestazione del proprio tempo.


M. Dvorak

Geschichte der italienischen Kunst im Zeitalter der Renaissance [1918-1921]

La forza motoria, l'energia particolare del colore, ch'è diventata qualcosa di più d'un ingrediente coloristico o d'un mezzo atto a rispecchiare la percezione sensibile, [Tiziano] la trasforma, per così dire, in un fluido immateriale, in un fattore autonomo in grado di suscitare anche da solo, indipendentemente dalla composizione plastico- lineare, quella partecipazione spirituale che costituisce per noi la caratteristica più importante della nuova arte. Così, tra gli ultimi lavori di Tiziano troviamo quadri che non intendono essere altro che sinfonie cromatiche, e sarebbe puerile il volerli misurare col metro dei disegni naturalistici o accademici. Il colore, nel quale le ricchezze di una tavolozza inesauribile si uniscono in un effetto pressoché monocromo, vibra come una creatura viva, all'unisono con la sensibilità dello spettatore. E quest'emancipazione dei valori espressivi coloristici ha schiuso un gran numero di possibilità nuove alla pittura: a lei dobbiamo buona parte degli effetti dell'arte della composizione barocca, esaltati fino alla massima tensione dell'immaginativa. L'esperienza così ottenuta determinò il cammino di quella pittura eccessiva, che vide il proprio compito principale nella resa dei processi coloristici naturali. In tal modo, anche qui il nuovo idealismo ha schiuso nuove possibilità a un susseguente naturalismo.


L. Hourticq

La giovinezza di Tiziano, 1919

Nella pittura di Tiziano il paesaggio rivela una forza espressiva che la precedente arte non aveva conosciuto. Si tratta, certo, di un'innovazione di Giorgione; ma, salvo che nella Tempesta, è proprio Tiziano che bisogna principalmente riconoscere in quelle opere dove, come la Venere di Dresda, la natura, con la sua penetrante poesia, amplifica la nudità splendida delle Veneri: essa è sempre stata assai più di un semplice ornamento visivo, per Tiziano. I più sensibili paesisti - quali Gentile Bellini o il Carpaccio - si sono compiaciuti di annotare minutamente le pittoresche fantasie della luce sulle architetture e sulle acque, ma poi hanno messo in primo piano figurine che appaiono indifferenti alla seduzione di un tale spettacolo. Quanto è diverso, invece, il compito della natura in Tiziano. Negli affreschi di Padova, non c'è dubbio, il paesaggio è ancora un episodio che mira a compiacere l'occhio; eppure, nel Miracolo della donna ferita, esso aggiunge una nota di terrore utile al dramma: occorreva proprio un paese da imboscata, adatto ai colpi di pugnale; e la roccia selvaggia getta un'ombra tragica sul delitto. Da allora in poi, Tiziano fu prodigioso nell'evocare, mediante la scelta dei luoghi e delle luci, l'esatta impressione che i drammi da lui descritti vogliono produrre. I suoi paesaggi hanno un'anima.


A. Venturi

Storia dell'arte italiana, IX, 3, 1928

Forte, coi suoi Santi imponenti cresciuti tra le rocce del Cadore, con le Madonne e i putti, fiori delle Alpi, Tiziano s'imbatte in Giorgione, il raffinato, il poeta, il musico della pittura. E si accorda con lui; sente come il tono del colore sia il mezzo artistico più adatto alla rappresentazione del movimento, poi che esso contiene in sé gli elementi di vibrazione proprii dell'onda luminosa. Ma l'atmosfera di sogno delle figure create da Giorgio di Castelfranco non era propria a Tiziano: ed ecco che egli lancia i suoi protagonisti nel dramma. Non la stasi solenne, nel silenzio dell'adorazione, nella luce del crepuscolo, nelle penombre misteriose: Tiziano ha bisogno di respirare a pieni polmoni, di farsi largo, di far squillare i colori. Quando interpreta Giorgione nella Zingarella di Vienna, nel San Marco della chiesa della Salute, e in altri quadri, si sente come a fatica la sua forza rusticana si adatti alla preziosità della tavolozza giorgionesca, come le sue tinte calde, i suoi rossi di fuoco rompano la pace di quei toni, e le sue forme piene di baldanza, di grandezza, di movimento drammatico, escano dalle linee lievi, dalle piume giorgionesche, e sempre più si accentuino, s'ingagliardiscano, si faccian sonore. Ben presto Tiziano, accentuando le forme, fa sprizzare da esse scintille di vita; e forma i suoi tipi di bellezza, le sue gagliarde figlie del sole. Passa di contro alla greca Afrodite dalle carni di marmo pario, la Venere di Tiziano, temprata dal fuoco, nata fra gli ori e le gemme della casa del sole, nell'amore e nella voluttà. La modernità, in tutta l'arte di Tiziano, scorre come sangue caldo, pulsa forte dal suo cuore. L'aria circola, e, dalle bianche nuvole trasportata nel cielo azzurro, inonda la terra, carezza le figure, le immerge in sé; e corre nei paesi fecondi, li rinfresca, li allieta. Scorre come vivo sangue nelle carni il colore; s'infoca e impallidisce, inturgidisce e si spiana; foggia le vesti, spumeggiando alla luce con le tessiture, marezzando la seta, addensandosi nei velluti, imperlando i rasi. È una ricchezza che si profonde su tutto, che avviva, ingrandisce, dà forma eroica agli uomini vissuti quando Carlo V calpestava col suo cavallo le terre lombarde, le pianure delle Fiandre, la Germania meridionale; e quando Filippo II voleva Veneri per i suoi sensi, e voti per l'Escuriale, anche per l'altare a Lorenzo Martire, che gli aveva data vittoria a San Quintino. Gradatamente il Vecellio comprese la forza idealizzatrice dei colori meno definiti, meno accentuati, più liberi e mossi, natanti nella luce e nell'ombra, delle masse cromatiche sgranate dall'atmosfera luminosa; e creò, come abbiamo veduto, altri capolavori. Le immagini, diventando meno concrete, diedero del mondo una visione commossa; l'amor della luce infuse negli esseri la vita. Il dramma umano divenne il dramma del cielo e della terra. Alla morte del Cristo scoppia l'uragano; l'ombra, le tenebre son veli di lutto; la luce erompe, divina aureola al Crocefisso. Il cielo stesso riflette la passione degli uomini; si tinge di sangue, nel crepuscolo della vita di Carlo V; copre torpido, greve, gli ebbri di piacere. La pennellata divien rapida e intensa: par che a colpi di spugna intrisa di colore s'infiammi il cielo dietro Venere che benda Cupido. E uno scrosciar di colori sui campi dorati dall'autunno, sul verde bruciato dal sole, sulla terra ardente.


W. Suida

Tiziano, 1933

La struttura pittorica di questo dipinto [L'incoronazione di spine a Monaco] ci introduce nei più profondi segreti dell'arte di Tiziano, anzi dell'arte in generale. L'onda del colore è sublime come il movimento del mare, come la voce di un organo. E come la vox humana, sollevandosi improvvisamente in una melodia al disopra del solenne accompagnamento, parla all'anima, così i colori splendono puri e luminosi sopra le onde di una pittura quasi monocroma: rosso, giallo, azzurro metallico e verde scoccano nella tenebra come lampi colorati. Quasi due generazioni prima, il medesimo incanto ci ha stupiti, quando Tiziano faceva risuonare in un quadro quasi monocromo tutte le ricche tonalità della carnagione, per mezzo di un sottile nastro giallo, che agiva come il tocco di una bacchetta magica. Ora, la più alta saggezza del vegliando si fonde con uno stato d'animo sublime, in un'opera accanto alla quale possono essere collocate solo poche creazioni dello spirito umano.


H. Tietze

Tiziano, 1936

Con gli altri grandi maestri dell'alto Rinascimento, Tiziano ha fondato l'èra delle Belle Arti e con esse ha inaugurato un dominio della figurazione, indipendente dalla realtà e superiore a essa per potenza. Ma, poiché il suo apporto personale in tale elevazione dell'arte su un piano più alto e più nobile risiede nel vigore della percezione e nella naturalezza della sua visione, più che ogni altro artista egli ha contribuito a rendere il bello artistico un bisogno generale dell'intelletto. Non a caso egli è stato il pittore favorito delle corti e il pittore in titolo di un imperatore: grazie a Tiziano, l'arte è divenuta un segno di distinzione sociale, parte essenziale della comune cultura, succedendo ad altre forze spirituali in via di scomparire. Tale concetto dell'arte è prevalso fino al pieno secolo XIX, e i suoi ultimi corollari si son fatti avvertire fino alle soglie del nostro tempo; colui che con l'opera sua ha concretato quest'ideale merita una posizione altissima nella storia dello sviluppo dello spirito umano. Tiziano non è solo un gran pittore: è al tempo stesso, e proprio perché ha inteso non essere altro che un gran pittore, un fenomeno storico denso dei significati più eletti.


R. Pallucchini

La pittura veneziana del Cinquecento, 1944

Tutta l'attività di Tiziano è contrassegnata da un continuo approfondimento di valori espressivi, in funzione di una verginità sempre rinnovata di ispirazione. L'affermazione di Delacroix che: "Il obéit à chaque instant à une émotion vraie, il faut qu'il rend cette émotion" coglie effettivamente il miracolo per cui ogni sua opera è un cosmo nuovo; non si ha in lui il compiacersi di una trovata, di una formula o di un atteggiamento già raggiunto. Ogni opera che sia davvero autografa (e in questo senso la critica filologica ha ancora parecchio lavoro) è necessaria alla storia di Tiziano: in ciascuna di esse il suo sentimento si configura con una certa novità, con un impegno diverso e sempre rinnovato. Negli stessi ritratti, che sembran più legati ad una realtà esterna o ad una etichetta, l'ispirazione dimostra l'insofferenza continua di un cliché, o di una situazione tematica e formale già raggiunta. Solo un palpito intenso di umanità poteva suggerire a Tiziano la stupenda vitalità del suo gusto e concretarsi nei molteplici aspetti della sua arte.


R. Longhi

Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, 1946

Tiziano giovane sgombra pienamente la timidezza di Giorgione. A questo fine egli sopprime ogni residuo di sfumatura preraffaellita e ritorna a meditare sui quattrocentisti locali, sul Bellini e sul Carpaccio, come dimostra chiaro il quadro, così arcaistico, di Anversa. Per la stessa ragione i sublimi affreschi padovani del 1511 riescono come di un Piero moderno, dove, nel contrasto di massa tra luce e ombra, l'ombra trapassi in 'tono' e si trasponga sul piano ideale del colore; s'inserisca cioè senza sbalzo plastico, senza chiaroscuro, senza sfumatura, nella paga felicità di un "largo cromatico". Pure, anche il movente classicistico di Giorgione serviva ora a qualche cosa, ché la sutura delle forme non avviene più sul filo dei volumi e dei piani quasi cristallizzati come in Antonello, nel Bellini, nel Carpaccio, cioè soltanto per disposizione o giustapposizione, ma per matura 'composizione' di gesti liberi e profondi, direi quasi in arcata spaziale. S'imbastiscono i corpi come un'immaginaria pittura greca che abbia conquistato ad un tratto la facoltà di attraversare solidamente lo spazio. Ripenso ai due quadri estensi col Baccanale e la Festa degli amorini, alle Tre età di Lord Ellesmere, e mi avvedo che mai Firenze e Roma seppero altrettanto rivivere una sognata classicità. In tutto Tiziano giovane è veramente qualche cosa di fidiaco: il suo impasto stesso ha il tepore vivente del marmo greco: e la medesima sensualità sublimata, incolpevole, in confronto a quella troppo carica e flagrante del Giorgione ultimo. Avevo detto che i corpi s'imbastiscono: imbastitura è abbozzo; ed è proprio ai limiti di ogni zona cromatica che Tiziano lascia il respiro di un abbozzo mutevole, di una vita cangiante e in crescenza. Crespe delicate e volanti, bruciature, liquefazioni lievi, tocchi brulicanti, che rammentano le dolorose cicatrici del Cézanne quando cercava di réaliser, ciò che a Tiziano riesciva senza pena. Questo avviene a Venezia mentre a Roma Raffaello dipinge le Stanze e Michelangelo, maledicendo, a cervice riversa, termina la volta Sistina. [...] Come poi Tiziano, e per quasi un quarto di secolo fin verso il '45, lottasse con vario esito coi "demoni etruschi" che salivan d'ogni parte verso Venezia, è una storia che [...] tocca in quegli anni quasi ogni dipinto del maestro: il Bacco ed Arianna, opera da piacere al Rubens, non più ai classici greci; il San Sebastiano del trittico di Brescia, certe parti della pala Pesaro esemplari per il Van Dyck, il perduto, celeberrimo San Pietro Martire di San Zanipolo, il Battista greve dell'Accademia, la gonfiarne Flagellazione del Louvre, anch'essa, come l'Ecce Homo di Vienna, esemplare per il Rubens, e, infine, quel soffitto di Santo Spirito, oggi alla Salute, che il Boschini, forse perché vi vedeva un preludio alla tumidezza tintoresca, salutava osannando: O che bei contornoni! O che gran forme! | Che movimenti in scurzo vivi e fieri !  ; grida che ci lasciano freddi [...] In confronto al candore innocente del San Marco che ombrato risplende nella paletta giovanile della Salute, quanta superbia morale, che ostinata dominazione [nel San Giovanni Elemosinano del 1545] ! Firenze e Roma hanno ormai convinto Tiziano che l'umanità, persino in figura di mendico, non possa agire che per investitura di dignità e potenza; ma quanto più il gesto è di violenza sorvegliata (e qui di meditato contrapposto tra lettura e beneficenza), tanto più Tiziano l'affatica e consuma, aggredendolo d'ogni parte con le sue sferzate d'aria e di lume carico e strisciante, in una specie, direi, di flagellazione cromatica. Quando si pensi all'accomodamento facile tra eleganza formale (tratta dalle riserve parmensi) e fermento di colore, trovato in quegli stessi anni dallo Schiavone, s'avvertirà meglio a che abissali profondità s'aggirasse ora lo spirito di Tiziano, implicato in questo dramma crescente dal corpo stesso della pittura. La forma antica è un mito irrecuperabile, il ricordo larvale di una potenza perduta e avvolta ormai da un velame cosmico, caotico come nell'Annunciazione di San Salvatore, uno dei dipinti più disperati dell'arte: dove la stanza è invasa come da un rogo semispento d'apocalisse che screzia le figure, le imbratta, le usura in un aspetto di "impressionismo magico". E l'apocalisse seguiterà negli spettri e nelle allucinazioni del Greco.


C.A. Dell'Acqua

Tiziano, 1955

L'esperienza manieristica del Vecellio, approfondita e risolta ancor prima del suo soggiorno romano, doveva in effetti concludersi in un'esaltazione eroica dell'individuo in quanto consapevole e attivo protagonista di storia, sebbene sottoposto a un destino anche avverso, impegnato in un suo chiuso e faticoso travaglio. Lungi però dal rinnegare la precedente attività dell'artista, tale atteggiamento ne confermava le essenziali ragioni; giacché neppur ora l'uomo veniva a configurarsi secondo una visione astrattamente antropomorfica, in sé isolato e opposto alla natura, ma piuttosto come il centro stesso della vita del cosmo, in lui rifluente. Di qui la possibilità di conciliare in un personale accordo con le due massime tradizioni figurative del Cinquecento: la veneta, rinnovata da Giorgione, e la fiorentino-romana, e di ristabilire su un piano diverso, di più complessa maturità, quell'equilibrio di senso e di intellettualismo umanistico, di civiltà e di natura, in cui consiste il fondamento perenne dell'arte di Tiziano.


A. Chastel

L'arte italiana, II, 1956

La vecchiezza di Tiziano mostra la vitalità di un Michelangelo che invece di ritirarsi dal mondo per darsi a un'ombrosa devozione avesse conquistato la serenità, la universalità di un Raffaello. Le sue ultime creazioni fanno pensare a Shakespeare: un'arte sapiente, cosciente, un po' esteriore e teatrale, di una superiore impersonalità, s'impregna, finalmente, di una emozione, di un patos personale, di cui il Satiro e la ninfa [Vienna, Accademia], fremente di luci, e la Coronazione di spine [Monaco] sono la toccante espressione.


G.C. Argan

L'amor sacro e l'Amor profano di Tiziano Vecellio, 1959

[...] possiamo dire che questo dipinto di Tiziano [L'Amor sacro e l'Amor profano della Borghese], se certamente non è un "mistero", certamente è una "poesia". La parola è suggerita dallo stesso maestro, che ripetutamente l'adopra, nel suo carteggio, per designare le sue opere di soggetto erotico o mitologico; e va, d'incidenza, notato che i miti classici, nella pittura di Tiziano, sono quasi sempre legati al tema d'amore. Questa parola "poesia" non è una novità da poco nella terminologia dell'arte figurativa. A Firenze si sarebbe sempre parlato di "invenzione" o di "historia". Se l'opera d'arte è il prodotto dell'"ingegno" e il dominio dell'ingegno è la realtà, anche l'invenzione è, propriamente, la scoperta di qualcosa che appartiene già, sia pure come possibile, alla realtà. Perciò ogni rappresentazione è una "azione", ogni azione una "storia". Fuor dell'ingegno, e al suo opposto, non c'è che il capriccio: un fantasticare fuori del verosimile, arbitrario. La "poesia" - come l'intende Tiziano e come l'aveva intesa, in limiti più angusti, Giorgione - non ha minor forza rappresentativa, rispetto alla natura, che la "historia" dei fiorentini. Soltanto che la natura non è più l'oggetto distinto dal soggetto che lo pensa, ma la realtà stessa di cui l'uomo, vivendo, partecipa. Immerso in quella realtà che non s'inquadra più nella struttura di un sistema razionale, ne conosce quanto gli è dato afferrare per la sua interna affinità alla natura, per la risonanza che il suo sentimento umano (ch'è pur sempre un sentimento della natura) trova nelle cose del mondo. Del proprio essere, anzi, egli null'altro potrà mai sapere se non quel tanto che, per quella simpatia o consonanza, trova forma sensibile nella natura: nei cui "fenomeni" egli scopre e conosce ad un tempo se stesso ed il mondo. Questa è la forza evocativa, "magica" del sentimento di Giorgione. Tuttavia è probabile che molti equivoci a proposito dell'interpretazione dell'Amor sacro e Amor profano dipendano dall'averlo voluto situare per forza, a causa del soggetto enigmatico, nell'orbita giorgionesca; quando invece esso segna il distacco, non soltanto dello stile pittorico, ma della poetica "classica" di Tiziano dalla poetica "romantica" di Giorgione. Qui infatti poesia non è più un penetrare misteriosi veri per le vie celate delle allusioni e dei simboli, ma una piena solare rivelazione della realtà nella "bellezza" della forma. Qui la "bellezza" è già, per se stessa, la rappresentazione allegorica, l'unica possibile della natura; e se l'occulta realtà soltanto nella "bellezza" della forma può manifestarsi nella sua pienezza e universalità di "natura", poesia non è altro che la bellezza o l'eterno mito della natura.


F. Valcanover

Tiziano, 1960

Se oggi riesce difficile riconoscere con il Dolce quanto Tiziano abbia dimostrato al Fondaco dei Tedeschi "di avanzare il maestro", appena tre anni dopo nei Miracoli di sant'Antonio, affrescati nella Scuola del Santo a Padova, la sua personalità si afferma con piena indipendenza. Profondo ed essenziale è lo stacco non solo dal mondo "sublime", evocato da Giovanni Bellini con religioso fervore in dolci rispondenze di forme e di colori, e dalle favole incantate, vivacissime di colore, che il Carpaccio narrava entro nitidi telai prospettico-spaziali, ma anche dalla umanità liricamente sognata da Giorgione in un'atmosfera di languore sentimentale. A questa, Tiziano contrappone un dominio vasto e sicuro della realtà, dove trionfa l'uomo con tutta la forza dei suoi sentimenti e delle sue passioni, non più isolato in un individuale incantesimo, ma dialetticamente vivo in umana pienezza di colloquio. Del resto, sulle pareti della Scuola del Santo, Tiziano non doveva raffigurare, come al Fondaco dei Tedeschi, astruse allegorie, chiare soltanto ad una ristretta cerchia di intellettuali, ma rappresentare alcuni miracoli del popolare santo francescano, a edificazione di pii confratelli e della folla di devoti. Fuori da ogni suggestione iconografica o letteraria, le scene avvincono subito lo spettatore per la perentoria chiarezza delle immagini [...] Così i tre miracoli del santo serrano sul filo dei sentimenti umani più vivi e penetranti, e quasi sembrano risolti in scene di vita quotidiana, ma dove il valore episodico è trasfigurato su un piano di ideale nobiltà formale, senza mai colorarsi di oratoria né tanto meno di sforzato melodramma. Le figure umane dominano grandeggianti il proscenio in agiate rispondenze ritmiche e in larghe distensioni di forme, semplici e naturali; ma a ben guardare sono tutte misurate con controllatissimo rigore logico. Per tale prepotente esaltazione di vita, reale ed irreale insieme, è determinante la funzione assunta dal colore. Giorgione, sfumando dolcemente i toni nella dolce temperie atmosferica, attenuava i valori timbrici in una musicale tessitura cromatica, dando forma unitaria ai suoi sogni di estenuata e lirica poesia: Tiziano, invece, punta sull'armonica e semplificata opposizione di distesi piani colorati, che in una sovrana semplicità di rapporti cromatici risaltano con luminosa opulenza nel dinamico contrasto di chiari e di scuri; e nello spettacolo ancora più vivo ed intenso della realtà, dove uomo e natura sono celebrati in un canto solenne e unitario di fervida bellezza, veramente classica nella sua ideale incorruttibilità, si palesa poco più che ventenne, creatura del pieno Rinascimento, non meno di Michelangelo e di Raffaello.