Vivian Maier
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Vivian Maier (1926 – 2009), fotografa statunitense.
Citazioni su Vivian Maier
[modifica]- Per raccontarla mi sono affidata soprattutto alle sue fotografie, l'unica autentica testimonianza della sua intimità. È uno scatto al contrario, il mio. Attraverso la sua opera, ho tentato di capire chi fosse questa donna tanto enigmatica, e perché abbia scelto di non presentarsi mai come artista, ma di vivere facendo la bambinaia. Non si tratta di una biografia: altri si sono cimentati nell'impresa di ricostruire il vissuto di Vivian Maier. Io volevo soprattutto rispondere a una domanda: perché accumulare tutti quei rullini senza mai provare l'impulso di svilupparli, di confrontarsi con il proprio lavoro ed, eventualmente, con il giudizio altrui? Sentivo che la risposta a questa domanda andava cercata nell'infanzia di Vivian, il luogo in cui tutto ciò che saremo da adulti prende forma.
- Vivian Maier è una artista che si serve dell'arte per comprendere se stessa, per sedare il proprio male di vivere, non di certo per emergere o riceverne un applauso. La Maier vive la propria arte in forma privata, utilizzando la macchina fotografica come uno scudo, ma anche come un filtro, attraverso cui rapportarsi, e difendersi, dal mondo. Le fotografie che ha scattato sono specchio della sua anima, di ciò che colpiva la sua attenzione, e grazie alla sua opera sappiamo oggi di trovarci di fronte a una persona che, sebbene apparisse rigida e brusca, incapace di avvicinarsi agli altri, o di lasciarsi avvicinare, era in realtà fortemente empatica, avvertiva dentro di sé ogni grammo del dolore altrui: quante volte la sua attenzione si è soffermata sugli ultimi, sugli indifesi, su coloro che soffrivano? Bambini, mendicanti per la strada, anziani, persone di colore (non dimentichiamoci che siamo pur sempre nell'America degli anni Cinquanta), alcolizzati accasciati su un marciapiede, ma anche persone colte da un malore, o ritratte in un momento di disperazione. Vivian vedeva e sentiva tutte le storture dell'esistenza.
- Il rapporto con la madre è il nodo stretto con forza dentro la vita di questa fotografa. Un nodo che non si scioglie, ma resta lì, stretto, a impedirle di diventare la persona che avrebbe potuto essere se avesse avuto una madre in grado di comprenderla, di amarla. Non è un caso, forse, la scelta di trascorrere l'intera esistenza a prendersi cura di figli non suoi: c’è un tentativo di ricucire uno strappo, di lenire la ferita. C'è, forse, una volontà di riscatto. Le fotografie colmano un vuoto: il vuoto lasciato da una madre incapace di essere madre. La macchina fotografica non è solo un occhio puntato all'esterno, ma è soprattutto un mezzo per accertarsi di esistere, perché lo sguardo di chi avrebbe dovuto amarla più di chiunque, evidentemente, non è stato sufficiente a confermarle di essere reale.
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