Waldemaro Morgese

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Waldemaro Morgese (1945 – vivente), scrittore, saggista e editorialista italiano.

Citazioni di Waldemaro Morgese[modifica]

Incipit[modifica]

Città buie[modifica]

Nora ci teneva a illustrare a ogni occasione la sua filosofia di vita e a spiegare quanto importante fosse la cultura, soprattutto ai giovani che frequentavano la "sua" biblioteca. Del resto, la sua vita era stata quella di una intellettuale a tutto campo: dopo la laurea in Lettere aveva trovato impiego come bibliotecaria e operatrice museale, ma i suoi interessi si estendevano sino alle tradizioni folkloristiche e alla cucina tradizionale. - Vita - attaccò rivolta a un ragazzo che doveva fare una ricerca scolastica - è forse la parola più scritta, citata, pronunciata nel corso dei secoli. Ma può diventare anche il grimaldello di un riscatto, perciò viene spesso violata e assassinata.

Il discobolo[modifica]

Marco era assolutamente privo di segni sul viso. Immobile e terreo. Una statua di pietra o di marmo forse si sarebbe agitata di più. Era sparito del tutto il sentimento: sapete quei robot di cui si favoleggia? Così, uguale. Ma questo stava accadendo proprio ora, nel momento estremo. Quando, invece, in gioventù osservava attentamente le illustrazioni sui libri, Marco spesso rimaneva affascinato dal discobolo, un giovane riccioluto, nudo, con braccia e bicipiti furzuti, sempre sul punto di lanciare un disco che alla fine non lanciava mai. Osservava e riosservava la figura, ma non c'era verso di una novità: perennemente lì, sul punto di... Poteva essere il simbolo dello stallo (anzi lo era), ma anche - secondo un altro modo di vedere le cose - dell'indecisione perenne. Era un conato continuo di desideri e di correlate volontà di agire, seguiti solo a tratti dalla vera e concreta azione. Stallo e indecisione: il discobolo, logo perfetto di questo miscuglio di caratteri riprovevoli.

Il tempo uguale[modifica]

Se le leggi non consentono una soluzione dei problemi, se ne facciano altre. L'uomo è superiore alla legge. Rimuginavo su questa frase, allo stesso tempo ingenua e limpida, mentre rimettevo in ordine montagne di scartoffie, divenute tali per l'usura del tempo. Si trattava di un passo della lettera che i sacerdoti di periferia avevano indirizzato ai romani nel lontano 1972. Ricordavo bene la questione dell'Acquedotto Felice e del prete di borgata. Ero molto giovane allora, partecipavo alle ,lotte dei baraccati a fianco dei borgatari, espulsi dal centro di Roma almeno da due generazioni durante il ventennio di Mussolini e confinati nei borghetti. Non avevano la possibilità di pagare un affitto e avevano ricreato sotto le mura dell'acquedotto una parvenza di comunità. Avevo una discreta documentazione raccolta anno dopo anno, in cui si dimostrava che la linea della periferia di Roma, decisa dall'oligopolio fondiario, si era spostata in avanti: nel giro di pochi anni non era più riconoscibile ciò che Pier Paolo Pasolini aveva mostrato in Mamma Roma.

I guerrieri cambiano[modifica]

Sto leggendo un libro rilegato in tela bianca grezza, sopraccoperta marrone, ottocento pagine inframmezzate da molte illustrazioni. Parla di città: in copertina una metropoli fotografata nel pieno della notte. Case minuscole illuminate, strade, all'orizzonte qualche traliccio appena visibile, alberi; in posizione centrale un grande edificio sormontato da tre cupole azzurre. Scorrendo le pagine capisco che il messaggio dell'autore è apocalittico ma anche di speranza: la città è catastrofe e naufragio ma da ciò, che chiama ecpirosi, può sorgere l'apocatastasi. Ritengo che la prima si generi per forza di cose dagli strati più profondi di una realtà candidata alla distruzione mentre la seconda sia solo un desiderio.

Sciamani, arabe fenici, banane gialle e mambo[modifica]

Sono trascorse due settimane dalla morte del nonno. Ci facciamo coraggio e saliamo nella vecchia soffitta. "Di certo qui non viene nessuno da almeno dieci anni" "Sì, penso da quando nonno rimase paralizzato" "Chissà a cosa serviva questo posto" "Ricordo vagamente che mamma diceva per ricoverare le fascine" "Poi evidentemente è diventato un deposito per cose anche strane". In quella soffitta sono sparsi qua e là, pieni di polvere, oggetti inconsueti, tracce della vita di musicista del nonno: due timpani con i sostegni rotanti e le bacchette ancora imbottite, alcuni leggii, oggetti di scena, un grande tamburo rullante, cornici dorate che hanno perso la duratura, un pannello di legno con molte lampadine per formare un disegno floreale. Poi in fondo un grande baule. "Contiene qualcosa?" Ci avviciniamo e solleviamo il coperchio. C'è incollata un'etichetta di carta, sbiadita ma leggibile: Fabbrica Americana di Articoli da Viaggio, fondata nel 1857. Ceirola Giacinto. Valigiaio, Baulaio, Layeter, Malletier. Genova, Via San Lorenzo N° 32.

Bibliografia[modifica]

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