Anton Raphael Mengs

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Anton Raphael Mengs, Autoritratto (1776 circa)

Anton Raphael Mengs (1728 – 1779), pittore, critico e storico dell'arte tedesco.

Citazioni di Anton Raphael Mengs[modifica]

  • [Diego Velázquez] Dove indubbiamente diede la più esatta idea dello stesso vero, fu nel quadro delle Filatrici, che appartiene alla sua ultima maniera, ed è condotto in modo tale da far sembrare che la mano non abbia avuto parte alcuna nell'esecuzione, ma che sia stato dipinto unicamente con la volontà.[1] (da Lettera ad Antonio Ponz, 1776)

Opere[modifica]

  • Sceglievano [I pittori precedenti] imperfettamente, e tralasciavano per ignoranza or questa, or quella parte essenziale. Ma venuti i tre eccellenti Maestri, ciascun di loro si scelse una parte singolare, con far sopra quella tutta la sua applicazione, e far consistere, per così dire, tutta l'Arte in quella parte. Raffaello scelse l'espressione, che trovò nella Composizione, e nel Disegno; Correggio prese il dilettevole, e lo trovò in certe forme, principalmente però nel Chiaroscuro; e Tiziano finalmente abbracciò l'apparenza di verità, che trovò massimamente ne' Colori. Il più grande era naturalmente quegli, che possedeva la parte più importante: ed essendo l'espressione senza dubbio la più utile, e la più importante parte della Pittura, Raffello è incontrastabilmente il maggiore di questi tre. Dopo di lui segue il Correggio, poiché il dilettevole è come la seconda parte importante della Pittura; e siccome la verità è piuttosto un dovere, che un ornamento, Tiziano non è che il terzo nell'ordine; ma tutti e tre sono grandi, poiché ciascheduno era in possesso di una parte principale della Pittura. Tutti quelli, che sono stati dopo di loro, non hanno avuto che una porzione di quella parte respettiva, che essi possedevano; onde resta inferiore il loro Gusto. (tomo I, p. 37)
  • Michelangelo sarebbe riuscito a far perdere col suo credito il gusto del suo secolo, se Raffaello non vi si fosse opposto col suo gusto molto più giudizioso. Quegli nella sua lunga vita non fece alcuna Opera di Scultura, né di Pittura, e forse neppure, di Architettura, colla mira di piacere, né di rappresentare la Bellezza, che non conobbe, ma unicamente per far pompa del suo sapere. In tutte le sue figure ei ricercava le attitudini più violenti, o quelle, che gli parevano più confacenti per fare vana mostra della sua scienza anatomica ne' muscoli, e nelle ossa, e delineava tutto ciò colla maggior forza, e violenza, dubitando forse, che non l'intendessero bene i riguardanti. Egli si credeva di avere uno stile grandioso, ed avea puntualmente il più piccolo, e forse il più grossolano, e pesante. Quelle sue contorsioni sono state ammirate, e fino adorate da molti, e lo hanno chiamato stile fiero, terribile, e anche divino. Sarà quel che vogliono; ma non è certamente né grande, né bello. (tomo I, pp. 124-125)
  • [Michelangelo] Sopraffatto egli dall'ambizione di comparir dotto, non si curò mai di essere piacevole, né di soddisfar l'animo colla Bellezza. Basta vedere il suo famoso Giudizio per convincersi di quel ch'io dico, e fin dove può giugnere la stravaganza di una Composizione. Falconet[2], che non può sempre delirare, ha ragione questa volta di dire, che il decantato Mosè pare piuttosto un Forzato di galera, che un Legislatore ispirato. Il Dolce[3] ne' suoi Dialoghi, senza comprendere la vera cagione, notò nondimeno questi difetti di quel celebre Professore: ma per uno, che ha fatto uso della ragione, migliaja sostengono ad occhi chiusi, che Michelangelo era in tutto divino. (tomo I, p. 125)
  • Fu nella Composizione Raffaello non solo egregio, ma sorprendente. Questa è quella parte, che gli fa l'onore più grande. Ei ne fu l'inventore, non avendo avuto modello da imitare né dagli Antichi, né da' Moderni; onde si può dire, ch'egli aggiunse alla Pittura questa parte, che gli Antichi, secondo l'idea, che abbiamo delle loro Opere, non possederono con tanta perfezione; e se egli avesse posseduto il restante in grado così ugualmente eccelso, sarebbe stato senza contrasto il primo Pittore del Mondo. (tomo I, p. 160)
  • La bellezza del Chiaroscuro consiste in sapere imitare tutti gli effetti della luce, e dell'ombra della Natura, e in dare alle Opere forza, dolcezza, degradazione, varietà, e riposo per la vista sì ne' lumi, come nell'ombre; e finalmente in fare, che lo stesso Chiaroscuro serva ad esprimere il carattere d'un'Opera qualunque, allegra, o grave. (tomo II, p. 52)
  • Gli Antichi facevano sì gran conto della Bellezza, che soltanto il bello della Natura sembrava loro degno d'essere imitato; cosicché si può assicurare, ch'eglino sono stati quelli, che formarono, e mantennero lo stile della Bellezza. (tomo II, p. 55)
  • Quando i Pittori Greci si avanzarono tanto nella loro Arte da meritare l'attenzione de' Filosofi, si proposero ricercare l'eccellenza nella imitazione della Natura, ma della Natura perfetta; onde non si estesero tanto nella quantità degli oggetti, quanto nella loro perfezione. (tomo II, pp. 55-56)
  • Che intelligenza, e verità nel Chiaroscuro non sì osserva in Velasquez! Come intese bene l'effetto, che fa l'aria interposta fra gli oggetti, per farli comparire distanti gli uni dagli altri! (tomo II, p. 63)
  • È ammirabile Ribera nell'imitazione del naturale, nella forza del chiaroscuro, nel maneggio del pennello, e nel dimostrare gli accidenti del corpo, le rughe, i peli, ec. Il suo stile è sempre forte; ma non giunse a Velasquez nell'intelligenza delle luci, e delle ombre, mancandogli la degradazione, e l'ambiente dell'aria, benché nel colorito è di maggior forza, e brio [...]. (tomo II, p. 64)
  • Sono quasi infiniti i Quadri di Luca Giordano, di cui si può dire, che non fece mai cosa assolutamente pessima, poiché sempre si trova nelle sue Opere un certo gusto, ma a guisa d'embrione, delle cose eccellenti fatte dagli Uomini celebri delle Scuole d'Italia. Egli non arrivò mai alla perfezione in cosa alcuna [...]. (tomo II, p. 67)
  • La Grazia del Contorno consiste in quello, che chiamiamo Eleganza, la quale è la facilità unita alla varietà delle forme. L'eleganza si può trovare anche dove non è correzione, perché questa corrisponde alla Bellezza, e quella alla Grazia.
    Per ispiegar questo addurrò l'esempio di tre Pittori famosi, Correggio, Caravaggio, e Rubens, i quali sono in ugual grado distanti dalla rigorosa Bellezza, o almeno dalla correzione; ma in quanto alla Grazia, e all'eleganza differiscono infinitamente. Caravaggio non avea né varietà, né correzione; e perciò il suo Disegno non vale nulla. Rubens era privo di Bellezza, e d'ogni correzione, ma avea più varietà del precedente; e perciò è più sopportabile. Correggio malgrado qualche scorrezioncella possedeva tal varietà, eleganza, e Grazia, che fa dimenticar quel difetto; e con questi pregj ha prodotto un Gusto particolare di Disegno, che sarebbe il più nobile, e il più bello, se non peccasse un poco d'uniforme; e questa parte fu quella, che più adottarono i Caracci.[4] (tomo II, pp. 295-296)

Note[modifica]

  1. Citato in Velázquez, I Classici dell'arte, a cura di Elena Ragusa, pagg. 183 – 188, Milano, Rizzoli/Skira, 2003. IT\ICCU\TO0\1279609
  2. Étienne Maurice Falconet (1716-1791), scultore francese.
  3. Ludovico Dolce (1508 o 1510-1568), scrittore e grammatico italiano.
  4. Famiglia di pittori bolognesi: Annibale, Agostino e Ludovico Carracci.

Bibliografia[modifica]

  • Antonio Raffaello Mengs Opere, pubblicate dal cav. D. Giuseppe Niccola D'Azara, tomo I, a spese Remondini di Venezia, Bassano, 1783.
  • Antonio Raffaello Mengs Opere, pubblicate dal cav. D. Giuseppe Niccola D'Azara, tomo II, a spese Remondini di Venezia, Bassano, 1783.

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