I migliori anni della nostra vita (film 1946)

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I migliori anni della nostra vita

Descrizione di questa immagine nella legenda seguente.

Frederick March, Myrna Loy, Dana Andrews, Teresa Wright, e, seduto al piano, Hoagy Carmichael

Titolo originale

The Best Years of Our Lives

Lingua originale inglese
Paese Stati Uniti d'America
Anno 1946
Genere drammatico
Regia William Wyler
Soggetto MacKinlay Kantor (romanzo)
Sceneggiatura Robert E. Sherwood
Produttore Samuel Goldwyn
Interpreti e personaggi
Doppiatori italiani
Note

I migliori anni della nostra vita, film statunitense del 1946 con Fredric March, Myrna Loy e Dana Andrews, regia di William Wyler.

Frasi[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

  • E tutto si aggiusterà, vedrai. Se non ci sarà un'altra guerra. Perché allora salteremo tutti in aria il primo giorno e tanti saluti. (Butch)
  • Quando uno è stato in fanteria, i cambiamenti sono sempre dei miglioramenti. (Al)
  • [Dopo aver baciato Peggy] Non doveva succedere. Ma era inevitabile. (Fred)
  • Sapessi quante volte tuo padre e io abbiamo dovuto innamorarci di nuovo. (Milly)

Citazioni su I migliori anni della nostra vita[modifica]

  • Caposaldo del cinema hollywoodiano sui reduci [...]. Il lavoro del fotografo Gregg Toland su specchi, plexiglas e altre superfici riflettenti è straordinario. (il Morandini)
  • Film determinante e riformatore: girava la pagina della guerra. Il problema dei reduci era colossale. I giovani tornavano dal Pacifico e dall'Europa e portavano cambiamenti. Avevano visto cose diverse e rientravano in un paese diverso. Il reinserimento era difficile, per i soldati e per chi era rimasto a casa. Il produttore Samuel Goldwyn, attentissimo ai grandi fatti, e il regista William Wyler, la firma più sicura di Hollywood, affrontarono un tema davvero ricco: i milioni di storie individuali, vere e proprie sceneggiature bell'e pronte, e il grande desiderio di cambiamento che si porta una guerra. Lavorando febbrilmente per non farsi sorpassare dai fatti reali, e prendendo spunto da un libro di Mackinley Kantor non eccelso, la produzione costruì un film che rappresentò quel problema come nessun altro titolo sarebbe mai riuscito a fare. [...] Il romanzo di Kantor non prevedeva il lieto fine e Wyler era orientato ad aderire allo storia originale, ma, come spesso accadeva, da Washington arrivò l'invito per il lieto fine: non era davvero il caso di demoralizzare ulteriormente tutti quei giovani già carichi di problemi. Inaspettatamente l'ottimista e spensierata Hollywood si trovava immersa in problemi veri e dolorosi. Il cinema stava per diventare qualcosa di più di una spensierata evasione. (il Farinotti)
  • Incoronato di premi a ripetizione, e di successi idem, il film rapidamente conquista lo spettatore. Non attendetevi casi singolari, sono pagine di vita vissuta, sorridenti e commoventi, d'un loro sorriso qua e là malizioso, e di una commozione semplice, quasi elementari. Ma sono narrate da William Wyler, il regista di Infedeltà e di Jezebel, de La voce nella tempesta e de La Signora Miniver, che va sempre più affinando un suo modo accorto e pacato, apparentemente quasi dimesso, ed efficace nel dare rilievo a un particolare da nulla, o esprimerne un brivido di emozione. (Mario Gromo)
  • Un'opera complessa, difficile a giudicarsi, forse sopravvalutata al suo apparire ma oggi ingiustamente dimenticata... (Guido Fink)
  • Wyler ricostruisce la realtà al dettaglio (si vantava di aver spedito le sue attrici a vestirsi ai grandi magazzini), privilegia lo scavo psicologico, enfatizza l'impegno civile, ma lo stile è tutt'altro che naturalistico. Visto che il direttore della fotografia è Gregg Toland (Quarto potere), le invenzioni a base di specchi e riflessi abbondano, anche se sono fuse perfettamente con la narrazione. Celebre la sequenza delle allucinazioni sonore di Fred all'interno dell'aereo abbandonato. Certe impennate melodrammatiche appaiono invecchiate, ma il film attende di essere rivalutato. (Il Mereghetti)

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