Nadia Fusini

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Nadia Fusini (1946 – vivente), scrittrice, critica letteraria, traduttrice e accademica italiana.

Ma tu sai ascoltare una donna?

la Repubblica, 25 luglio 1995.

  • Cosa vuole una donna [...] di Alessandra Bocchetti è una specie rara di autobiografia, in cui la protagonista si identifica con la storia stessa del femminismo italiano degli ultimi quindici anni, essendo lei non solo una persona che coi suoi scritti ha accompagnato le vicende di tale movimento, ma, direi, un'istituzione, che a tali vicende ha dato luogo e modi per accadere. Nel 1979 nasce difatti a Roma il Centro Culturale Virginia Woolf: Alessandra Bocchetti ne è l'ispiratrice più fervida, colei che negli anni, con costanza, avrà cura che in tale spazio le donne più diverse si incontrino chi per parlare, chi per ascoltare, tutte per interrogarsi su come realizzare sempre più pienamente la libertà femminile. 
  • Con grande orecchio, Alessandra Bocchetti sa ascoltarne le tracce nella vita delle donne comuni, non solo nelle opere delle eccezionali signore della comunicazione scritta. Ciò che altre studiose vanno a raccogliere nelle scrittrici, filosofe, artiste del passato, Bocchetti lo segnala nelle aule del suo Centro. Le parole fioriscono in bocca a quelle donne che più profondamente pensano, e a mano a mano la domanda che cosa vuole una donna? perde il punto interrogativo. E difatti si presenta oggi nel titolo come un'affermazione: Bocchetti sa che cosa vuole una donna. Freud non lo sapeva: il suo Was will das Weib? è rimasto senza risposta. Ma Bocchetti direbbe: è naturale che sia così. Era un uomo. La conoscenza è segnata dalla barra sessuale, non è neutra. 
  • Ma c'è sicuramente in Bocchetti anche quell'anima che le fa desiderare di convertire, non so, la dirigente comunista... Mentre a giudicare dal libro, è sotto lo stimolo potente del dialogo con le donne 'impolitiche' che l'intelligenza cresce, e con essa la possibilità di scoprire chi siamo, noi donne, e attingere alla vera natura delle nostre domande, e dei nostri desideri.

Introduzione di Frankenstein

Neri Pozza Editore, 2018, ISBN 978-88-545-1769-1

  • Rivisitando il "gotico", e incrementando il tono del terrore, Mary Shelley apre una vena del tutto nuova, fantascientifica. Al centro del racconto qui non c'è un'eroina perseguitata e piena di coraggio che scappa attraverso foreste infestate di banditi, finisce in prigioni tenebrose, in camere segrete, in castelli inaccessibili. Nella letteratura "nera" così finivano le giovinette ignare, che incorrevano il male per volontà di sfuggirgli. L'immagine della fanciulla in fuga, della dolcezza molestata, della debolezza tormentata, dell'innocenza vilipesa era centrale nel romanzo gotico, dove per gotico si intendeva precisamente questo gusto horroroso. Qui invece, a finire in spazi tenebrosi, è un uomo di toppe e stracci, creato artificialmente da un altro uomo, sfruttando l'energia elettrica della Natura che s'accende in una notte di tempesta.
  • Una donna per esperienza conosce quel modo della creazione che consiste nel mettere al mondo una creatura generandola dalle proprie viscere. Qui invece a partorire è un maschio e il gesto, osservato dal punto di vista femminile, introduce alla prima e fondamentale e imperdonabile trasgressione dei confini di genere: che un uomo dia la vita non è l'esperienza comune della specie umana, dove la prima fondamentale divisione si ordina per l'appunto in rapporto alla differenza della prestazione sessuale, che destina la donna, e non l'uomo, a farsi grembo della riproduzione.
  • Più che tragica, dalla parte della creatura, la vicenda è patetica. Romanticamente il mostro vorrebbe comunanza, società: vorrebbe appartenere a una comunità, essere come tutti gli altri. La sua eccezionalità gli pesa. La sua unicità è un danno. Gli rende impossibile la vita. E impraticabile la bontà. Come può essere buono chi è solo al mondo, privo di un altro simile in cui specchiarsi e amarsi? Chi venga abbandonato, rifiutato? Come stupirsi che diventi malvagio colui al quale per nascita la felicità è negata? Il mostro è una vittima.
  • La creatura invidia la bellezza e la bontà. Di per sé il neonato non è cattivo, chiede simpatia; se gliela mostrassero, sarebbe buono. Ma perché gli altri gli dimostrino amore, dovrebbe dissolversi la platonica confusione di bene e di bello, che perciò stesso condanna il brutto (e cattivo) a patire l'alienazione dal mondo dei belli (e buoni). Il "brutto" dovrebbe, in altri termini, educare i propri contemporanei ad aprire gli occhi fino a cogliere in lui un'altra bellezza, che offende le proporzioni, che trasgredisce le vecchie armonie: una bellezza inaspettata, diversa, nuova. Sublime.
  • Non v'è dubbio che, consapevolmente o meno, alla gestazione del romanzo concorre la tensione politica degli anni in cui il romanzo viene concepito. Vigile e attiva è nella mente di Mary l'angoscia per la violenza che macchia la vita politica del suo paese. Dal 1811 al 1817 l'Inghilterra è scossa dalle proteste degli operai che si ribellano all'impiego delle macchine, strumenti maledetti della strategia maligna dei padroni, che così tolgono loro il lavoro. Quasi fossero robot messi al posto del loro corpo vivo, gli operai luddisti aggrediscono, distruggono quell'invenzione diabolica, frutto della scienza meccanica. «The monster is on the loose» titolano i giornali dell'epoca: senza freni, disinibita, la violenza scuote le fondamenta dell'ordine sociale, dello status quo. E l'impersona il mostro di un proletariato incolto e violento, perché disperato. Un proletariato anonimo, umiliato e offeso viene descritto come una massa oscura di lupi assetati di violenza; e dietro il fantasma della folla acefala, affiora lo stesso terrore che non molti anni prima aveva contagiato la Francia.
  • Prima di immedesimarci con quell'astronauta di 2001: Odissea nello spazio che vediamo staccarsi dall'astronave e per sempre cadere nello spazio infinito, noi ci siamo identificati con la creatura di Frankenstein. Se le mitologie eroiche di Shelley e di Byron mascherano con l'euforia dello slancio maniacale del pathos, Mary svela il bathos di quella medesima verità: nel mondo si è gettati, e si è soli.
  • Sono passati gli anni, ben due secoli, abbiamo provato ben altri terrori, altre maschere maligne hanno solleticato e insieme catarticamente liberato le nostre più intime paure, ma Frankenstein rimane uno dei più agghiaccianti romanzi neri o gotici mai scritti. Può colpire nella scrittura un tono a volte scolastico, antiquato, irritare una certa indulgenza all'iperbole, annoiare una certa tendenza a disseminare qua e là citazioni forse fin troppo dotte; può sembrare poco credibile, addirittura farci sorridere l'idea che il mostro si istruisca fino a rendersi capace di leggere gli stessi libri che sta leggendo Mary, e cioè il Paradiso perduto, le Vite di Plutarco, I dolori del giovane Werther. Ma al di là del tono a volte enfatico che lo allontana dal nostro gusto moderno, il romanzo di Mary Shelley è, in realtà, modernissimo. E più forte degli echi miltonici, o alla Coleridge, più forte ancora vibrano in esso anticipazioni di accordi nuovi, alla Poe, alla Melville, che aprono alla science fiction a venire, alla scienza e alla narrativa moderna.

Giosetta Fioroni[modifica]

  • È stato spesso osservato come la pittura di Giosetta [Fioroni] sia una rappresentazione dinamica della memoria e dell'immaginazione. È stato spesso notato il tratto errabondo e vagabondo del suo segno. E così: il carattere apparentemente svagato, en flânerie, del suo segno, tramuta in un movimento che è quasi un battito d'ali, un palpito, una tenue spinta di risalita. Il ritmo in levare è proprio dell'arte di Giosetta; è il tempo della sua composizione.
  • [...] l'incontro d'amore [di Giosetta Fioroni] con Goffredo Parise, l'amicizia con scrittori e poeti da Arbasino a Ceronetti a Zanzotto a La Capria le intona l'orecchio a cogliere le vibrazioni segrete della parola e dell'immagine. Nell'itinerario di costruzione della sua identità di artista, la conoscenza e l'amore della parola poetica è tappa fondamentale. Giosetta fa l'amore con le parole del poeta e dello scrittore; le contempla, le ama, le invidia, le afferra nel vortice della sua capacità trasformista, le fonde, le anima l'una con l'altra, finché dalla copula celeste nasce un nuovo segno che si fa gesto, movimento, moto, commozione, emozione.
  • L'opera di Giosetta Fioroni è un contrappunto di ritorni e variazioni; sempre l'opera si rinnova, eppure identica è la forma (nel senso di matrice, di stampo), in cui la fantasia si versa prendendo certe ripetute immagini, immagini che sono visioni fiabesche.

Bibliografia[modifica]

  • Nadia Fusini, Fioroni Giosetta, in AA.VV., Italiane. Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011), www.150anni.it

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