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Accademia dell'Arcadia

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Stemma dell'Accademia

Citazioni sull'Accademia dell'Arcadia.

Citazioni

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  • I primi decenni [del XVIII secolo] sono dominati dall'Arcadia la quale ha grande importanza per i principi che essa propugnò: la reazione al secentismo e quindi all'abuso dei traslati. Il ritorno al canone dell'imitazione (dei classici e del Petrarca), il culto della perizia formale, ma ancora più per l'aver diffuso questo programma fra i letterati di tutta l'Italia introducendo la poesia nel costume sociale. Se non ne nacquero capolavori, ne nacque un operato ben concertato, che giovò a ridurre le tendenze particolaristiche. (Bruno Migliorini)
  • Nell'Arcadia prosperò una poesia fiacca, leziosa, che voleva essere semplice, e che non riusciva che alla posa della semplicità; quando pure non perdurò la sonorità gonfia del Seicento. (Eugenio Donadoni)
  • Gli accademici [dell'Arcadia] (prima cosa in quel tempo era la forma e l'apparenza) presero nomi pastorali e possessi immaginari in regioni classiche: emblema de l'accademia fu la siringa pastorale, protettore il bambino Gesù: e si chiamò Bosco Parrasio la sede sul Gianicolo, ottenuta da la generosità di Giovanni V di Portogallo, festeggiato dagli accademici con giuochi olimpici. Custode dell'Arcadia fu nominato il Crescimbeni, uomo povero d'ingegno, di cui Vernon Lee afferma giustamente che ebbe una sola idea originale, quella che la Divina Commedia sia un poema comico e il Morgante Maggiore un poema serio. Egli fu devoto con un vero culto all'Accademia e, benché non potesse darle durevole e fecondo vigore, la fece fiorire come una sterile, ma rigogliosa vegetazione.
  • L'Arcadia non è che una continuazione del secentismo; se questo peccava di vacuità boriosa, annunziantesi a colpi di gran cassa ed era sforzo che diede i suoi naturali effetti: esagerazione, stranezza, artificio; quella fu miseria palese, che menò vanto de la sua pochezza e sorrise, compiacendosi, de la sua nullità.
  • L'Arcadia si propose di sterminare il cattivo gusto perseguitandolo fin nelle ville e nelle castella più ignote; ed era saggio indubbiamente il proposito di ricondurre le Lettere alla semplicità riavvicinandole alla natura, di rinnegare il gusto falso de' secentisti e cercare maggior moderazione nelle idee e correttezza nella forma; era saggio e non fu inutile, ma non se ne ottennero i frutti sperati. A la gonfiezza la vacuità, a la pretensione di novità stupefacenti:
    «È del poeta il fin la meraviglia;
    Chi non sa far stupir vada alla striglia»;
    succedette l'ambizione di semplicità puerili, allo smagliante sfolgorìo di similoro e di cenci sfacciatamente sfarzosi, la nudità di un corpo consunto, velata appena di fronzoli, di foglie e di fiori.
  • Dell'Arcadia si può fare, con eguale fondatezza, sia l'elogio che la denigrazione. Ma non c'è dubbio che alla denigrazione offre più argomenti che all'elogio. Come tante, e forse tutte le cose italiane, cominciò bene, si sciupò per strada, e finì per provocare guasti più gravi di quelli che intendeva riparare. Ma il fatto che questi guasti si avvertano tuttora dimostra quale importanza, sia pure in senso negativo, essa abbia avuto.
  • Essa dava una patria alla cultura italiana, ma una patria astratta e completamente avulsa dal Paese e dai suoi reali interessi e bisogni. I temi che dibattevano gli Arcadi appassionavano solo gli Arcadi. essi esercitavano la loro fantasia, o per meglio dire la castravano rispolverando le favole della mitologia greca. Nel loro club non c'era posto che per pastori e pastorelle. Ne adottavano i nomi, ne assumevano le pose, ne copiavano i riti. Sprecavano tonnellate di fiato e d'inchiostro per dimostrare che il loro precursore era stato Gesù per l'omaggio ricevuto in culla dai pastori. Si azzuffavano sulla derivazione di certe parole, chiamando in soccorso Virgilio e Petrarca, loro supremi modelli.
  • Quelli dell'Arcadia, che si erano assegnati il lodevole compito di «restaurare la poesia italiana mandata a soqquadro dalla barbarie dell'ultimo secolo»[1], riuscirono a costruire una specie di repubblica culturale al di sopra degli Stati in cui il Paese [l'Italia] era frazionato: e questo fu certamente un risultato positivo, in quanto creò negli italiani il senso di una comunità, sia pure solo letteraria. Una dopo l'altra, tutte le città della penisola ebbero la loro filiale, cui facevano capo i «notabili» locali. Nei suoi registri troviamo iscritti anche nomi di uomini che in realtà con l'Arcadia e i suoi moduli e modelli non avevano nulla a che fare come l'Alfieri, il Goldoni, il Vico. Ma questa è appunto la riprova della sua forza: l'iscrizione all'Arcadia era allora ciò che oggi è l'iscrizione al «Rotary»: una consacrazione e un passaporto. Essa fu copiata anche all'estero, e alla sua anagrafe troviamo registrati perfino Voltaire e Goethe.

Note

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  1. Riferimento alla poesia barocca del Seicento.

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